Povertà, basta misure spot. Guerra (Pd): "Serve un piano nazionale"
ROMA – Giusto dare priorità alla lotta contro la povertà, ricordando però che non servono i bonus e che non basta agire sul versante del lavoro perché c’è bisogno di un’azione su più fronti per sconfiggerla. Maria Cecilia Guerra ha visto da vicino, nella sua esperienza da viceministro e sottosegretario al Welfare nei governi Monti e Letta, la partenza del cosiddetto “Sia”, la sperimentazione di una misura di contrasto alla povertà che unisse all’erogazione monetaria anche una serie di servizi sul territorio. La via giusta per contrastare la povertà per Guerra, oggi senatrice del Pd, è proprio quella, e passa per una messa a regime di un piano nazionale che abbia condizioni di accesso uguali su tutto il territorio nazionale e una gestione demandata alla responsabilità dei comuni con l’ausilio di soggetti pubblici e privati.
“Oggi abbiamo una vera emergenza, quella delle famiglie che sono in una situazione di difficoltà economica che non permette una vita decorosa. Molte di queste famiglie hanno minori al loro interno, verso i quali abbiamo la responsabilità collettiva di non offrire loro delle opportunità in situazione di parità: vivere in povertà l’infanzia o l’adolescenza significa vedersi precludere delle strade per tutta la vita”, dice ricordando la letteratura scientifica sul tema.
Quale la strada per intervenire? “Sono contraria a politiche di bonus nel campo del welfare. Non parlo degli 80 euro Irpef che il governo ha introdotto lo scorso anno, perché quella era una via di mezzo fra una politica redistributiva e una misura di riduzione del cuneo fiscale. Ma un intervento contro la povertà attuato con un bonus sarebbe un’altra cosa. Le politiche di welfare vero e proprio non si fanno con i bonus, ci vuole una programmazione strutturata che duri nel tempo e che riguardi non solo un sostegno economico ma anche la creazione di condizioni che permettano alla famiglia di potersi mettere al più presto in una condizione di autonomia e di inclusione sociale piena”. Bisogna dunque “affiancare al trasferimento monetario anche dei servizi”, che riguardino sì il lavoro ma che devono guardare anche oltre. “In un terzo delle famiglie in povertà non ci sono persone attivabili al lavoro, occorre un accompagnamento ad ampio raggio, esteso anche nei campi della scuola, della sanità, del lavoro, della partecipazione”.
E se i soldi non bastassero? “Anche se i soldi necessari per una misura universale di contrasto alla povertà sono molto maggiori della somma disponibile, è importante però avviarla subito, graduandola inizialmente in funzione della gravità della situazione dei destinatari. E’ importante che prenda in carico tutto il territorio nazionale e che riguardi tutte le famiglie che sono nelle condizioni per poter partecipare al beneficio. Oggi le forme di contrasto alla povertà sono poche e categoriali, riguardano solo gli anziani, o solo i lavoratori, e così via. Ci vuole una politica permanente e non certo un bonus: non è con il bonus, con una gestione una tantum, che si sconfigge la povertà”. Per Guerra è importante soprattutto sottolineare che le misure contro la povertà non possono essere affrontate con misure di welfare lavoristico, cioè con misure legate al mondo del lavoro. Più di un terzo delle famiglie in povertà relativa non hanno persone attivabili al lavoro, e in ogni caso molte persone in povertà un lavoro già ce l’hanno. “Non ce la raccontiamo, se lavori ma hai una retribuzione bassa e hai dei carichi familiari sei sotto la soglia di povertà”. Ma c’è di più, perché anche fra gli “attivabili” (coloro che non lavorano ma potrebbero farlo) ci sono situazioni che non permettono di andare a lavoro: “Una mamma di tre figli, o una con un figlio gravemente disabile, probabilmente non hanno alcuna disponibilità al lavorare. L’attivazione di chi non lavora va perseguita con forza con offerte adeguate, ma nel contrasto alla povertà non può esserci solo questo”.
Come deve essere quindi questa misura? “Intanto deve essere universale, deve riguardare tutto il territorio nazionale ed essere ovunque uguale. In secondo luogo deve coinvolgere tutte le famiglie che si trovano nelle condizioni per accedervi. La condizione da valutare è centrata sulla condizione economica del nucleo familiare. Del nucleo familiare, non della singola persona: un giovane in cerca di lavoro che vive a casa con i genitori che stanno bene non è in condizione di povertà ma se è uscito dalla famiglia di origine per costruirsi un suo nucleo può aver bisogno di un supporto immediato; allo stesso tempo un coniuge che non lavora ma ha un coniuge con un buon reddito non è in una condizione di povertà: soggettivamente è disoccupato, inattivo e probabilmente attivabile, ma magari non vuole farlo o non è interessato a farlo. La povertà si valuta sulla famiglia, e questo è un altro motivo per cui il bonus non è la soluzione giusta, visto che il bonus che viene erogato con il sistema fiscale o in base alla condizione lavorativa del soggetto non tiene conto della dinamica familiare”.
La famiglia è destinataria del contributo erogato dallo Stato: i soldi non passano per i comuni, né tanto meno a soggetti del terzo settore, ma sono trasferiti direttamente dallo Stato alla famiglia. Parallelamente all’erogazione monetaria, però, viene messo in piedi un accompagnamento più ampio, con una serie di servizi che inglobano l’attenzione all’infanzia, un monitoraggio sull’assolvimento dell’obbligo scolastico, il rispetto protocolli sanitari, le politiche abitative, e così via. Se l’accesso è definito su base nazionale (ed è dovunque uguale), la gestione del programma di accompagnamento è invece responsabilità del comune, che deve poi fare rete sul territorio con gli altri soggetti, pubblici e privati, che possono essere coinvolti. Ad iniziare dai centri per l’impiego per la parte lavorativa, ma coinvolgendo anche le associazioni e i soggetti del terzo settore.
In sintesi quindi: “E’ giusto dare una priorità alla lotta contro la povertà; la povertà non è però solo mancanza di lavoro ed è sbagliato combatterla facendo riferimento solo all’azione dei centri per l’impiego; la condizione economica va valutata in riferimento al nucleo familiare; è sbagliato agire con la logica dei bonus; l’accesso deve essere uguale su tutto il territorio nazionale; la misura deve unire un’erogazione monetaria ad una serie di servizi sul territorio; l’erogazione monetaria viene erogata dallo Stato alla famiglia; il Comune è il soggetto pubblico responsabile dell’attivazione della serie di servizi compresi nella misura”. (ska)