Pagano (Anmic): "Il jobs act, duro colpo all’assunzione delle persone disabili"
Il presidente Pagano
ROMA - Il “jobs act” è conforme con il sistema di protezione che la Costituzione e la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità prevedono per l’inserimento dei disabili nel lavoro? La chiamata nominativa dei lavoratori disabili da assumere non contiene forse elementi di “selezione naturale” inaccettabili in un sistema democratico come il nostro fondato sul lavoro e sulla tutela della dignità delle persone? Sono soltanto alcuni degli interrogativi che pone l’Anmic, da oggi e fino a domani riunita a Salsomaggiore nel convegno nazionale di studi sul tema “Disabilità e lavoro. Collocamento mirato, flessibilità e formazione”. Punti imprescindibili sui quali, come spiegato dal presidente Nazaro Pagano nella sua relazione, occorre aprire un confronto a partire dalla Conferenza nazionale sulla disabilità annunciata per il prossimo 16 e 17 settembre.
Per Pagano invita l’assemblea a interrogarsi “se il nuovo assetto normativo del Jobs act sia più o meno garantistico ed inclusivo rispetto al sistema precedente”. E procede analizzando i provvedimenti del Jobs Act a partire dai concetti di occupabilità e flessibilità, affrontando le questioni dell’accertamento bio-psico-sociale della capacità lavorativa del disabile, del sostegno economico per l’occupazione, della rigidità degli strumenti contrattuali, della tanto discussa chiamata nominativa, del sostegno alla disabilità grave, delle scoperture e tutela reale in entrata.
Accertamento della capacità lavorative. “Se l’avviamento al lavoro è legato all’utilizzazione delle residue capacità lavorative del soggetto e della loro natura, non c’è criterio che possa sostituire quello tabellare, rivisitato e aggiornato, che è il solo strumento attraverso il quale è possibile valutare l’incidenza delle patologie sulla capacità e sui limiti di utilizzabilità della prestazione lavorativa del soggetto”.
Sostegno economico all’occupazione. Fin qui “l’effetto delle misure introdotte con la legge di stabilità n. 190/2014 è stato quello di determinare una crescita occupazionale fino al 31/12/2015 (data di scadenza delle misure di sostegno) e una decrescita nei primi mesi del 2016. Il sostegno economico per favorire l’occupazione dei disabili – denuncia il presidente Anmic - potrà durare il tempo dell’incentivo ma poi ritorneremo ad un calo occupazionale”. L’appello è quindi per un “sostegno economico alle imprese duraturo”, in caso contrario si fa solo “assistenzialismo pubblico”.
Il presidente Pagano con Franca Biondelli |
Rigidità contrattuale e flessibilità necessaria. Pagano si chiede se “il contratto a tempo pieno ed indeterminato costituisce la strumento ottimale per ricevere e disciplinare la prestazione lavorativa del disabile: l’alternativa può essere costituita dal solo contratto di lavoro a tempo parziale? “Le disabilità sono tante, quantitativamente e qualitativamente diverse, esistono disabilità che consentono l’inserimento utile nel mondo del lavoro e disabilità che necessitano di sostegno e dove il lavoro è lo strumento per completare lo sviluppo della personalità evitando l’isolamento e favorendo una vita di relazioni che fuoriesca dall’ambito strettamente familiare. Di conseguenza l’utilizzazione delle residue capacità lavorative dei soggetti disabili richiede una flessibilità e variabilità degli strumenti contrattuali - argomenta il presidente Anmic - che ne disciplinano i rapporti di lavoro. Allora sarebbe stato utile introdurre una tipologia di contratto atipico e flessibile con contenuti da lasciare alla determinazione degli accordi tra sindacati e datori di lavoro”.
Chiamata nominativa “discriminante”. La chiamata nominativa dei lavoratori disabili da assumere contiene elementi di “selezione naturale” inaccettabili in un sistema democratico come il nostro. “Noi riteniamo che la chiamata nominativa sia discriminatoria – afferma Pagano - perché affida al datore di lavoro la scelta del soggetto disabile da assumere, prescindendo da elementi come il diverso grado di disabilità, il carico familiare, il reddito familiare, l’anzianità di iscrizione nelle liste di collocamento, la natura e la durata della disoccupazione; favorisce l’assunzione non su base oggettiva e perché favorisce l’occupazione delle persone con disabilità minori rispetto ai portatori di disabilità più grave, ugualmente capaci di produrre lavoro e reddito”.
Incentivi reali o fittizi? Per Anmic è sorprendente la modifica dell’art. 13 della legge n. 68/99, relativa alle agevolazioni specifiche alle imprese. “Sono state previste, per la durata di 36 mesi, agevolazioni pari al 35% dell’imponibile previdenziale per l’assunzione di disabili con residua capacità lavorativa tra il 69 e il 79%, del 70% allorché la riduzione della capacità lavorativa sia pari almeno all’80” e il 70% per l’assunzione di disabili psichici con percentuale superiore al 45% e per una durata di 60 mesi. Ora pensare che tale incentivo, temporaneo, minimale, possa capovolgere il sistema e spingere ad assumere i disabili più gravi per creare un contrappeso alla scelta nominativa affidata al datore di lavoro, è fatto che si commenta da solo”.
“Copertura delle scoperture”. Sempre in ordine all’occupabilità e flessibilità in entrata, le nuove disposizioni hanno bloccato il meccanismo della “copertura delle scoperture” e quindi di nuove assunzioni dei lavoratori disabili in adempimento dell’obbligo di legge del rispetto dell’ assunzione obbligatoria. “Avremmo preferito che le nuove categorie beneficiassero del sistema di tutele previste per i lavoratori disabili, ma fossero escluse dal computo in modo da garantire maggiore occupazione”.
Infine, “un altro duro colpo all’incremento dell’occupazione dei disabili riguarda una stortura che ci portiamo dietro da anni e che il legislatore si è guardato bene dal correggere”: riguarda le conseguenze per quelle aziende che rifiutano di assumere i disabili avviati al lavoro dal collocamento: “Almeno laddove la mancata assunzione risulti palesemente discriminatoria – conclude Pagano nella sua relazione oggi a Salsomaggiore - sarebbe stato necessario introdurre una tutela reale con obbligo coattivo di assunzione, creando così una tipologia di tutela oggi applicabile ai licenziamenti discriminatori per i quali il legislatore ha previsto la reintegrazione nel posto di lavoro”. (ep)