2 marzo 2016 ore: 12:44
Economia

Povertà minorile, Chiara Saraceno: "Il più grande scandalo invisibile"

La sociologa a Modena per il ciclo di incontri sulla condizione dei minori. In Italia i bimbi più colpiti sono quelli delle famiglie numerose monoreddito delle aree con servizi più carenti. “Il piano contro la povertà minorile della legge di stabilità è un primo passo, ma le risposte sono insoddisfacenti”
Paolo Patruno Bambini poveri in Italia - Foto per Save the children

Italia - Foto di Paolo Patruno

BOLOGNA - “La povertà minorile è il più grande scandalo invisibile”: non usa mezzi termini la sociologa Chiara Saraceno, chiamata ad aprire il ciclo di 5 incontri ‘Discorsi sulla disuguaglianza: la condizione dei minori tra disuguaglianza e povertà. Italia/Europa a confronto’ organizzato a Modena dalla Fondazione Ermanno Gorrieri. “Si tratta di un fenomeno di enormi proporzioni, che supera quello degli adulti e degli anziani poveri”. Il fenomeno della povertà minorile, spiega, è emerso dalla fine degli anni ’90, e da allora ha continuato a crescere, molto più di quello della povertà classica (quella che colpisce gli anziani).

Oggi in Italia i poveri assoluti sono 4 milioni e 400 mila: di questi, oltre un milione sono minori (1.045.000 secondo i dati di Save the Children). “Anche coloro che pensano che i poveri siano poveri per colpa loro, per la loro pigrizia, di fronte alla povertà minorile non possono dire nulla. E nemmeno l’affermazione che i genitori in situazioni di difficoltà avrebbero fatto meglio a non metterli al mondo sta in piedi, non in uno Stato democratico che dovrebbe dare garanzie ai suoi cittadini”. L’altro aspetto su cui Saraceno mette l’accento è che la povertà minorile può avere effetti sul lungo periodo molto più gravi di quelli che comporta la povertà adulta. “I bambini poveri spesso non vanno a scuola, e se ci vanno quasi sempre non frequentano scuole adeguate. Così, si ritrovano ad affrontare maggiori difficoltà di inclusione. E poi ci possono essere conseguenze sulla salute: i minori in stato di povertà, per esempio, non si alimentano adeguatamente, non vanno dal dentista. Insomma, la povertà minorile non è solo un problema economico, ma comporta povertà educativa, di salute, di capitale sociale”.

In Italia questa consequenzialità è particolarmente vera a livello territoriale: nelle aree dove il welfare, la sanità e la scuola sono più deboli si concentra la povertà minorile. “È questo il caso del Mezzogiorno. Perché un bimbo povero che frequenta le scuole di Modena, per esempio, avrà comunque maggiori possibilità di un bimbo povero del Sud Italia. Qui il bambino raddoppia, talvolta triplica, la sua condizione di disagio. E mi indegno leggendo che nella Buona Scuola di questa problematica non se ne fa menzione. È sbagliato: si tratta di pari opportunità”.

Insieme a Grecia e Spagna, l’Italia è il Paese europeo con più alta povertà minorile. Perché? “La povertà minorile nel nostro Stato è un fenomeno familiare, diffuso soprattutto nelle famiglie con 3 o più figli minori, in quelle numerose, insomma. È così che lievita il dato”. Nuclei familiari numerosi e monoreddito, dove gli adulti hanno qualifiche basse e dove è la madre a non lavorare: “C’è un bassissimo tasso di occupazione femminile materna”. Parte della soluzione, secondo la sociologa, sarebbe investire proprio in quella direzione. “Il problema è che molte delle madri che non lavorano vivono nelle zone dove i servizi sono più carenti e la disoccupazione dilaga”. E c’è anche un'altra lacuna, secondo Saraceno: in Italia i trasferimenti per il costo dei figli sono categoriali. Per esempio, gli assegni familiari sono concessi ai lavoratori dipendenti e non agli artigiani. Oppure, le detrazioni sono ammesse per i figli a carico nei nuclei a reddito capiente, mentre nessuna detrazione spetta agli incapienti.

La recente legge di stabilità prevede un piano contro la povertà minorile e contributi aggiuntivi per contrastare la povertà educativa. Come valuta Saraceno queste misure? “Un passo in avanti, perché per la prima volta si parla di un reddito minimo per i poveri. Purtroppo, si ragiona per categorie, a partire dalle famiglie con figli”. Il governo ha istituito presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale’ al quale è assegnata la somma di 600 milioni di euro per il 2016 e di un miliardo a decorrere dal 2017. “Per coprire tutti i poveri assoluti servono almeno 7 miliardi di euro. Lo stesso ministero stima che al massimo potrà intervenire nella metà dei casi. E tutti gli altri?”.

“A queste domande, spesso, si risponde dicendo che non ci sono soldi. Che per far cassa per i poveri è necessaria la riforma dell’assistenza. E va bene, ma intanto il governo ha tolto la tassa sulla prima casa, ha deciso per gli 80 euro in busta paga, per il bonus bebè e per i 500 euro ai 18enni da spendere in cultura. Il punto è che ci sono anche 18enni che nella vita non hanno mai avuto la possibilità di sviluppare interessi culturali. La questione è semplice: i soldi ci sono: tutto sta nel come si decide di spenderli”. E i 100 milioni del fondo finalizzato a misure di sostegno contro la povertà educativa? “Si tratta di uno sconto fiscale fatto alle fondazioni che intervengono in questo settore. Ma non è sufficiente: se ne deve occupare anche lo Stato, attraverso la scuola. Sono restata sconvolta quando ho letto che nel protocollo d’intesa è coinvolto solo il ministero del Welfare e non anche quello dell’Istruzione. È di offrire a tutti le stesse possibilità scolastiche che stiamo parlando. Insomma, finalmente si comincia a parlare di povertà minorile, ma lo si sta facendo in maniera assolutamente insoddisfacente. Personalmente, credo che per prima cosa si debba rispondere alla povertà educativa. Ma non tramite l’assistenzialismo: attraverso l’istruzione”. (Ambra Notari)

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