Povertà, casa, volontariato: il welfare della regione Toscana
FIRENZE - Povertà, casa, carcere, migranti, volontariato. L’assessora alle Politiche sociali della Regione Toscana, Serena Spinelli, spazia a 360 grandi sui temi che riguardano il suo assessorato in un’intervista a Redattore Sociale. In tema povertà, sottolinea, è stato varato uno specifico piano triennale da 71 milioni di euro. In tema casa, ci sono criticità per cui l’assessora lancia un appello per più risorse al governo centrale, ma la Regione ha stanziato comunque 16 milioni per acquisire nuovi immobili. Sul fronte migranti, resta forte il no al Cpr. E poi il carcere, con i protocolli per il lavoro dei detenuti e il polo universitario nei penitenziari.
Assessora Spinelli, partiamo dal volontariato. Mezzo milione di volontari in Toscana sono pronti a dare una mano ma non entrano nelle associazioni. Tanti giovani vorrebbero aiutare ma hanno vite troppo complesse. E’ quanto emerso da una ricerca del Cesvot. Come intercettare questi giovani? Come devono cambiare le associazioni? Cosa può fare la Regione?
Se tanti giovani e molte persone si dicono disponibili a dare una mano ma non ci riescono perché hanno vite troppo complesse, credo che per prima cosa ci si debba interrogare su un modello di società che schiaccia i tempi di vita sui tempi del lavoro. Detto questo, sono certa che le organizzazioni toscane, anche sulla base dei risultati della ricerca, saranno capaci di continuare ad aggiornare le proprie modalità, in modo da risultare più attrattivi e accessibili. Quando si dice che il volontariato rappresenta un patrimonio insostituibile, in particolare per la Toscana che è una delle regioni con il più alto tasso di partecipazione, si rischia forse di non comprendere bene cosa questo significa. Senza il supporto del volontariato molti servizi sociosanitari non sarebbero possibili, così come senza i circoli o le associazioni di promozione sociale verrebbero meno tante iniziative solidali e occasioni di socialità. Gli esempi potrebbero continuare, grazie a migliaia di volontari e volontarie che dedicano impegno e tempo a prendersi cura, in mille modi diversi, della nostra comunità. Come Regione vogliamo continuare a valorizzare questo patrimonio, perché il presente e il futuro di una società inclusiva e coesa passano proprio dalla volontà di tanti e tante di sentirsi parte di essa e dalla capacità del settore pubblico, mantenendo il proprio ruolo di programmazione, di attivare sinergie sempre più solide con la rete del volontariato e in generale con l’ampio mondo del terzo settore.
Tema migranti. Lei è contraria al Cpr in Toscana, come chiesto dal Governo. Perché? Quante reali possibilità di realizzarlo ci sono? Cosa farete per impedirlo? Il Governo vuole smantellare l’accoglienza diffusa tipica della Toscana?
I Cpr non sono luoghi per gestire correttamente l’immigrazione, ma luoghi di detenzione e purtroppo anche di sospensione dei diritti. In un Cpr non esistono neppure le tutele di un carcere e oltretutto non sono destinati specificamente a chi ha commesso reati, ma a chi è privo di documenti di soggiorno. Non rappresentano una soluzione e non sono neppure efficaci dal punto di vista degli effettivi rimpatri, per i quali in realtà sono necessari accordi con i Paesi d’origine. L’immigrazione non deve essere trattata come un’emergenza nazionale e il Governo dovrebbe piuttosto mettere risorse adeguate per la gestione dei Cas e per il sistema della rete SAI, consentendo agli enti locali in sinergia con il terzo settore di attivare percorsi di accoglienza e di integrazione con i territori e le comunità. La Toscana si è espressa chiaramente contro l’ipotesi del Cpr così come sulla volontà di continuare a praticare un modello di accoglienza diffusa, che consente di riconoscere i diritti fondamentali di chi arriva nel nostro Paese e al tempo stesso una gestione migliore. Riguardo alle migrazioni, serve una visione strutturale ed europea del fenomeno, non nuovi luoghi di detenzione, non la guerra alle navi delle ONG, non decreti che limitano la protezione internazionale. Invece si vogliono solo mettere nuove etichette da “irregolare” sulle persone. In un Paese che avrebbe invece tanto bisogno di essere una terra di accoglienza, integrazione e opportunità per tutti e tutte.
Carcere, quali azioni per rendere il carcere un luogo non solo di pena ma anche di rieducazione?
Come Regione vogliamo continuare a fare la nostra parte rispetto alle tematiche del carcere e ai diritti delle persone detenute o in esecuzione penale esterna, così come di coloro che sono in prossimità di concludere il periodo di pena e si apprestano quindi a rientrare nella società esterna. Questo significa favorire, dentro e fuori dagli istituti di pena, attività di rete che coinvolgano le istituzioni, i servizi territoriali, le realtà del terzo settore, per attivare percorsi volti a favorire il reinserimento sociale. Di recente abbiamo fatto partire una serie di progetti territoriali per l’attivazione di sportelli in carcere e di un servizio-ponte con i servizi sociali territoriali, grazie a un nuovo bando per percorsi di inclusione sociale. Qualche giorno fa la Regione ha sottoscritto due importanti protocolli per la formazione e l’inclusione socio-lavorativa delle persone detenute, uno rivolto ai minori e uno alla popolazione carceraria adulta, che è un altro tassello centrale per il reinserimento sociale, affinché una persona possa tornare ad essere parte integrante della società e realizzare un nuovo progetto di vita. Infine, pochi giorni fa abbiamo inaugurato l’anno accademico del Polo Universitario Penitenziario, che opera sulla base di un accordo che come Regione l’anno scorso abbiamo rinnovato e rafforzato. E’ un progetto di cui siamo particolarmente orgogliosi, perché consente di studiare e laurearsi mentre si sta scontando la pena, aprendo a nuove possibilità per il futuro. A tenere tutto insieme sempre l’obiettivo di attivare ponti concreti tra interno ed esterno, nel rispetto della finalità rieducativa della pena, per la riduzione della recidiva e per i diritti di tutti.
Povertà. Sempre più famiglie anche in Toscana non arrivano a fine mese, complice la pandemia, la guerra e il caro energia. Quali aiuti dalla Regione?
I dati dell'ultimo Rapporto regionale sulle povertà e l'inclusione sociale ci mostrano una situazione nella quale PIL, occupazione e reddito disponibile sono quasi tornati ai livelli pre-pandemici, ma allo stesso tempo si rilevano rischi ancora più forti per le persone che vivono situazioni di disagio, con l’inflazione che incide in particolare sul potere d’acquisto delle famiglie più povere. Secondo una recente indagine Irpet il 10% delle famiglie toscane fatica ad arrivare a fine mese, questo si traduce in povertà alimentare, educativa e in una peggiore qualità della vita e della salute. Mettere in campo azioni di supporto è quindi fondamentale. La povertà non può e non deve essere considerata una colpa, ma una responsabilità collettiva, alla quale dare risposte sia in termini di supporto economico che di superamento ed emersione dalle situazioni di povertà. Con la povertà in aumento e 5,6 milioni di persone già in povertà assoluta, non è una buona idea quella del Governo di tagliare il reddito di cittadinanza a molte persone e famiglie, in nome di una presunta occupabilità. Come Regione nel 2022 abbiamo varato uno specifico piano triennale da 71 milioni di euro per la lotta alla povertà e stiamo utilizzando tutte le opportunità del Pnrr e del Fondo sociale europeo a questo dedicate. Le risorse sono messe a disposizione degli ambiti territoriali e sosterranno vari interventi anche nel 2023: servizi di accompagnamento al lavoro, misure per il sostegno e l'inclusione sociale di famiglie e minori, persone in povertà, adulti con disagio, supporto al pagamento delle utenze, interventi per le persone senza dimora, per i centri servizi di contrasto alla povertà e l'housing temporaneo. Un insieme di strumenti e opportunità che vanno integrati e messi a sistema, evitandone la frammentazione. In questo senso stiamo portando avanti alcune esperienze, come la Comunità di pratica per l’inclusione sociale e il Tavolo regionale della rete per la protezione e l’inclusione sociale, che hanno aperto il percorso verso una sempre più stretta interazione tra tutti i soggetti in campo.
Casa. In Toscana, a volte, ci vogliono venti anni di attesa per una casa popolare. Forse perché ce ne sono poche e molte non disponibili. Si prevedono ristrutturazioni? Come fare per le famiglie senza casa?
Per affrontare in maniera decisa e concreta questo tema è necessario un investimento straordinario di risorse a partire dal livello nazionale. Serve che il diritto alla casa torni al centro dell’agenda politica del Paese, insieme ai temi dell’abitare, della sua qualità e delle potenzialità in termini di relazioni, coesione e inclusione sociale. In Toscana ci sono circa 50mila alloggi Erp, un numero in linea con la media nazionale, che certamente è bassa rispetto a quella di altri paesi europei, soprattutto del nord. Ci sono 46/47mila nuclei familiari assegnatari e graduatorie valide, quindi nuclei in attesa, per circa 16.000 domande. Una risposta da parte del sistema che quindi non è per niente banale, tenendo conto anche che la rotazione degli assegnatari è molto lenta, perché purtroppo è anche sempre più difficile uscire dalle situazioni di difficoltà. Come Regione stiamo cercando di aiutare gli enti locali e i soggetti gestori nell’utilizzare al meglio tutto il patrimonio disponibile ed è evidente che c’è un grande bisogno di manutenzione, anche per ridurre il numero di circa 4mila alloggi vuoti, in parte dovuto alle dinamiche fisiologiche del necessario ripristino dopo il rilascio, in parte con tempi che si protraggono oltre quanto sarebbe auspicabile per la carenza di risorse. Negli ultimi tre anni abbiamo investito 30 milioni di euro su questo e adesso stiamo procedendo nella riqualificazione e messa in sicurezza di oltre 2.700 alloggi, grazie alle risorse del Fondo complementare al Pnrr. Per quanto riguarda l’aumento di alloggi, con risorse regionali abbiamo finanziato due bandi da 8 milioni ciascuno per acquisire nuovi immobili, oltre a diverse misure per la realizzazione di nuovi fabbricati, che sono in fase conclusiva. Sull’Erp si concentrano i maggiori sforzi della Regione, come risposta strutturale, ma non è l’unico strumento su cui lavoriamo o su cui si dovrebbe investire: è attivo infatti, in forte sinergia con la Regione, il Fondo Housing Toscana, con la partecipazione fra gli altri di CDP, fondazioni bancarie, mondo cooperativo, che negli ultimi anni ha messo a disposizione per affitti calmierati 800/900 alloggi e altri 300/400 sono in corso di finalizzazione.Stiamo avviando un percorso sulle Agenzie sociali per la casa, che possono essere un valido strumento per far incontrare domanda e offerta in un mercato socialmente responsabile.
E poi c’è il tema del contributo alle famiglie per il pagamento dell’affitto.
E’ stato totalmente eliminato dal governo e a questa mancanza non possono far fronte le regioni, un taglio che avrà pesanti ripercussioni su migliaia di famiglie in difficoltà: in Toscana nel 2022 ne hanno beneficiato oltre 20.000 nuclei familiari per circa 20 milioni complessivi.
In tutti questi campi l’impegno della Regione è massimo, ma è evidente che serva un’azione forte a livello nazionale per affrontare e risolvere le principali problematiche.
Fronte cooperazione internazionale. Quali e quanti fondi dalla Regione? Lo slogan dei governi di centro destra (tra cui Meloni) è aiutiamoli a casa loro. Il Governo sta aiutando laddove c’è bisogno?
Di recente, insieme al FAIT - Forum Toscano Attività Internazionali, abbiamo organizzato un convegno con l’obiettivo di rilanciare i temi della cooperazione internazionale, mettendo in evidenza le potenzialità rispetto alle sfide più urgenti degli attuali scenari internazionali, al quale hanno partecipato le principali realtà a livello regionale e nazionale. Una cooperazione forte, che supporti uno sviluppo equo e sostenibile, può rappresentare uno strumento fondamentale per affrontare le grandi sfide a livello globale: i divari socioeconomici tra nord e sud del mondo, il cambiamento climatico, le migrazioni, i conflitti nuovi e quelli dimenticati. Soprattutto in quest'ultima fase, però, la cooperazione internazionale allo sviluppo si trova a dover fare i conti con la scarsità di risorse dedicate e questo è senz’altro un segno della congiuntura economica, ma anche di un mutato approccio dei governi nazionali nel sostegno allo sviluppo dei paesi a basso reddito. Per questo il convegno è stata anche l’occasione per accogliere e rilanciare la “Campagna070”, che chiede di rispettare l’impegno, fissato nell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, di destinare alla cooperazione internazionale almeno lo 0,70% del reddito lordo nazionale. In Italia siamo ancora lontani, ben indietro rispetto a Paesi simili per economia e livelli di reddito. E’ un investimento che può sembrare piccolo, ma in realtà sarebbe capace di generare grandi ricadute positive, in termini di sviluppo, collaborazione tra i popoli, costruzione di pace.