Per una soluzione politica della crisi ucraina
Ugo Melchionda, Grei250
E' opportuno inviare armi in Ucraina, per sostenere la resistenza all'attacco di Putin? O esistono altre “armi” contro la guerra? Il pacifismo esiste ancora? E cos'ha da dire in questa crisi in cui l'Europa e la Nato hanno la responsabilità di dare una risposta a Putin, limitando il più possibile i danni e soprattutto i morti? Il dibattito, ma forse sarebbe meglio dire il dilemma, è più acuto che mai: Redattore Sociale offre il proprio spazio per ospitare il confronto tra chi, pur appartenendo allo stesso “terzo settore”, si trova oggi su posizioni diverse e contrarie. Ospitiamo l’intervento di Ugo Melchionda.
Leggi anche le voci di Daniele Novara (pedagogista e fondatore del Centro psicopedagogico per la gestione dei conflitti), Mauro Montalbetti (presidente Ipsia), Silvia Stilli (portavoce di AOI qui il suo intervento) e Luca Lo Presti, presidente di Pangea onlus (leggi qui il suo intervento)
Per una soluzione politica
di Ugo Melchionda*
La crisi ucraina provocata dall’invasione russa sembra star dividendo il mondo tra i sostenitori della pace ad oltranza e gli interventisti, tra coloro che dichiarano di essere “senza se e senza ma” a favore della pace, fino al punto di negare anche il diritto degli ucraini a ricevere armi che possano supportare la resistenza ai tank russi e chi sostiene le ragioni della loro difesa armata fino al punto di rischiare di mettere in conto anche il punto di non ritorno costituito dallo scontro Nato-Russia.
Se indubbiamente dall’Ucraina all’Ue, dagli Usa e Nato al Vaticano, esistono falchi e colombe, sarebbe però un errore ritenere che tale divisione tra “pacifisti” e “guerrafondai” sia presente anche all’interno del movimento per la pace anche quando rischiamo di dividerci e scontrarci tra chi ritiene che si debba solo trattare e rifiutare di inviare armi in Ucraina e chi ritiene che si debbano fornire delle armi alla resistenza ucraina, mentre si continua a trattare.
Occorre per noi tutti comprendere che questa faglia all’interno del comune movimento per la pace a cui tutti noi apparteniamo non è tra i supposti sostenitori dell’Ucraina che chiudono gli occhi di fronte alle parole di Gino Strada e di Papa Francesco contro la guerra da un lato e coloro che criticando la Nato e gli Usa per la gestione della vittoria nella guerra fredda non vedono le responsabilità russe nell’invasione dell’Ucraina. Dobbiamo provare a comprendere la divisione interna al movimento per la pace come la divisione tra chi mette in primo piano e difende come principio assoluto quella che Max Weber aveva indicato come l’etica della convinzione (la pace senza se e senza ma) e chi al contrario mette l’accento innanzitutto su quella che lo stesso Weber aveva indicato come l’etica della responsabilità (offrire un supporto concreto ai resistenti ucraini nella loro difesa quotidiana del loro paese e della loro vita). Nel primo caso, come lo stesso Weber aveva scritto, chi agisce sulla base delle proprie convinzioni e principi assoluti lo fa, senza preoccuparsi delle conseguenze pratiche a cui l’azione conduce.
Nel caso dell’etica della responsabilità chi agisce cerca di valutare le prevedibili conseguenze del proprio agire in vista di un obiettivo ritenuto di maggior valore (o almeno di un male minore) rispetto ad altri che vede davanti a sé.
E’ chiaro che le due etiche possono diventare antitetiche: l’una sganciata da ogni valutazione pratica, mera testimonianza, l’altra lontana da ogni fondamento valoriale meramente pragmatica e orientata a raggiungere i risultati a scapito dei principi. O, nel nostro caso, l’una che rischia di spingere a diventare dei pacifisti imbelli, l’altra degli interventisti embedded…
Se in astratto la contrapposizione tra le due etiche è radicale, in concreto nel movimento per la pace la differenza di accenti tra chi evidenzia per sensibilità personale, convinzioni religiose o politiche, realismo o altre ragioni ancora di mettere in primo piano le ragioni dell’uno o dell’altro approccio non deve farci avvitare in una guerra civile che faccia perdere di vista alcuni punti centrali e fondamentali per tutti noi e che provo a sintetizzare così: non possiamo non partire da una considerazione di fondo: il rifiuto netto dell’invasione dell’Ucraina e della richiesta russa di espellere dalla Nato i paesi europei che erano sotto il giogo sovietico, va accompagnata da una garanzia che deve essere fornita alla Russia, che mai nessuna arma nucleare offensiva sarà installata in territorio ucraino, qualunque sarà la decisione finale sulla sua appartenenza alla UE o alla Nato.
Questa soluzione permetterebbe all’Ucraina, all’UE, al governo Usa e alla Nato di non cedere ad una richiesta unilaterale e priva di fondamento nel diritto internazionale e alla Russia di accettare una garanzia formale, su base internazionale (ONU) per la propria sicurezza, che permetterebbe di fermare l’invasione (senza “perdere la faccia”) e di ritirarsi avendo ottenuto quello che preme maggiormente. Restano i problemi della Crimea e delle repubbliche del Donbass, resta la questione dell’accesso dell’Ucraina all’UE e alla Nato, ma sono questioni che possono essere affrontate dopo che la Russia abbia ottenuto garanzie per la propria sicurezza e l’Ucraina la fine dell’occupazione russa. Resta la questione del mondo che uscirà dalla crisi, della fine della fiducia reciproca, ma sono questioni che possono essere ricostruite dopo la soluzione politica della crisi attuale.
Se tuttavia la Russia non accettasse questa soluzione, che è l’unica soluzione politica, allora la resistenza armata e determinata del popolo ucraino intero dovrebbe essere supportata con l’aiuto logistico e militare e le sanzioni a livello internazionale, a partire da quelle già in corso dovrebbero completare l’annullamento della cooperazione economica, tecnico-scientifica e culturale con la Ue, gli Usa e i loro alleati, il blocco delle attività delle imprese russe in Ue e Usa (e occidentali in Russia) e dei capitali russi nelle banche occidentali.
I componenti del movimento internazionale per la pace dovrebbero sostenere una strategia di questo tipo, coerente con la scelta della pace e del rifiuto della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali, in grado di offrire a tutte le parti una soluzione vincente e infine ma non per importanza, fondata anche sulle radici più profonde della comune coscienza europea, che, non dimentichiamolo, comprende anche il popolo russo, al quale dovrebbero essere risparmiati la repressione feroce del dissenso a cui stiamo assistendo, il prezzo di vite umane sul terreno della guerra e gli enormi disagi economici e sociali che sta già vivendo e, come il popolo ucraino, sempre più vivrà se la ricerca di una soluzione politica venisse lasciata cadere.
*corrispondente italiano di OCSE per l’International Migration Outlook e Coordinatore e portavoce di GREI250