Povertà, le 4 differenze tra il Reis e il “reddito di cittadinanza” del M5S
ROMA – Nonostante i numeri della povertà in Italia stiano diventando sempre più allarmanti, all'interno delle aule parlamentari parlare di politiche di contrasto alla povertà è quasi un tabù: ci si scontra col nodo delle risorse, si bisticcia sui tecnicismi, si addossa la responsabilità dell'insufficienza degli strumenti attualmente in vigore alle lentezze burocratiche, ma in Parlamento non si arriva quasi mai a discutere del problema. Chi da qualche tempo sta portando avanti una proposta di contrasto alla povertà è il Movimento 5 Stelle, che nei giorni scorsi attraverso il blog di Beppe Grillo, ha annunciato l'intenzione di portare la povertà in piazza con una manifestazione di cui si stanno ancora discutendo i dettagli. Dei grillini è la proposta di un reddito di cittadinanza contenuta in un ddl depositato nell'ottobre 2013 e recentemente giunto in Commissione Lavoro al Senato.
Il testo, però, non è l'unica iniziativa in campo contro la povertà in Italia. C'è anche la proposta di Sel, mentre un incontro a metà marzo tra governo e l'Alleanza contro la povertà, composta da 33 tra realtà associative – come Acli, Caritas, Forum terzo settore, Banco Alimentare, Action Aid e Save the Children – istituti di ricerca come l'Irs, rappresentanze dei comuni e delle regioni, sindacati, che propone l’istituzione di un Reddito d’inclusione sociale (Reis) a sostegno di chi si trova in povertà assoluta, fa pensare ad un apertura del governo al progetto.
Qualcosa, quindi, si sta muovendo, ma immaginare che le diverse proposte o idee possano giungere al traguardo con un unico testo o progetto non è cosa facile. Nonostante le convergenze sul tema, soprattutto per quel che riguarda la povertà assoluta, sono tante le differenze, soprattutto per quel che riguarda la proposta del Reis in confronto al reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle. Un testo che, tra l'altro, è sostenuto tra i firmatari soltanto da parlamentari del movimento.
A fare un confronto tra le due proposte attualmente in campo e maggiormente supportate è Cristiano Gori, docente di politica sociale all’Università Cattolica, nonché ideatore della proposta e coordinatore del gruppo di lavoro che ha portato alla definizione del Reis. Nonostante il suo sia un commento schierato, al Movimento 5 Stelle, Gori riconosce il “contributo cruciale nel riportare l’attenzione politica sul tema della povertà”. Secondo Gori, infatti, il Movimento “fino ad oggi è stata l’unica tra le principali forze politiche italiane a fare della lotta alla povertà una priorità. Se non ci fosse il Movimento 5 Stelle si parlerebbe molto meno di povertà nella politica”. Quattro le differenze fondamentali tra le due proposte individuate da Gori.
Due target, due cifre. La platea di riferimento delle due misure è in parte la stessa, ma nel disegno di legge del M5s si punta ad una misura più ampia della sola povertà assoluta. “Il Reis, come la gran parte delle proposte contro la povertà, si rivolge alle persone in povertà assoluta – spiega Gori -, circa 6 milioni di persone. Il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 stelle, invece, si rivolge alle persone in povertà relativa, circa 10 milioni”. Platee radicalmente diverse che determinano anche due fabbisogni economici diversi: secondo i 5 Stelle servirebbero infatti 15 miliardi di euro l’anno, mentre l’Alleanza contro la povertà parla di 7 miliardi a regime (17 nei primi 4 anni).
Per Gori tuttavia occuparsi di povertà assoluta non significa non considerare la necessità di politiche che riguardino la povertà relativa. Quest’ultima, semplicemente, ha bisogno di strumenti diversi da un reddito minimo per essere fronteggiata. “Quando parliamo di povertà relativa, parliamo di impoverimento – spiega Gori - di chi vive percorsi di progressivo peggioramento che vanno arginati prima di arrivare alla povertà assoluta. Le politiche per contrastare la povertà assoluta, però, sono diverse da quelle per arginare l’impoverimento. A livello macro, con la povertà assoluta bisogna fare un reddito minimo, contro la povertà relativa occorre un pacchetto di politiche per il lavoro, per la famiglia, per la non autosufficienza e altro”.
I “registi” locali. Diversi, tra Reis e reddito di cittadinanza targato M5s, anche i soggetti a cui è affidata la regia territoriale. “Secondo la proposta del reddito di cittadinanza la regia ce l’hanno i centri per l’impiego che coordinano la rete e fanno la presa in carico – spiega Gori - Secondo il Reis, invece, la regia ce l’hanno i comuni. Il reddito di cittadinanza prevede che i centri per l’impiego coordino la presa in carico e in alcuni casi possono coinvolgere i comuni, mentre il Reis è l’opposto: i comuni si occupano della presa in carico e nel caso di inserimento lavorativo coinvolgono i centri per l’impiego”.
Il ruolo del terzo settore. Altro punto discordante, tra le due proposte, quello del ruolo del terzo settore: attivo nel Reis, assente nella proposta del Movimento 5 stelle. “Il Reis prevede un ruolo forte del terzo settore dentro una rete che deve essere governata dai comuni – aggiunge Gori -. Terzo settore che non solo partecipa alla programmazione degli interventi, ma svolge una serie di ruoli che vanno dall’aggancio dei casi gravi a fornire una serie di servizi per l’inserimento sociale. Noi immaginiamo un ruolo forte del terzo settore dentro una regia pubblica che va dalla coprogrammazione a livello locale alla diffusione della misura tra chi ha difficile accesso ai servizi. Il reddito di cittadinanza, invece, non prevede alcun ruolo per il terzo settore”.
Graduale o immediato? Infine, non poteva mancare il nodo delle risorse economiche necessarie. “Il Reis immagina un piano pluriennale di graduale introduzione – specifica Gori -, dove il punto fondamentale è che bisogna essere graduali, ma dentro un orizzonte ben definito, cioè indicare sin dall’inizio del piano le tappe progressive per ogni annualità (si comincia dai più poveri tra i poveri e progressivamente si allarga l’utenza), sino a giungere alla sua messa a regime per tutte le persone in povertà assoluta. Il reddito di cittadinanza, invece, non prevede questo. Verrebbe introdotto immediatamente e completamente”. Introdurre una nuova misura in maniera graduale, però, non consente soltanto di reperire più facilmente risorse economiche. “La necessità di una gradualità non nasce solo dal fatto che se l’incremento di spese necessario lo spalmi su tre o quattro anni è più sostenibile – spiega Gori -. Se anche avessimo tutte le risorse subito, la misura non dovrebbe essere introdotta completamente in un anno perché per ampliare e sviluppare i servizi sul territorio ci vuole tempo. Se si introducesse integralmente il Reis da un anno all’altro si creerebbe una situazione caotica in molte realtà locali”. Tuttavia, occorre esser chiari: adottare misure graduali non vuol dire temporeggiare. “L’importante è essere graduali – chiarisce Gori - ma dentro un percorso ben definito”.
Le parole tabù. A dimostrazione che le misure istituzionali contro la povertà assoluta in Italia siano diventate un tabù c’è proprio la paura ad utilizzare determinati termini tecnici. Le parole “reddito minimo” oppure “reddito di cittadinanza” sono quasi sparite dal lessico dei politici da qualche tempo a questa parte. Anche perché in genere individuano strumenti ben precisi. Per questo ci si guarda bene dall'utilizzarli. L'ultimo progetto in cantiere al ministero del welfare, infatti, si chiama "sostegno per l'inclusione attiva", che ha inglobato la Carta acquisti sperimentale, comunemente chiamata "Nuova Social Card". C'è poi il brutto ricordo di un passato recente, con sperimentazioni nazionali e regionali senza gloria, in parte senza risultati poiché legate all'esile filo del turnover elettorale. E l'ombra dell'assistenzialismo, che incute timore in ogni provvedimento. Tuttavia, nel Movimento 5 Stelle si è scelto di prendere di petto la situazione e di chiamare il provvedimento "reddito di cittadinanza" e di chiedere un avvio della misura senza gradualità, con la certezza della disponibilità delle risorse. Per Gori, però, sulla scelta dei termini si tratta di un rischio "più comunicativo che sostanziale" e per quel che riguarda il reddito di cittadinanza targato M5s, "nel dibattito tecnico la proposta è abbastanza chiara. Il problema è che poi, quando se ne parla a livello mediatico si pensa ancora che il reddito di cittadinanza sia per tutta la popolazione". Dal punto di vista delle risorse, invece, occorre fare attenzione. "Sono scelte politiche - spiega Gori -. E' vero che finanziare una misura intera dal primo anno probabilmente sarebbe impossibile, però ci vuole cautela su questo argomento: il tema della scarsezza delle risorse viene usato quando un tema non è una priorità". (Giovanni Augello)