3 luglio 2015 ore: 15:08
Economia

Piano povertà, "scadute" le promesse di Poletti. E le regioni fanno da sole

Il ministro del welfare aveva promesso un piano organico entro giugno, ma ad oggi non ce n’è traccia. Fermi anche gli oltre 200 milioni per l’allargamento della sperimentazione del Sostegno inclusione attiva (Sia). A Roma ancora nessuna graduatoria dopo un anno e mezzo
Povertà. Mano di anziani e spiccioli

ROMA – Giugno è ormai passato e con lui, al momento, se ne vanno le promesse di un piano nazionale contro la povertà fatte dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, che nei mesi scorsi aveva fatto sperare in un piano del governo per combattere la povertà entro il mese scorso. Ad oggi però, dal ministero non trapelano notizie, neanche sull’allargamento del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia, cioè l’ex nuova social card) al Sud per il quale sono pronti da anni 167 milioni, a cui vanno ad aggiungersi i 40 milioni l’anno per l’allargamento al Centro Nord stabilito in legge di stabilità e i fondi non ancora utilizzati in alcune delle 12 città della sperimentazione della nuova social card avviata dove le card non sono state tutte assegnate per scarsità di domande presentate.

Una storia costellata di ritardi
Un’attesa difficile da spiegare in un contesto sociale dove la povertà assoluta è galoppante, ma la storia del Sia è costellata da ritardi, a partire dalla gestione delle domande per cui è stato necessario un anno intero per pubblicare le prime graduatorie. Mentre in 11 città con più di 250 mila abitanti le prime card sono arrivate, così come le prime erogazioni (all’appello manca ancora Roma), per l’estensione della sperimentazione e l’esaurimento delle risorse non utilizzate nelle 11 città si aspettava, come spiegava allora il ministero del welfare, il nuovo Isee. Quindi il 2015. A sei mesi dalla sua introduzione, però, i pochi soldi disponibili per combattere la povertà sono ancora lì a prender polvere.

Promesse scadute
Di definizione di un piano organico contro la povertà aveva parlato proprio il ministro Poletti a marzo, quando dava per certa l’adozione di uno strumento che potesse intervenire a favore della popolazione più povera. In onda su La7, infatti, il ministro dichiarava: "A giugno ci sarà la strategia italiana per fronteggiare la povertà assoluta e si cercherà di arrivare alla messa a disposizione di 1 miliardo e mezzo di risorse". Nel frattempo, però, non sono mancate le grane sia per il ministero del Lavoro, con tutta la vicenda dei ricorsi sul Nuovo Isee, sia per le casse dello Stato, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla questione pensioni, i cui rimborsi hanno determinato un necessario cambio di strategia in merito all’utilizzo delle risorse economiche a disposizione del governo.

La speranza nella Stabilità
Tuttavia, per il ministro Poletti, per il Sia c’è ancora speranza. E stavolta la deadline è la presentazione della nuova legge di Stabilità. Solo in quell’occasione sapremo se contro la povertà il governo Renzi metterà in campo un piano vero o se si limiterà a dare il nullaosta ai fondi finora bloccati nelle casse dello Stato. Dal mondo delle associazioni, riunite nell’Alleanza contro la povertà, però, traspare un cauto ottimismo. “Poletti ha confermato il suo impegno proprio 10 giorni fa in Sicilia – spiega Gianni Bottalico, presidente delle Acli -. Durante un incontro ha espresso il suo orientamento verso il Reis (il reddito d’inclusione sociale proposto dall’Alleanza, ndr). L’impressione è che il ministro abbia preso a cuore seriamente la questione e ha detto che in ogni caso saranno trovate delle risorse. Come Alleanza ci troveremo nei prossimi giorni per fare un po’ il punto e prima di andare in vacanza faremo un’ulteriore verifica sul governo”.

Intanto le regioni fanno da sole
La storia si ripete. Mentre gli italiani aspettano che anche al di qua delle Alpi possa arrivare uno strumento universale contro la povertà, sul panorama nazionale sembra ripetersi quanto accaduto ormai diversi anni fa. Dopo la sfortunata sperimentazione del reddito minimo di inserimento firmato Livia Turco (col governo Prodi) a fine anni novanta, infatti, le regioni si mossero per conto proprio. Con sperimentazioni altrettanto sfortunate, visti gli esiti. Ed è così, che mentre in Italia la sperimentazione del Sia fatica a partire, c’è chi prova ancora una volta ad andare da solo. È il caso della Basilicata, che ha messo in piedi un proprio “Programma per un reddito minimo di inserimento”, oppure quello della regione Friuli Venezia Giulia, che proprio pochi giorni ha approvato la proposta di legge n. 97 presentata dalla maggioranza riguardante "misure di inclusione attiva e sostegno al reddito": alla misura potranno accedere i nuclei famigliari con un Isee fino a 6 mila euro e potranno ricevere un contributo fino a 550 euro nel caso di famiglie con figli minori per la durata massima di 24 mesi. Si tratta di una erogazione vincolata ad un patto d’inclusione, per cui il beneficiario è tenuto a frequentare corsi e cercare un lavoro, e sarà necessario avere una residenza minima di 2 anni nella regione. Non ultima la Lombardia, dove il governatore Roberto Maroni ha annunciato un reddito minimo per ottobre. Lo stesso Maroni che, secondo Emanuele Ranci Ortigosa, presidente emerito e direttore scientifico dell'Istituto per la ricerca sociale (Irs), in veste di ministro del Welfare (2001-2006) mise sotto chiave per diverso tempo i risultati della sperimentazione Turco. Non sono mancate, però, le polemiche sulla proposta Maroni che potrebbe essere indirizzata solo ai comunitari, o come avrebbe affermato in altre occasioni, solo agli italiani. La storia, però, insegna che le proposte regionali, al contrario di piani organici nazionali, sono fragili. Come dimostra il primo tentativo promosso proprio dalla regione Friuli Venezia Giulia anni fa. Un programma contro la povertà durato solo un anno, cassato immediatamente dopo il cambio di giunta. E finito nel dimenticatoio. Così come l’esperienza campana.  

Per il Sia a Roma è ritardo record
Ultima tra le grandi città selezionate per la sperimentazione della nuova social card, in corsa rinominata Sia, prima nella classifica dei ritardi. In giro per l’Italia, infatti, la gestione delle domande ha fatto registrate tempi di circa 12 mesi, ma a Roma l’attesa è stata ancora più estenuante. Partita in ritardo per non far coincidere l’avvio della sperimentazione con le elezioni del nuovo sindaco, da febbraio 2014 ad oggi si sa ancora poco sulle oltre 8 mila domande presentate, nonostante le pressioni dell'attuale assessore al sociale, Francesca Danese, che ha ereditato una sorta di "patata bollente". Un anno e mezzo e manca ancora la graduatoria provvisoria. Tuttavia dal comune, che già qualche mese fa aveva dato per imminente la pubblicazione della graduatoria, trapela qualche notizia e sembra che per la metà di luglio ci sarà la prima graduatoria che assegnerà circa 3 mila card. Se tutto va bene, quindi, bisognerà aspettare l’autunno del 2016 per poter tirare le somme su erogazioni e servizi attivati (come vorrebbe una sperimentazione). Risultati che potrebbero essere già superati dalla realtà, se le promesse di Poletti dovessero realizzarsi entro l’anno. Senza dimenticare che, intanto, mentre il governo pensa ad una propria proposta, in Parlamento c’è chi lavora ad un testo di legge per introdurre un reddito di cittadinanza. Tutto pronto, quindi, per un dibattito infuocato dopo che il 15 luglio l’Istat pubblicherà i dati aggiornati sulla povertà in Italia. (ga) 

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