Povertà, Ortigosa: "Oggi è anche una questione settentrionale"
ROMA - La povertà in Italia cambia volto e diventa sempre più una questione nazionale, non solo un problema del Sud Italia. Per combatterla oggi le sperimentazioni non bastano più: occorre un piano di contrasto “coraggioso”. A raccontare su Redattore sociale la nuova identità della povertà in Italia e le sfide che dovrà affrontare il paese per contrastare l’indigenza è Emanuele Ranci Ortigosa, direttore scientifico dell’Irs, Istituto per la ricerca sociale. I dati presentati da Caritas italiana oggi parlano chiaro, spiega Ortigosa. La povertà non è più una questione soltanto Meridionale e su tutto il territorio nazionale ha nuove peculiarità. “La povertà tradizionale era concentrata nel Mezzogiorno, oggi non è più così - spiega Ortigosa -: è anche una questione settentrionale. In questi ultimi anni la povertà assoluta è cresciuta soprattutto al Nord, anche se i livelli nel Mezzogiorno sono sempre molto maggiori. Inoltre, era un problema prevalentemente degli anziani, mentre oggi riguarda anche i giovani, soprattutto per via della disoccupazione. C’è stata anche un’estensione rispetto ai nuclei familiari: dalle famiglie numerose ha via via coinvolto anche quelle con due figli. Infine non tocca più solo chi non ha lavoro, ma anche i cosiddetti working poor, quando nel passato riguardava solo chi non lavorava ed era disoccupato”.
Non è solo il trend di quello che Ortigosa definisce l’indicatore “più significativo”, la povertà assoluta, “che dal 2007 ad oggi è raddoppiato”, a spaventare. A preoccupare è lo sbilanciamento tra l’evoluzione del fenomeno nella popolazione e la risposta delle istituzioni. “Dalla povertà, ormai, si sente minacciato anche il ceto medio - racconta Ortigosa -: oggi interessa sempre più persone che una volta erano abbastanza tranquille sul proprio futuro e che con la disoccupazione e senza aiuti adeguati si trovano improvvisamente in una condizione di povertà che non sanno gestire, perché è una situazione totalmente nuova. Questa è l’evoluzione in atto, che non è stata accompagnata da una evoluzione delle politiche”.
In realtà qualcosa si è mosso dal punto di vista della risposta istituzionale, ma il livello sperimentale delle misure messe in atto o la ridotta platea degli interventi più stabili non ha avuto un impatto significativo sull’evoluzione della povertà. “Sulle misure ci sono stati dei significativi passi avanti - spiega Ortigosa -. Se partiamo dalla Carta acquisti, dal Sia sulle 12 città con 50 milioni, al Sia 2016 con 750 milioni per finire alla prospettiva per il 2017 dove si andrà a più di un miliardo, che con altre misure si arriva a un miliardo e mezzo a regime, si registra un aumento delle risorse”. Nella giusta direzione, aggiunge Ortigosa, la “ridefinizione della platea dei beneficiari: non c’è più il vincolo lavorativo pregresso che ha limitato di molto l’accesso alla misura (il Sia sulle 12 città, ndr), poi abbiamo una erogazione economica che dalla cifra assoluta della Carta acquisti di 40 euro al mese è passata a relazionarsi al numero di componenti familiari. C’è stato, inoltre, l’elemento di reinserimento sociale, quindi di attivazione e accompagnamento, con il coinvolgimento dei servizi, enti locali e centri per l’impiego e qui c’è un salto significativo rispetto al Sia sulle 12 città con l’utilizzo delle risorse del Pon, che sono 1 miliardo circa su 7 anni, ma che consente agli enti locali di accrescere le risorse operative, di costruire degli strumenti di accompagnamento, fare attività formative”. Apprezzabile, infine, anche il “passaggio da una misura a bando, ad una a sportello”. “Tutti elementi significativi - spiega Ortigosa - di un percorso che, sia pur con molti limiti, va in una direzione apprezzabile”.
Mentre si attende che il disegno di legge delega sulla povertà concluda il suo iter in Parlamento, c’è attesa per il Piano nazionale promesso dal governo. Per Ortigosa, però, oggi è quanto mai necessario un intervento che riguardi il più ampio panorama della spesa assistenziale nazionale, di cui la lotta alla povertà ne è solo una parte. “Purtroppo - spiega Ortigosa -, nell’iter della legge delega c’è stato un processo riduttivo. Rispetto alla categorialità e ai gravi limiti di non equità e di non efficienza delle nostre misure attuali sono stati fatti dei gravi passi indietro. Nel complesso, tutte le attuali integrazioni dei redditi per un quarto vanno a famiglie dei quattro decili Isee superiori che hanno situazioni familiari reddituali assolutamente tranquille, se non benestanti o ricche. O si ha il coraggio, quindi, di rivedere le misure attuali nella loro configurazione a specifiche categorie di utenti e nella loro distribuzione, concentrando il loro uso sulle situazioni di bisogno, come povertà assoluta e i suoi dintorni, o il passaggio dal miliardo e mezzo stanziato ai quei 7 miliardi che sia l’Alleanza contro la povertà, sia le nostre stime, ritengono necessari per una misura generale contro la povertà assoluta, non avverrà”.
Per questo, spiega Ortgosa, i passi da compiere iniziano proprio dal mettere mano all’attuale spesa assistenziale nel suo complesso. “Il piano dovrebbe avere il coraggio di definire un percorso che nel giro di qualche anno vada a toccare quell’entità di 7 miliardi e mezzo con congruo riutilizzo delle misure attuali - continua Ortigosa -, evitando dispersioni. Il piano, inoltre, deve definire una misura di lotta alla povertà che sia un livello essenziale, quindi una misura universalistica, e che sia adeguatamente accompagnata da processi di reinserimento sociale e risorse investite sui territori per mettere in grado di gestire adeguatamente la misura. Se il piano fa questo è apprezzabile. Se invece non lo fa o lo fa in misura timida, non è un piano serio”.
Oltre al nodo risorse, però, la partita contro la povertà in Italia si gioca soprattutto sui territori e su quei percorsi di attivazione e reinserimento sociolavorativo che si è tentato di avviare più volte, anche con la sperimentazione sulle 12 città. A livello regionale e locale, intanto, qualcosa si sta muovendo e in molti casi potrebbe esserci già un terreno fertile per un piano organico. Per Ortigosa, i territori “stanno evolvendo in una direzione corretta anche come approccio, ma hanno dei vincoli insuperabili nell’attuale normativa e nel sistema assistenziale. Nella misura in cui il sistema si modifica valorizzando i territori, come con il Sia, e si danno risorse aggiuntive credo che nel giro di qualche anno si possa avere un processo di cambiamento estremamente significativo e cruciale per il sistema assistenziale in Italia”. Enti locali pronti, in alcuni casi, e non solo nel Nord Italia. “In alcune regioni del Sud con cui abbiamo collaborato - racconta Ortigosa -, e penso alla Puglia o alla Basilicata, mi sembra che si stia andando nella giusta direzione con politiche regionali e locali. Anche in Sicilia si sta muovendo qualcosa. In Sardegna, invece, le vicende del governo regionale hanno fatto arretrare la situazione, un po’ come in Campania. Tuttavia, mi pare che dei fermenti ci siano anche in queste realtà. Certo nel Sud Italia ci vorranno più anni e più accompagnamento, ma anche il piano dovrà avere grande attenzione sui processi locali”. (ga)