29 luglio 2014 ore: 17:24
Famiglia

Politiche per l'infanzia, "trasformare in asili nido parte degli assegni familiari"

Impiegando 1,5 miliardi dei 6,5 totali, il numero di bambini presi in carico potrebbe aumentare di 201 mila, con 42 mila nuovi occupati. Le proposte della Fondazione Zancan presentate oggi in audizione alla Commissione
Asilo nido, scuola per l'infanzia: bambini dietro giochi

PADOVA - Le vecchie logiche di lotta alla povertà infantile vanno abbandonate. Si deve puntare su formule nuove che consentono, a risorse invariate, di tutelare davvero l’infanzia. È questo il senso dell’intervento di questo pomeriggio del direttore della Fondazione Zancan Tiziano Vecchiato, in audizione alla Commissione Infanzia e adolescenza nell’ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile.

Una delle proposte presentate dalla fondazione padovana è di trasformare una parte degli attuali trasferimenti per assegni familiari, che valgono 6,5 miliardi, in servizi per la prima infanzia. Trasformando 1,5 miliardi in asili nido, ad esempio, il numero di bambini presi in carico potrebbe aumentare di 201 mila unità, con un incremento del numero di addetti pari a 42 mila nuovi occupati.

Che non si possa più aspettare lo confermano i dati. Il numero di minori in povertà assoluta è in costante aumento (723 mila nel 2011, 1.058 mila nel 2012, 1.434 mila nel 2013, Istat) e il confronto europeo è impietoso: nel 2012 tra i bambini fino a 6 anni quasi uno su tre (31,9%) era a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia, contro poco meno del 26% a livello medio europeo (Eurostat). Le risorse, d’altro canto, sono inadeguate e male utilizzate: quelle a favore di famiglie con minori nel 2010 erano il 4,6% della spesa complessiva di protezione sociale in Italia, contro l’8% della media Ue.

Dai confronti europei, insomma, ci sarebbe molto da imparare. Dimostrano, ad esempio, che la disponibilità di servizi per la prima infanzia contribuisce notevolmente a ridurre la povertà dei bambini, ben oltre l’effetto dei trasferimenti economici. “I servizi socioeducativi consentono la conciliazione famiglia/lavoro e facilitano lo sviluppo cognitivo e relazionale per i bambini, soprattutto per quelli che provengono da contesti familiari svantaggiati. Offrono inoltre possibilità di nuova occupazione” ha sottolineato Vecchiato citando il progetto Tfiey – Transatlantic Forum on Inclusive Early Years, che si occupa di favorire dibattito e confronto internazionale su questi temi.

Ma la realtà in Italia per ora è un’altra: solo il 13,5% dei minori di 0-2 anni nell’a.s. 2011/2012 aveva accesso a servizi socioeducativi comunali, l’11,8% considerando i soli asili nido. Dati che nasconono una marcata eterogeneità territoriale: a fine 2011 il tasso variava tra l’1,9% della Campania e il 24,4% dell’Emilia-Romagna (Istat, 2013). “La nostra proposta prefigura scenari di welfare alternativi a quello che conosciamo, recessivo e degenerativo – ha aggiunto il direttore – ed è percorribile anche in tempi di crisi, poiché non richiede nuove risorse ma un utilizzo migliore di quelle a disposizione”. 

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