8 dicembre 2014 ore: 17:04
Economia

Povertà, allarme dell'Ocse: così le disuguaglianze frenano la crescita

Secondo lo studio “Focus inequality and growth” all’aumentare delle disparità economiche corrisponde una frenata della crescita dei paesi. L’Italia, dal 1985 al 2010, ha perso per questo il 6,6 per cento di Pil. “Servono politiche ridistributive”
Soldi povertà

ROMA - La crescita  nelle differenze di reddito fra i più ricchi e i più poveri ci fa perdere miliardi e miliardi di euro e di conseguenza molti punti percentuali di Pil, e non bastano misure politiche ed economiche per affrontare la povertà assoluta, ma bisogna concentrarsi sulla ridistribuzione non solo nei confronti del dieci per cento delle persone che stanno peggio ma anche con provvedimenti orientati a quel 40 per cento che rappresenta le classi sociali medio-basse. Questi i risultati, per certi versi sconvolgenti, dell’ultima relazione Ocse “Focus inequality and growth” che ha analizzato la correlazione fra aumento nelle disuguaglianze sociali e frenata della crescita economica in 21 paesi, fra cui l’Italia.

Nello studio si mostra come le differenze di reddito siano ai massimi storici degli ultimi trent’anni: oggi, nell’area Ocse, il 10 per cento più ricco della popolazione guadagna 9,5 volte di più del 10 per cento più povero, mentre negli anni ’80 il rapporto era di 7. Anche l’indice di Gini, che misura le disuguaglianze sociali, è aumentato in media di tre punti percentuali, passando da 0,29 a0,32 in una scala in cui 0 è nessuna disuguaglianza sociale e 1 è tutto il reddito concentrato nelle mani di una sola persona. Fra l’altro l’Italia ha registrato proprio lo stesso aumento di indice Gini della media Ocse, passando da 0,291 a 0,321.

Ma tutto questo è abbastanza noto. Quello che invece fino a oggi risultava meno dimostrabile era il legame fra disparità di reddito e crescita economica: il rapporto ha rilevato come, all’aumentare delle disparità economiche corrisponda una frenata della crescita del paese. Con un aumento del coefficiente di  Gini in media di tre punti, come detto sopra, l’Ocse ha stimato  che nei ventuno paesi esaminati ci sia stata, nei 25 anni, fra il 1985 e il 2010, una perdita  di ben l’8.5 per cento del Pil (0,35 per cento all’anno). L’Italia, per esempio, ha perso  il 6,6 per cento di Pil a causa della disuguaglianza, registrando una crescita dal 1985 al 2010 leggermente superiore all’8 per cento, mentre sarebbe potuta essere del 14,7 per cento. Come dire, il nostro prodotto interno lordo sarebbe potuto crescere di quasi il doppio rispetto a quanto è cresciuto se la nostra società avesse diminuito drasticamente le disuguaglianze.

Più o meno la stessa riduzione di punti percentuali di Pil a causa delle disparità di reddito (fra il 6 e il 7 per cento) è stata registrata negli Stati Uniti e in Svezia. Più del 10 per cento di Pil sarebbero andati in fumo in Messico (-11,3 per cento) e Nuova Zelanda (-15,5 per cento), e quasi il 9 per cento nel Regno Unito, in Finlandia e in Norvegia. Dall’altro lato dello spettro, una diminuzione delle differenze nella distribuzione del reddito ha aiutato il Pil pro capite a crescere in Spagna, Francia e Irlanda.

E gli effetti negativi di queste differenze nel reddito, secondo l’OCSE, non si fanno sentire solo nel 10 per cento più povero della popolazione, ma anche nei quattro ultimi decili, in pratica in quasi metà degli abitanti che fanno parte dei ceti meno abbienti. Da qui la raccomandazione del rapporto di attuare politiche ridistributive mirate attraverso sussidi alle famiglie con bambini, per esempio, per favorirne l’educazione e la scalata sociale, ma anche attraverso tasse e sussidi mai però dati a caso. Infatti, si rileva nello studio, la ridistribuzione frena la crescita solo quando è fatta male, a pioggia e crea quindi spreco di risorse non essendo focalizzata ad obiettivi e categorie di persone ben precisi.

Ma perché la disuguaglianza frena la crescita? Dalla relazione OCSE emerge una teoria ben precisa che ha a che fare, come accennato, con l’istruzione: le differenze di reddito, prevenendo l’accumulazione di capitale umano, creano meno opportunità educative per le categorie di cittadini più svantaggiati, anche quando vengono da famiglie con un livello di istruzione medio-alto. Queste mancate opportunità si rilevano sia nei meno anni di scuola che nella scarsa qualità del processo di apprendimento di certe capacità, ad esempio le abilità matematiche. In conclusione, il rapporto sfata il mito secondo cui i politici devono sempre trovare un difficile compromesso fra il favorire la crescita economica e il combattere le disuguaglianze sociali. In pratica, dice l’Ocse, se si attuano misure per ridurre le disparità di reddito, anche l’economia in generale ne gioverà parecchio. (Maurizio Molinari)

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