Piemonte contro il caporalato, alle aziende un vademecum anti sfruttamento
TORINO - Che il fenomeno del caporalato si fosse insinuato anche tra le colline piemontesi lo sospettavano in parecchi. Ma le recenti denunce di Flai-Cgil e il caso di Riccardo Coletti - giovane cronista della Stampa che appena dieci giorni fa è stato ripetutamente minacciato nel corso di un’inchiesta sullo sfruttamento dei migranti nelle vigne dell’astigiano - hanno iniziato a far luce su una realtà che forse è perfino peggiore di quanto si fosse finora immaginato. Al punto che anche la giunta regionale si è decisa a scendere in campo, approntando un piano di contrasto al fenomeno che nelle prossime settimane dovrebbe tradursi nella creazione di un tavolo di lavoro, nel quale, oltre alle istituzioni regionali, siederanno sindacati e associazioni, impegnati a definire dei validi meccanismi di monitoraggio e controllo.
Un primo passo, comunque, l’assessorato all’agricoltura lo ha già compiuto, recapitando alle aziende agricole sul territorio un vademecum anti sfruttamento: i tecnici della regione vi hanno schematizzato il mare magno delle leggi, delle tipologie contrattuali e dei diritti e dei doveri del datore di lavoro nei confronti dei braccianti. Come a dire, tra le righe, di prepararsi a un auspicabile e imminente giro di vite. Secondo l’assessore Giorgio Ferrero, l’opuscolo rappresenta un vero e proprio “manuale d’uso, che servirà - spiega - a scongiurare episodi analoghi a quelli denunciati nelle scorse settimane”.
Secondo un recente rapporto Flai-Cgil - pur nell’assenza di dati ufficiali - il caporalato in Piemonte sarebbe un fenomeno in preoccupante crescita. Sul territorio sabaudo, le aree critiche sono soprattutto quelle dell’astigiano e del cuneese: già da anni, sindacati e associazioni denunciano il rischio che l’area si trasformi in una Rosarno del nord Italia, dal momento che è proprio nei campi di Canelli, Saluzzo, Castelnuovo Scrivia e Tortona che in primavera si riversano i braccianti in arrivo dalle baraccopoli di Calabria e Salento.
Per questo, nel 2011, la Flai Piemonte ha avviato una campagna annuale di monitoraggio e raccolta dati nelle campagne della regione: a Canelli, ad esempio, i volontari hanno da poco raccolto una sequenza di fotografie che documentano le sconcertanti condizioni dei braccianti che dormono nelle baraccopoli improvvisate ai margini del fiume Belbo. Si tratta soprattutto di Bulgari, Romeni, Albanesi e Africani, che ad ogni primavera arrivano per le raccolte stagionali, restando poi fino ad autunno per proseguire con la vendemmia nelle vigne del Moscato, riconosciute dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Stando alle testimonianze raccolte dal sindacato, sempre più spesso i braccianti lavorerebbero sotto ricatto e in condizioni di sfruttamento, per una paga che si aggira sui 3 euro e 50 l’ora, e con giornate lavorative che supererebbero le dieci ore. (ams)