15 settembre 2015 ore: 12:48
Economia

Povertà, con Renzi nessun cambio di rotta. Caritas: disattento e non incisivo

La valutazione contenuta nell’ultimo rapporto della Caritas Italiana. Gori: “La povertà non è tra le priorità, nonostante sia raddoppiata dal 2007”. E nonostante le misure introdotte, “4 nuclei indigenti su 5 non sono toccati”. Da segnalare solo il leggero aumento dei Fondi nazionali
Anziano povero spezza un pezzo di dolce
Caritas Rapporto 2015 "Dopo la crisi costruire il welfare" - copertina

ROMA - Sulla povertà il governo Renzi è come tutti gli altri: disattento, senza una posizione precisa nelle politiche di contrasto e senza interventi degni di nota. La valutazione dell’operato dell’esecutivo contenuta nell’ultimo rapporto della Caritas italiana presentato oggi a Roma, è chiara: dal governo non arrivano segnali di un cambio di rotta rispetto al passato, i poveri non rientrano tra le priorità, nonostante la povertà assoluta (sebbene sostanzialmente invariata tra il 2013 e il 2014) sia raddoppiata rispetto al 2007. A delineare lo scarso impegno di Renzi sul tema, l’analisi di Cristiano Gori, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ideatore del Reis, il Reddito di inclusione sociale sviluppato all’interno dell’Alleanza contro la povertà, un cartello di oltre 30 organizzazioni impegnate nel sociale. 

Nello specifico della lotta alla povertà - spiega Gori -, il governo ha seguito una linea di sostanziale continuità con quelli che l’hanno preceduto: non ha, in altre parole, realizzato interventi significativi”. Povertà che non rientra nei programmi di Palazzo Chigi, aggiunge Gori. “La lotta alla povertà per ora non è comparsa tra gli obiettivi di questo esecutivo - spiega -. La compagine guidata da Matteo Renzi non ha compiuto azioni degne di nota nei confronti dell’esclusione sociale”. Non solo. La povertà, spiega Gori, non c’è neanche nelle intenzioni. “Da quando è a palazzo Chigi - aggiunge -, Renzi non ha ancora preso una posizione pubblica precisa sulla lotta alla povertà”. Quella contenuta nel rapporto, però, non è un’accusa di immobilità dell’esecutivo. Gli interventi non mancano, ma rispetto alla povertà assoluta non sono incisivi. “Valutando l’insieme delle politiche realizzate - spiega Gori -, si rileva che il governo in carica sta compiendo un’azione riformatrice più incisiva di quella di molti suoi predecessori. Su questo fronte si registra una discontinuità rispetto al passato, misurabile dall’ampiezza delle riforme in atto e dalla numerosità delle parti della società che vi sono coinvolte. I poveri, però, non sono tra questi”.

- Dire che non ci siano interventi del governo che riguardino anche i poveri, non è corretto. Tuttavia, le misure finora adottate riguardano solo marginalmente questa fascia di popolazione. Gli interventi in questione sono il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, il bonus bebè per famiglie con figli entro i tre anni, il bonus per le famiglie numerose e l’Asdi, cioè l’assegno di disoccupazione destinato a chi ha esaurito la possibilità di ricevere la nuova indennità di disoccupazione (Naspi), ma è ancora senza lavoro e in condizioni di povertà. “I diversi contributi sin qui introdotti - spiega Gori - raggiungono, nel loro complesso, una quota limitata delle famiglie in povertà assoluta, intorno al 20 per cento. Quattro nuclei indigenti su cinque, in altre parole, non ne sono toccati”. Andando sa valutare l’incremento medio del reddito di tutte le famiglie in povertà assoluta, invece, si scopre che con le misure attualmente introdotte aumenta soltanto del 5,7 per cento. Col Reis, spiega Gori, si arriverebbe ad un aumento medio del reddito del nucleo familiare dell’86 per cento. 

Ulteriore punto debole degli interventi sinora introdotti, continua Gori, è l’estrema frammentazione degli stessi. “Il sostegno alla povertà, nel nostro paese, coniuga la debolezza complessiva con la frammentazione in una varietà di misure - aggiunge -, ognuna destinata ad un gruppo circoscritto di popolazione”. Una scelta del governo che rende l’accesso alle misure “ancora più complicato di adesso - spiega Gori -, in particolare per chi ha minore istruzione e meno reti sociali. Aumenta inoltre la complessità gestionale per gli operatori del welfare e rende ancor più difficile di quanto già non sia la costruzione futura di una misura universale di reddito minimo”. A rendere ancora più complesso il quadro degli interventi realizzati ad oggi, l’impegno delle regioni che sul tema hanno la possibilità di intervenire autonomamente. “Negli ultimi mesi alcune regioni hanno introdotto proprie misure contro la povertà e altre hanno dichiarato l’intenzione di farlo - spiega Gori -; la materia è talmente in movimento che è impossibile stilarne un elenco puntuale. È noto tuttavia che le regioni dispongono di budget molto limitati nelle politiche sociali, cosa che impedisce loro – anche ampliandoli sensibilmente – di realizzare adeguati interventi in materia. Pertanto, come insegnano le esperienze degli ultimi 15 anni, le misure regionali non potranno che raggiungere una utenza estremamente circoscritta e non di rado risulteranno sperimentali. Solo l’impegno finanziario dello Stato, infatti, è in grado di fare la differenza nella lotta alla povertà”.

Neanche le misure annunciate dal presidente del Consiglio sembrano essere in grado di portare miglioramenti per quel che riguarda le condizioni di povertà del Paese. La riduzione delle imposte è un tema che tocca solo marginalmente chi è in povertà assoluta. L’impatto di tali misure su chi dispone di un minor reddito conseguente all’eliminazione della Tasi, spiega Gori, “risulterà estremamente contenuto poiché solo il 35 per cento delle famiglie in povertà assoluta la paga; per costoro, il minor gettito ammonta a 95 milioni, pari al 2,8 per cento del risparmio complessivo ottenuto dalle famiglie italiane. Non sono ancora note, invece, le caratteristiche della prevista riduzione dell’Irpef. In ogni modo, la ricaduta sugli indigenti sarà irrilevante dato che la gran parte è incapiente. Infatti, tra il 5 per cento di famiglie con il reddito più basso, tutte in povertà assoluta, meno del 10 per cento del totale paga l’Irpef, e nel successivo 5 per cento tale percentuale arriva al 20 per cento. Complessivamente, il pacchetto di riduzione delle tasse annunciato riguarderà in misura del tutto marginale i poveri assoluti, la maggior parte dei quali non ha disponibilità economica sufficiente per pagarle, oppure deve pagarne assai poche”.

L’impegno di Renzi sul sociale, però, non soddisfa neanche se si fa un quadro più ampio delle politiche. “Nel settore - spiega Gori -, il governo Renzi non ha sinora realizzato alcun intervento di rilievo. Tale considerazione riguarda l’insieme delle politiche sociali, dunque non solo quelle rivolte alla popolazione in povertà, ma anche – ad esempio – quelle a favore di persone con disabilità e anziani non autosufficienti”. L’unica azione da segnalare, aggiunge Gori, il “leggero” aumento dei fondi nazionali deciso con la Legge di stabilità 2015. “Lo stanziamento complessivo per i tre fondi principali (Fondo nazionale politiche sociali, Fondo non autosufficienze e Fondo nidi) è salito a 800 milioni rispetto ai 667 del 2014”. Seppure positiva, aggiunge Gori, “si tratta di una novità da non enfatizzare, alla luce dell’esiguità dei relativi finanziamenti e del fatto che si rimane comunque lontani dai 1.070 milioni destinati a tali fondi nel 2008 dall’allora governo Prodi, cifra che già allora tutti gli esperti giudicarono inadeguata ad affrontare lo storico sottofinanziamento delle politiche sociali”.

Cosa aspettarsi per il futuro? Secondo Gori, siamo alle soglie di una “fase cruciale” per comprendere quali saranno le “intenzioni che verranno tradotte in pratica”. Tuttavia, sul fronte povertà assoluta, le speranze vanno assottigliandosi con l’avvicinarsi della nuova legge di stabilità. Nonostante l’impegno del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, che a fine luglio ha convocato il partenariato sociale per discutere una possibile misura di contrasto (in quella data il ministro ha proposto il Ria, Reddito di inclusione attiva), l’impressione è che dal governo non arriverà l’auspicato cambio di rotta. “Davanti a pressioni crescenti per agire in materia e qualora questa non costituisse una priorità, il Governo potrebbe esser spinto a produrre una nuova misura di natura temporanea, in vigore solo per un certo periodo e rivolta a gruppi circoscritti di poveri - conclude Gori -. Nel caso si decida di seguire di nuovo questa strada, le principali opzioni sono: un bonus monetario una tantum (ad es., un contributo erogato per un solo anno rivolto alle famiglie povere con figli minori) o trasferimenti ai comuni per proseguire nella sperimentazione già in corso in alcuni del Sia (Sostengo per l’inclusione attiva) senza collocarla in un percorso strutturale di riforma”. Misure che, chiosa Gori, servono solo a “trasmettere all’opinione pubblica l’impressione ce si stia agendo contro l’indigenza, offuscando così la vera scelta politica, cioè quella di non occuparsene realmente. Queste misure richiedono ridotto investimento progettuale e finanziario e, coerentemente con la loro natura residuale, raggiungono di solito una quota esigua di poveri”. (ga)

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