17 luglio 2015 ore: 15:12
Economia

Povertà, ecco il Ria: universale, familiare e "multidimensionale"

Le linee guida del Reddito per l’inclusione attiva proposto dal ministro Poletti spiegate da Raffaele Tangorra, direttore generale per l'Inclusione e le politiche sociali. “Per una misura dignitosa servono 1,5 miliardi, ma bisognerà trovarli”. E sulla parola “reddito” cade il tabù
Reddito di cittadinanza, povertà: portafoglio con spiccioli

ROMA - Una piano strutturale contro la povertà e l’esclusione sociale da presentare entro settembre in modo da trovare le coperture necessarie con la legge di stabilità. È questa la sfida lanciata ieri dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al partenariato economico e sociale durante il tavolo convocato dal ministro Giuliano Poletti per presentare le linee guida che porteranno alla definizione del “Ria”, il Reddito per l’inclusione attiva, il piano contro la povertà più volte anticipato dal ministro. A Redattore sociale, Raffaele Tangorra, direttore generale per l'inclusione e le politiche sociali al ministero del Lavoro, spiega i dettagli della proposta.

Universalismo, multidimensionalità e condizionalità. Ecco il Ria
“Il piano è per una misura strutturale”, puntualizza Tangorra. Tuttavia, la proposta che il ministro Poletti ha sottoposto all’attenzione del partenariato sociale è un cantiere aperto, tracciato attorno ad alcuni paletti: oltre all’universalismo, una “valutazione multidimensionale del bisogno dove le dimensioni sono quelle della casa, della famiglia, delle condizioni economiche e di necessità specifiche. L’obiettivo è valutare il bisogno con caratteristiche diverse da quelle economiche e con uno strumento flessibile”. Il Ria, inoltre, sarà “una misura familiare, non individuale”, ma non solo. Non guarderà “solo alla dimensione lavorativa – aggiunge Tangorra -, ma al nucleo nel suo complesso”. Il piano, poi, sarà caratterizzato da una “condizionalità forte – aggiunge -. Un vero patto di comunità che è preceduto da accordi territoriali tra servizi, pubblico e privato sociale”. Per Tangorra si tratta, quindi, di una “evoluzione di quello che stiamo sperimentando, con meccanismi un po’ più chiari che saranno oggetto di discussione pubblica”. Sulle erogazioni, invece, tutto “dipenderà dalle risorse”. Quelle del Ria potrebbero essere superiori, ma “di sicuro non saranno inferiori”, precisa Tangorra.

La scommessa delle risorse
Se già nella giornata di ieri sono trapelate notizie su un piano di circa 1,5 miliardi da spalmare su tre anni, Tangorra fa un po’ di chiarezza sull’argomento. I soldi per finanziare la misura, infatti, al momento non ci sono. “All’incontro di ieri non abbiamo parlato di cosa ci sarà in legge di stabilità – spiega -. Secondo le nostre stime, il miliardo e mezzo è quanto servirebbe per una misura dignitosa che in partenza abbia il requisito di universalismo. L’orizzonte è quello che stabilisce la legge di stabilità, cioè un triennio e quindi se non si trovano tutte il primo anno, proveremo a trovarle nel triennio”. Tuttavia, precisa Tangorra, “non abbiamo detto che in legge di stabilità ci sarà tale cifra. Il ministro ha detto di cercare di metterci d’accordo su un percorso: se la misura che proponiamo va bene e trova tutti d’accordo, cercheremo di portarla avanti non solo come ministero ma con un fronte più ampio di associazioni, parti sociali, regioni e Anci”. Questione risorse che, però, per le associazioni è cruciale. “Tutti hanno posto il problema delle risorse – aggiunge Tangorra -, ma la discussione sulla legge di stabilità non è ancora avviata. In legge di stabilità si definiranno le priorità del governo, si verificheranno le compatibilità di finanza pubblica”. Un passaggio piuttosto delicato, secondo il direttore generale. “Basta che le decisioni sulla Grecia, ad esempio, vadano in una direzione piuttosto che in un’altra che la finanza pubblica cambia completamente”. L’obiettivo del ministero, però, è di recuperare risorse che possano avviare il piano, partendo da quelle inutilizzate del Sia. A queste, poi, si affiancheranno quelle del Fondo sociale europeo, cioè quelli del Pon Inclusione pari a 1,2 miliardi con un orizzonte temporale più ampio, sette anni, per finanziare i servizi per l’inclusione attiva.

La fusione tra due misure: il Sia e il Ria
Qualche risorsa disponibile contro la povertà assoluta c’è già: sono i 167 milioni ancora non utilizzati per l’allargamento della sperimentazione del Sia al Sud Italia e poi gli altri 40 milioni per tre anni fissati in legge di stabilità 2014. Senza contare i fondi ancora inutilizzati nelle 11 città della sperimentazione (a Roma ancora non ci sono neanche le graduatorie provvisorie) dove non sono state assegnate tutte le card. Fondi che il ministero spera di sbloccare entro fine mese. “Vogliamo uscire prima dell’estate col decreto per l’allargamento al Mezzogiorno – spiega Tangorra -. Stiamo aspettando il nullaosta da parte del Mef. Si tratta di fondi che partirebbero prima del Ria in una logica che va verso il Ria”. L’attuale sperimentazione, quindi, proseguirà il suo corso, ma con alcune variazioni per facilitare la fusione con il Ria. Per armonizzare il passaggio, l’allargamento della sperimentazione avrà già “una valutazione multidimensionale invece che il requisito della perdita del posto di lavoro – spiega Tangorra -. L’altro punto fondamentale è il passaggio da una logica di bando ad una di sportello”. Fusione che riguarderà in qualche modo anche le iniziative intraprese in maniera autonoma in alcune regioni italiane, come il Friuli Venezia Giulia e la Basilicata. “L’obiettivo è fare cose coordinate – aggiunge Tangorra -. Regioni e ministero si impegneranno in un percorso condiviso. L’articolazione del dibattito avuta fino ad ora va verso la definizione di una misura unitaria. Poi le regioni che hanno più soldi potranno decidere di fare delle integrazioni”.

Il “reddito” contro la povertà non è più un tabù
Era sparita dai provvedimenti dei tanti governi che si sono succeduti: la parola “reddito”, per indicare misure di sostegno economico contro la povertà, a livello di politiche nazionale non la si vedeva dai tempi di alcune sperimentazioni regionali. Prima è arrivata la Carta acquisti, chiamata generalmente “social card”. Poi è stata la volta del “Sia”, il Sostegno per l’inclusione attiva. Oggi, però, le cose sono cambiate e il rischio di richiamare alla mente strumenti come il “reddito di cittadinanza” non fa più paura. “Abbiamo deciso di cambiare nome dal Sia al Ria per segnare innanzitutto una discontinuità – spiega Tangorra -. Tuttavia, la riflessione vuole accogliere quello che viene proposto sia dalla società civile, sia in Parlamento. Il reddito è una condizione essenziale di una misura di lotta alla povertà. Si vuole sempre e comunque mantenere l’attenzione sull’attivazione del cittadino e sul processo inclusivo, ma le dimensioni sono quelle del reddito, dell’inclusione e dell’attivazione. Dal punto di vista lessicale cambia poco, ma è il segno di un cambio culturale nel Paese. La riflessione sul tema oggi è più avanzata rispetto a quella che c’era anche solo un paio di anni fa”.

La discussione attorno al Ria, intanto, è appena iniziata. Il 22 luglio a Roma, le linee guida del piano nazionale verranno discusse con i rappresentanti delle Regioni e dell’Anci, mentre al partenariato è stato chiesto di portare contributi già per la fine del mese di luglio in modo da poter organizzare un nuovo incontro per i primi giorni di settembre ed essere pronti per la volata finale in legge di stabilità. (ga)

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