24 novembre 2023 ore: 14:42
Società

Pnnr e beni confiscati: le proposte di Libera e delle realtà sociali che li gestiscono

Dopo la decisione del Governo di cancellare i 300 milioni di euro previsti, l'Agenzia per la Coesione prosegue nelle procedure di attuazione della misura e i comuni destinatari dei finanziamenti proseguono nella progettazione. Libera: “Segnali preoccupanti che vedono un approccio sempre più privatistico al tema del riutilizzo dei beni confiscati e l’introduzione sempre più frequente nel dibattito pubblico del tema della vendita”
Beni confiscati, mafie, chiusura, lucchetto

Le norme sull’attacco ai patrimoni mafiosi e sul riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie hanno compiuto, in questo 2023, rispettivamente 41 e 27 anni. Un percorso lungo, fatto di accelerazioni e rallentamenti, criticità e punti di forza, ma che, innegabilmente, ha segnato e segna una delle punte più avanzate dell’azione di contrasto dello Stato alle organizzazioni mafiose. “Con un elemento in più, che travalica i confini della dimensione giudiziaria e aggiunge valore a valore – afferma Libera -, cioè quel principio risarcitorio che trova attuazione e concretezza nella restituzione sociale del maltolto, nel ritorno alla collettività dei beni accumulati illecitamente sotto forma di servizi, opportunità, lavoro, economia, riscatto, cambiamento. Una storia davvero rivoluzionaria, che muove i suoi primi passi grazie alla lucidità e alla lungimiranza di Pio La Torre e poi, 13 anni più tardi, grazie a più di un milione di cittadini italiani che, aderendo alla campagna promossa da Libera, sostennero con la loro firma il disegno di legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati”.

Partendo da questi presupposti, Libera ha promosso a Roma presso la nuova sede un appuntamento nazionale con la partecipazione di associazioni, istituzioni, soggetti gestori dei beni e cittadinanza per fare il punto sul tema dei beni confiscati e del loro riutilizzo pubblico e sociale.
“Nonostante - commenta Libera - l’indiscusso valore della legge e delle tante buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie, divenute esempio all’estero ed osservate con attenzione come spunto dal legislatore europeo, oggi cogliamo preoccupanti segnali che vanno in una direzione opposta. Sono segnali di un cambiamento di paradigma che, da più parti, mette in discussione queste conquiste anche attraverso una narrazione tossica e distorta, che, a nostro avviso, non coglie la realtà delle cose. Un approccio sempre più privatistico al tema del riutilizzo dei beni confiscati, l’introduzione sempre più frequente nel dibattito pubblico del tema della vendita e della rimodulazione delle misure di prevenzione, la banalizzazione delle criticità che affliggono la materia. Messaggi che convergono su una lettura superficiale e ingiusta, a partire dalla quale si getta un discredito generalizzato su uno strumento che, invece, ha consentito una vera e propria rivoluzione. È forse una delle conseguenze di quella tendenza alla ‘normalizzazione’, più volte denunciata da Libera, che ha lasciato fuori il tema della lotta alle mafie dall’agenda politica, riducendo mafie e corruzione a uno dei problemi marginali del Paese”.

“La decisione del Governo di cancellare con un tratto di penna i 300 milioni di euro previsti dal Pnrr per la rifunzionalizzazione e la valorizzazione dei beni confiscati è l’ennesima evidente dimostrazione di tutto questo”, aggiunge Libera. Che esprime tutta la sua preoccupazione: “Parliamo di 300 milioni di euro per la realizzazione di oltre 200 progetti nelle otto regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) e che vede, nel dicembre 2022, l’approvazione con decreto di una graduatoria e dei relativi finanziamenti. L’iter prosegue con ulteriori adempimenti tecnici dell’Agenzia, fino all’approvazione del Decreto del 19 dicembre 2022, che approva le graduatorie e i finanziamenti, poi integralmente sostituito da un successivo decreto del 21 marzo 2023. Il 27 luglio 2023 il Governo, tramite il ministro Raffaele Fitto, presenta la proposta di revisione del Pnrr, che prevede il definanziamento di alcune misure, per un totale di 15,89 miliardi di euro. Tra queste, vi è anche la misura relativa alla ‘Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie’, completamente definanziata. E da quel momento tanta confusione sotto il cielo di Roma e Bruxelles. Infatti – continua l’associazione -, non sembra seguire all’annuncio del Governo alcun documento ufficiale inviato ai Comuni. Anzi, l’Agenzia per la Coesione prosegue l’iter amministrativo con una serie di atti formali, in particolare con due diversi decreti di anticipazione delle risorse su richiesta dei beneficiari che lascia presupporre che l’Agenzia stia andando avanti nelle procedure di attuazione della Misura. Lo confermerebbe anche il fatto che, pur in un quadro di forte incertezza, i comuni destinatari dei finanziamenti stanno anch’essi procedendo. E in questa fotografia l’annuncio del definanziamento non è stato mai stato smentito e ritirato. Allo stesso modo, a quanto ci è dato di sapere, il Governo non ha mai definito quali risorse alternative sarebbero state individuate a copertura dei fondi definanziati”.

E se da un lato si registra confusione e incertezze, dall'altro la realtà racconta che, dopo la legge Rognoni - La Torre del 1982, la Legge 109 del 1996 è diventata un ulteriore spartiacque nella storia dell’antimafia istituzionale e sociale del nostro Paese. Afferma Libera: “Oggi sono oltre 1000 le realtà sociali che in tutta Italia, ogni giorno, con coraggio e generosità, trasformano luoghi che erano il simbolo del dominio criminale e mafioso sul territorio in luoghi in grado di raccontare una storia altra, un modello diverso di società, di comunità, di economia e di sviluppo”. L’indagine “Raccontiamo il bene”, che Libera ha lanciato nel gennaio 2023, ha restituito anche elementi di sostenibilità economica e sociale della filiera della confisca e del riutilizzo: sul campione preso in esame si contano oltre 9.000 persone che, ogni anno, entrano nei beni confiscati e prendono parte al loro riutilizzo. Luoghi parlanti, dall’ inestimabile valore educativo e pedagogico.

“In questi anni è stato compiuto un lavoro straordinario, di cui andare fieri e orgogliosi, che ha visto impegnati, ciascuno per la propria parte e con le proprie responsabilità e competenze, magistratura e forze armate e di polizia, associazioni, cooperative, sindacati, realtà legate alla Chiesa, istituzioni ed enti locali – continua Libera -, che sono riusciti a trasformare questi beni da beni esclusivi a beni di comunità: scuole, centri di aggregazione, esperienze produttive, luoghi di accoglienza e di cura, senza dimenticare le significative esperienze legate alle aziende confiscate e rimaste sul mercato grazie all’impegno delle cooperative di lavoro. Insomma, un enorme lavoro plurale che ha rafforzato il tessuto sociale e che tiene unite le relazioni di una comunità, facendo da modello anche sul piano europeo e internazionale”.

Le proposte di Libera

Per ribadire questa convinzione e per chiedere a gran voce che il tema del riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati torni con forza nel dibattito pubblico e nell’agenda politica, Libera ha creduto necessario rafforzare ulteriormente il già costante confronto con le tante realtà sociali che gestiscono beni confiscati, dal nord al sud del Paese. “Un percorso condiviso e partecipato, che ha fotografato un pezzo d’Italia che resiste e combatte, che ogni giorno si impegna per liberare i propri territori dalla presenza criminale e mafiosa, per dare nuove opportunità di vita alle persone. Un confronto che disegna la nostra visione politica sul tema e che fissa le nostre proposte e le nostre richieste”

Afferma l’associazione: “Chiediamo alle forze politiche del nostro Paese che il Codice Antimafia sia tutelato e attuato in tutte le sue positive innovazioni, quale strumento efficace di contrasto patrimoniale alle mafie. È fondamentale che diventi effettiva l'estensione ai corrotti delle norme su sequestri e confische previste per chi appartiene alle organizzazioni mafiose, assicurando così la piena equiparazione della confisca e del riutilizzo dei beni tolti ai corrotti e alla criminalità economica e finanziaria”. E ancora: “Chiediamo agli uffici giudiziari coinvolti di prediligere il riutilizzo in fase di sequestro, così come già previsto dal Codice Antimafia, all’articolo 40 comma 3 ter; chiediamo al legislatore nazionale, alle istituzioni e al mondo della magistratura che venga rafforzato il principio di priorità del riutilizzo sociale del bene confiscato, vero strumento del principio risarcitorio contro la violenza e il controllo mafioso; Chiediamo all’Anbsc che, nei casi di assenza di manifestazione di interesse da parte degli enti ad acquisire i beni immobili nel proprio patrimonio, si percorra ogni possibile soluzione, anche coinvolgendo direttamente il Terzo Settore e la cooperazione, per evitare la destinazione alla vendita, perché questa resti davvero sempre l’ultima ratio”

Infine, “chiediamo al legislatore nazionale che, all'interno del Fug, si possano agevolmente individuare le risorse necessarie per soddisfare i creditori riconosciuti quali terzi in buona fede ed evitare così che, in attesa delle necessarie verifiche dei crediti, centinaia di beni immobili vengano accantonati e tenuti inutilizzati; che i fondi del FUG si possano utilizzare anche per la restituzione per equivalente dei beni nei casi di revoca della confisca, per evitare che le esperienze sociali si interrompano, come pure accaduto in alcuni casi. E chiediamo agli enti locali di sostenere i soggetti gestori in ogni fase dell’esperienza di riutilizzo, non solo attraverso l’impiego di risorse finanziarie, ma anche con la gestione delle pratiche amministrative più complesse, ritenendosi così coinvolti in partenariati sul riutilizzo sociale dei beni confiscati che non si esauriscono una volta terminato l’iter iniziale di assegnazione; che adempiono all’obbligo di pubblicazione degli elenchi dei beni trasferiti al loro patrimonio nella sezione Amministrazione Trasparente del proprio sito istituzionale, così come stabilito all’articolo 48 del Codice Antimafia”.

La geografia del riutilizzo dei beni confiscati

Sono 991 i soggetti impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli enti locali, in 18 regioni e in più di 359 comuni italiani (227 al nord, 68 al centro, 696 al sud e nelle isole). Dai dati raccolti attraverso l'azione territoriale della rete di Libera emerge che più della metà delle realtà sociali è costituita da associazioni di diversa tipologia (525) mentre le cooperative sociali sono 217 (con 5 cooperative dei lavoratori delle aziende confiscate e 212 consorzi di cooperative). Nel censimento non sono compresi i beni immobili riutilizzati per finalità istituzionali dalle amministrazioni statali e locali. La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie è la Sicilia con 267 soggetti gestori, segue la Calabria con 148, la Lombardia con 141, Campania 138.

comuni italiani “rimandati” sul livello di trasparenza: su 1073 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati 681 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet. Ciò significa che ben sei comuni su dieci sono inadempienti pari al 63,5 % (erano 62% nel primo report). Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia compreso le isole con ben 400 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 215 comuni e il Centro con 66 comuni che non pubblicano dati. Non va meglio per gli enti sovra territoriali: su 10 province e città metropolitane destinatarie di beni confiscati, il 50% non pubblica gli elenchi. Delle 6 regioni, solo 2 (Calabria e Piemonte) adempiono all’obbligo di pubblicazione (il 33,3%). A livello regionale, tra le più “virtuose”, coloro che raggiungono o superano il 50% dei comuni che pubblicano elenco, registriamo la Campania con il 56% dei comuni che pubblicano elenco, Emilia Romagna con 55%, Marche e Umbria con il 50% dei comuni e Lazio che con il 48,5% si avvicina di molto. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo la Calabria dove solo il 18,8% dei comuni pubblicano elenco, segue Abruzzo e Friuli Venezia Giulia (25%), Sicilia (29,9%) e Toscana (29,6%).

Complessivamente secondo i dati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 15 novembre 2023) sono 19.917 i beni immobili (particelle catastali) destinati ai sensi del Codice antimafia e sono invece in totale 22.684 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Sono invece 1.764 le aziende destinate mentre sono 3102 quelle in gestione. 
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