4 dicembre 2017 ore: 15:06
Economia

Più ombre che luci sull'applicazione del Sia in Lombardia

Da uno studio condotto da un gruppo di enti del terzo settore, è emerso che solo la metà delle domande al Sostegno di inclusione attiva è stata soddisfatta e che nella maggior parte dei casi non sono stati attivati percorsi di reinserimento lavorativo o sociale. Un risultato che fa temere in un flop del Rei, la nuova misura di contrasto alla povertà partita il primo dicembre
Euro in primo piano, reddito minimo, povertà

MILANO - Dal primo dicembre le famiglie più in difficoltà possono presentare la domanda per ottenere il Rei, ossia il Reddito di inclusione. Ma il rischio è che questa nuova misura varata dal Governo parta male. In Lombardia un gruppo di realtà del terzo settore ha realizzato infatti un monitoraggio su come è andata la sperimentazione con il Sostegno per l'inclusione attiva (Sia), varata sempre dal Governo italiano proprio per testare forme di lotta alla povertà, che prevedano un contributo mensile a patto che si segua un percorso di reinserimento lavorativo o abitativo o sociale, concordato con il Comune in cui si risiede. Dal monitoraggio è emerso che in Lombardia sono state soddisfatte solo la metà delle domande, che c'è una carenza di personale e che sono stati pochi i percorsi di reinserimento pattuiti con i Comuni.

Bastano questi dati sull'applicazione del Sia per capire quali sono i rischi di un flop del Rei, visto che entrambe le misure sono simili, ma il Rei sarà esteso a una platea molto più numerosa di famiglie. Nella regione il Sia ha coinvolto 91 aggregazioni di Comuni: sono state 26.657 le domande presentate mentre quelle effettivamente soddisfatte sono state 11.167. Ma il dato più preoccupante è che il 42% delle aggregazioni di Comuni non aveva un'equipe multidisciplinare per la presa in carico delle situazioni di povertà e quindi la definizione dei progetti di inclusione lavorativa o sociale che i beneficiari devono concordare con i servizi sociali. Non solo. Solo 39 aggregazioni di Comuni hanno attivato protocolli o accordi con i centri per l'impiego e appena 3 hanno attivato protocolli o accordi con uffici casa. Accordi che servono proprio per avviare i percorsi di inserimento lavorativo o per risolvere il problema della casa. Basso è anche il numero delle aggregazioni di Comuni che hanno attivato protocolli con centri di formazione professionale: 14. In altri termini, nella maggior parte dei casi, il contributo è stato dato senza che a queste famiglie fosse realmente proposto un serio progetto di reinserimento lavorativo. "Come hanno dimostrato molti studi, il problema non sta spesso nella carenza di risorse -spiega Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, che insieme agli altri enti ha realizzato lo studio sul Sia-, ma in come vengono spese. Il Rei è un primo passo importante per un effettivo contrasto alla povertà, ma non vogliamo che queste misure siano lasciate a metà. L'aspetto più importante per il Rei è che il contributo sia accompagnato da un vero percorso verso l'autonomia della famiglia in difficoltà".

In Lombardia sono circa 18 mila le famiglie potenzialmente beneficiarie del Rei. Ci sono però meno di 2mila assistenti sociali nei Comuni. Secondo gli enti che hanno condotto lo studio, perché il Rei abbia successo è necessario che siano rafforzati i servizi sociali, che sia coinvolto il terzo settore e che la Regione stanzi ulteriori risorse finanziarie in aggiunta a quelle che arriveranno del Governo.
Gli enti del terzo settore che hanno condotto lo studio sul Sia sono: Acli Lombardia, Actionaid, Aggiornamenti Sociali, Anci Lombardia, Azione Cattolica di Lombardia, Banco Alimentare Lombardia, Caritas Lombardia, Cisl Lombardia, Cgil Lombardia, Confcooperative Lombardia, Inps Lombardia, Società San Vincenzo de Paoli Lombardia, Uil Milano e Lombardia.

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