Povertà. Tante promesse, ma ad oggi una sola certezza: il Rei
ROMA - Mai come nel 2018, in Italia, s’è parlato di povertà. Da un lato perché i dati che l’Istat divulga ogni anno parlano di un’inarrestabile crescita di poveri assoluti nel nostro paese, dall’altro perché con l’arrivo a Palazzo Chigi del Movimento 5 stelle, il Reddito di cittadinanza (uno dei pilastri della proposta politica del movimento) è diventato un trending topic sia sui social che sulle prime pagine dei giornali. È di sicuro questa la novità dell’anno: mai prima d’ora l’attenzione sulla povertà è stata così forte. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni politiche e delle risorse stanziate nella sudata legge di bilancio, il 2018 si chiuderà con una promessa e una sola misura certa (funzionante, anche se insufficiente) contro la povertà assoluta: il Reddito di inclusione.
I dati dell’Istat non lasciano scampo. Nel 2017, in Italia, sono oltre 5 milioni le persone in povertà assoluta (5 milioni e 58 mila individui). Nel 2008, ovvero nove anni prima, erano solo 2 milioni e 893 mila persone. In nove anni, quindi, la povertà assoluta in Italia è quasi raddoppiata, ma se prendiamo in considerazione gli anni pre-crisi, secondo l’ultimo rapporto della Caritas Italiana, la povertà in Italia è più che raddoppiata, quasi triplicata, facendo registrare un aumento del 182 per cento. Il dato dell’Istat, infatti, è il più alto mai registrato dall’Istituto da quando ha iniziato a calcolarlo, ovvero dal 2005. Bastano solo questi dati per comprendere la gravità della situazione attuale. Anche se c’era da aspettarselo, è ancora una volta il Mezzogiorno a soffrire la situazione peggiore. Secondo le ultime rilevazioni Istat, infatti, sono le famiglie del Sud le più colpite dalla povertà assoluta, ovvero circa un nucleo su dieci. Nel 2017 sono 854 mila le famiglie residenti nel Mezzogiorno in condizioni di povertà assoluta, in crescita rispetto ai 699 mila dell'anno precedente. In leggero calo, rispetto al 2016, l’incidenza della povertà assoluta tra i minori. Tuttavia, i dati restano allarmanti: in Italia ci sono un milione e 208 mila minori in condizioni di povertà assoluta.
Un reddito di cittadinanza dimezzato. Con questi trend è facile capire il successo che ha avuto e sta avendo la proposta targata Movimento 5 stelle e portata avanti dall’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Interesse non scontato, considerato che negli anni sono suonati diversi campanelli d’allarme (quasi sempre inascoltati), che ha portato a stanziare contro la povertà somme che in Italia non si sono mai viste. Nonostante il tira e molla con l’Europa e i tagli necessari per limare il deficit, alla voce povertà resteranno 7,1 miliardi (contro i 9 miliardi annunciati in un primo momento). Ovvero, più del triplo di quanto sia stato stanziato per un singolo anno ad oggi. Non sono pochi, anzi, ma vanno considerate in questo dato anche le risorse da utilizzare per la riforma dei Centri per l’impiego, ovvero un miliardo. Ironia della sorte, 7 miliardi sono anche quelli che, secondo le prime stime dell’Alleanza contro la povertà, sarebbero bastati per portare a regime il Reis, ovvero la misura contro la povertà studiata dal cartello, molto simile al Reddito di inclusione attualmente in vigore. Secondo l’Alleanza basterebbero a raggiungere l’intera popolazione in povertà assoluta. Tuttavia, tra l’attuale governo e il cartello di organizzazioni dell’Alleanza non scorre buon sangue e dell’ipotesi di potenziare il Rei, a Palazzo Chigi, non ne vogliono neanche sentir parlare. Sette miliardi, però, sono anche la metà di quanto aveva stimato inizialmente il Movimento 5 stelle per far funzionare al meglio il proprio Reddito di cittadinanza. Come possa continuare a sopravvivere l’idea iniziale, con risorse dimezzate, è tutta da vedere. Secondo Palazzo Chigi, però, saranno sufficienti: il reddito non avrà più 12 mesi da coprire, ma solo 9 (per via dei ritardi accumulati) e si spera, come in realtà accade, che non tutti i potenziali beneficiari arrivino a fare domanda del sussidio.
Le promesse e i dubbi. Sul reddito di cittadinanza, quindi, di certo ad oggi c’è ancora poco, anche se in questi giorni di festa sta circolando una bozza con qualche dettaglio in più. Tuttavia, non c'è ancora un disegno di legge degno di questo nome. Sebbene in un primo momento c’era l’intenzione di introdurre la misura con la legge di bilancio, le varie vicissitudini che ha vissuto la manovra hanno portato il governo a stralciare l’introduzione del Reddito di cittadinanza dal testo. Questa decisione ha decretato anche uno slittamento della possibile data d’avvio della misura. Non più il primo giorno del 2019, ma in primavera, probabilmente a inizio aprile, quando il testo di legge avrà già terminato il proprio iter, o almeno è quello che sperano a Palazzo Chigi. I tratti distintivi della misura li ha raccontati a più battute l’attuale leader del M5s, Luigi Di Maio, ma è una mozione approvata in Parlamento a mettere per la prima volta dei paletti sulla futura misura: un contributo economico di 780 euro a persona al massimo (che può crescere se si prende in considerazione l’intero nucleo familiare costituito da più persone), una misura per soli cittadini italiani e un migliore utilizzo dei Centri per l’impiego. Dal 12 settembre, data della mozione, ad oggi non sono mancate limature e aggiunte da parte dello stesso Di Maio, ma anche le voci critiche si sono moltiplicate. Il primo a mettere in dubbio la struttura della proposta dei cinquestelle è stato Tito Boeri. Secondo il presidente dell’Inps sarebbero serviti più di 30 miliardi per far funzionare il Reddito di cittadinanza così come sognato dai grillini. Anche il Rapporto Svimez ha messo in dubbio la possibilità di garantire i 780 euro promessi, quando si stava parlando di 9 miliardi e non di sette. L'Associazione studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), invece, ha criticato la volontà di favorire i cittadini italiani, andando così contro le direttive europee. Infine, anche il nuovo ruolo dei Centri per l’impiego non ha convinto chi da anni si occupa del tema. Per l’Alleanza contro la povertà, infatti, sarebbero inadatti a ricoprire una figura di regia all’interno della nuova misura. Centri per l’impiego considerati cruciali dal Movimento, la cui riforma tuttavia con ogni probabilità non riuscirà ad anticipare l’avvio del Reddito di cittadinanza e forse neanche a tenere il passo durante i primi mesi di erogazioni. Il rischio, quindi, è di avere un 2019 caratterizzato da un caos senza precedenti. Una situazione che, secondo le associazioni, potrebbe perfino nuocere alla stessa lotta contro la povertà, delegittimandola. Sul Reddito di cittadinanza, però, si giocano gli equilibri dell’attuale governo. Non dovesse andare in porto, porterebbe a picco l’esecutivo.
Intanto, il Rei. Mentre non c’è giorno in cui non si parli di Reddito di cittadinanza, sono più di un milione i poveri assoluti che stanno ricevendo il Reddito di inclusione (Rei). È quanto ha reso noto l’Osservatorio sul Rei dell’Inps. Tra gennaio e settembre 2018, infatti, sono stati erogati benefici economici a 379 mila nuclei familiari. Al Sud la maggior parte dei benefici erogati (69 per cento) raggiungendo oltre il 70 per cento di tutti i beneficiari. Secondo i dati raccolti dall’Inps, inoltre, la metà dei beneficiari risiedono in due sole regioni, ovvero Campania e Sicilia. Rispetto al Reddito di cittadinanza, il Rei ha un’erogazione economica meno consistente (il cui beneficio massimo mensile supera di poco le 500 euro per famiglie numerose), ma il punto di forza è la presa in carico delle famiglie in povertà sul territorio, con il coinvolgimento anche del terzo settore. Ed è proprio questa la preoccupazione maggiore raccolta sui territori da un’inchiesta di Redattore sociale: il reset politico di quanto di buono fatto fino ad oggi nel nome del “cambiamento” promesso dai cinquestelle. La nuova misura, infatti, potrebbe cambiare le carte in tavola per quanto riguarda la presa in carico, con un nuovo ruolo dei Centri per l’impiego. Ma affinché tutto questo accada è necessario che l’iter legislativo del Reddito di cittadinanza faccia il suo corso, che vengano riscritti i regolamenti per farlo funzionare sui territori, che parta la riforma dei centri di servizio, rimasti nel limbo da anni. Tutto questo potrebbe durare molto più dei tre mesi previsti dal governo M5s e Lega. Ma anche in questo caso, l’unica certezza è che il 2019 partirà con il Rei, così come lo conosciamo ad oggi e così come istituito dalla passata legislatura.
Il volontariato non sta a guardare. Mentre tra Palazzo Chigi e Montecitorio si cerca di far quadrare i conti, sui territori c’è chi in questi anni si è rimboccato le maniche e ha iniziato a pensare ad uno strumento per sostenere le persone in povertà. Ed è così che sono nati i 178 empori solidali, distribuiti in 19 regioni, mentre almeno altri 20 sono pronti ad aprire entro il 2019. Un piccolo universo di solidarietà gestita dal volontariato mappato per la prima volta da uno studio realizzato da Csvnet, l’associazione dei Centri di servizio per il volontariato, e Caritas italiana. Piccoli market del tutto simili a quelli commerciali, ma che distribuiscono gratuitamente beni di prima necessità a famiglie in povertà. Una risposta ad un bisogno crescente, soprattutto in questi ultimi anni. Più della metà degli empori attivi, infatti, ha aperto tra il 2016 e il 2018. Ma sono oltre il 70 per cento quelli aperti dal 2015 ad oggi. Oltre 5 mila volontari coinvolti e oltre 325 mila i beneficiari dall’avvio delle diverse realtà al 30 giugno 2018. Un’esperienza concreta che dovrebbe spingere il legislature a sostenere il ruolo attivo del terzo settore nella lotta alla povertà, ma la recente decisione del governo di sopprimere lo sconto del 50 per cento sull'Ires al non profit va nella direzione opposta. (Giovanni Augello)