15 luglio 2016 ore: 14:39
Economia

Povertà, nasce il Reddito di inclusione. “Ma deve migliorare ancora”

Ieri l’approvazione in prima lettura del ddl povertà. Giudizio positivo dell’Alleanza contro la povertà, che da anni auspica l’istituzione di un Piano nazionale di aiuto ai poveri: “Passo avanti deciso ma ci vogliono risorse certe per garantire i servizi e farlo continuativamente nel tempo”. La richiesta: “Non ragionare per categorie, i poveri vanno aiutati tutti”
Povertà. Mano di un'anziana con una moneta di un euro

ROMA - Un passo avanti importante nella lotta alla povertà assoluta, arrivato proprio nel giorno in cui l’Istituto nazionale di statistica ha certificato un ulteriore aumento del numero di persone che nel nostro paese vivono in condizioni di povertà assoluta, arrivati nel 2015 a 4 milioni e 598 mila persone, il dato più alto registrato dal 2005.
L’approvazione alla Camera, in prima lettura (226 voti favorevoli, 50 contrari), del disegno di legge delega sul contrasto alla povertà assoluta è una prima risposta messa in campo dal governo e dalla sua maggioranza, figlio della decisione – assunta con l’ultima legge di stabilità – di avviare su tutto il territorio nazionale una misura di contrasto alla povertà. Uno strumento che si chiamerà “reddito di inclusione” (al riguardo è stato approvato in Aula uno specifico emendamento) e che dunque viene battezzato praticamente con lo stesso nome con il quale da anni un folto gruppo di organizzazioni e associazioni - riunito nell'Alleanza contro la povertà - promuove lo strumento del Reis, il Reddito di inclusione sociale.

E oggi l’Alleanza contro la povertà prende posizione parlando di un “deciso passo in avanti” ed esprimendo “soddisfazione per una decisione storica che scaturisce da una proficua collaborazione con Ministero del Lavoro, Governo e Parlamento, che ha portato il Legislatore ad accogliere il progetto del Reddito di inclusione”. In effetti, nei mesi trascorsi sono state numerose le occasioni di confronto fra i membri dell’Alleanza e gli interlocutori politici, sia al ministero del Lavoro, sia in Parlamento, dove il confronto non è stato limitato alla maggioranza ma si è esteso anche all’opposizione e in particolare al Movimento Cinque Stelle, promotore di una strategia diversa (il reddito di cittadinanza esteso a tutti i cittadini) rispetto a quella promossa dall’Alleanza (il reddito di inclusione rivolto a coloro che sono in condizione di povertà assoluta).

Ma l’Alleanza fa anche notare che rispetto al testo approvato a Montecitorio ci sono ancora numerosi punti ancora indistinti, e su questi si concentra anche in vista del prossimo passaggio al Senato. “L’Alleanza – viene detto - continuerà a seguire con proprie osservazioni e proposte l’iter legislativo al Senato. In vista di tale passaggio rivolge a tutti i componenti dell’Assemblea di Palazzo Madama un appello alla responsabilità di fronte al problema della povertà, confermato nella sua gravità dai dati Istat di ieri. In particolare l’Alleanza chiede l’estensione universale delle misure adottate contro la povertà, superando un carattere di categorialità, accompagnate da una adeguata copertura finanziaria che dovrà essere confermata, e il più possibile rafforzata, nella prossima legge di stabilità, in modo da consentire il celere avvio di un piano organico e pluriennale di lotta alla povertà. Chiede inoltre, come parte integrante del Reddito di inclusione, una particolare attenzione allo sviluppo dei Servizi necessari a sostenere i percorsi d’inclusione socio-lavorativa dei beneficiari”.

Si tratta di tre punti particolarmente importanti, che segnalano di fatto le differenze esistenti al momento fra la proposta dell’Alleanza e quella messa nero su bianco nella legge delega. Al momento le risorse disponibili sono nell’ordine di 1,6 miliardi ma ciò che manca è la vera e propria previsione di un Piano nazionale pluriennale contro la povertà. Il Reis, elaborato da una équipe guidata da Cristiano Gori, docente di Politiche sociali e coordinatore scientifico dell'Alleanza, ha da sempre immaginato un certo numero di anni (quattro) a investimenti crescenti per poter progressivamente coprire tutta la popolazione in povertà assoluta. Al momento, anche dopo l’approvazione del testo a Montecitorio, non c’è nessuna assicurazione che questo tipo di impegno crescerà nel corso del tempo con l’obiettivo preciso di intervenire a sostegno di tutti i poveri: di fatto un vero Piano pluriennale ancora non c’è.

In secondo luogo, l’Alleanza non sposa in pieno l’impostazione dell’attuale testo della delega che dà priorità alle persone in povertà assoluta che fanno parte di alcune specifiche categorie: i nuclei familiari con minori, quelli con disabilità grave, quelli al cui interno vi sono persone over 55 disoccupate e quelle in cui vi siano donne in stato di gravidanza. Sono i poveri appartenenti a queste categorie che saranno destinatari degli interventi decisi, ma “i poveri sono tutti uguali”, sostiene l’Alleanza, secondo la quale semmai il criterio con il quale definire a chi dare la precedenza dovrebbe essere la sola gravità dello stato di povertà. Se dunque il governo intende concentrarsi (almeno al momento) sulle famiglie povere con minori, disabili, donne incinte o over 55 disoccupati, l’Alleanza vorrebbe inizialmente concentrarsi semplicemente sui “più poveri fra i più poveri”, indipendentemente dalle categorie di appartenenza, per poi col tempo allargare l’intervento a tutti i poveri.

Infine, la tipologia di intervento. La filosofia di una misura di contrasto alla povertà assoluta è quella di mettere insieme un contributo monetario e una serie di servizi messi in campo dai comuni, con il coinvolgimento del terzo settore, in modo da favorire il reinserimento sociale e dunque la fuoriuscita da una situazione di povertà assoluta. Al momento la delega prevede la presenza di percorsi di inserimento sociale e lavorativo – oltre al contributo economico – ma non ci sono garanzie su come tali percorsi saranno portati avanti. E soprattutto sulla base di quali risorse tali interventi saranno compiuti. La richiesta è che tali percorsi – per quanto attuati dai comuni – siano però finanziati con risorse nazionali. Altrimenti il rischio è che, alle prese con i problemi di cassa, i comuni non riescano a far fronte a queste nuove competenze. (ska)

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