31 agosto 2014 ore: 13:16
Immigrazione

Primi soccorsi "privati" in mare: "In salvo circa 300 migranti"

Entra nel vivo il progetto Moas (Migrant Offshore Aid Station) finanziato da una famiglia di imprenditori residenti a Malta. Intercettate due imbarcazioni. A bordo oltre 200 tra siriani e palestinesi, tra cui 57 bambini. Regina Catrambone: "Nessuno merita di morire in mare"
Migranti soccorsi dal progetto Moas

Migranti soccorsi dal progetto Moas

Migranti soccorsi dal progetto Moas
Migranti soccorsi dal progetto Moas

ROMA - Primi soccorsi in mare per il Moas (Migrant Offshore Aid Station), l'iniziativa "privata" di salvataggio di migranti in difficoltà nel Mediterraneo lanciata dai coniugi Catrambone, una famiglia di imprenditori residenti a Malta: nei giorni scorsi l'imbarcazione Phoenix I, dotata di gommoni e droni per individuare barche in difficoltà, ha tratto in salvo circa 300 persone. I primi migranti ad essere soccorsi sono stati un gruppo di siriani e palestinesi intercettati a largo su di un peschereccio di legno. A bordo 227 persone, tra cui 40 donne e 57 bambini. I migranti sono stati accolti a bordo della Phoenix per il primo soccorso e questa mattina sono stati presi in carico dalle autorità italiane. Altri 96 migranti provenienti dall'Africa Subsahariana sono stati soccorso in questi giorni su di un gommone. "I migranti non erano in cattive condizioni - spiega una nota del Moas -. Un bambino aveva bisogno di insulina e c'erano diverse donne in gravidanza. La marina italiana fornito le cure necessarie". I migranti soccorsi sono stati condotti in Italia.

Entrano nel vivo, quindi, le operazioni di salvataggio dei migranti in difficoltà interamente finanziate da privati. Un'iniziativa unica nel suo genere che in questi giorni ha fatto il giro del mondo. "Abbiamo ricevuto molte email da persone che vogliono fare volontariato o fare donazioni - racconta a Redattore sociale Regina Catrambone, che insieme a suo marito Christofer ha dato vita al progetto Moas -. Alcune persone ci hanno contattato per discutere della possibilità di fare donazioni importanti attraverso le loro aziende".  Le attuali risorse messe in campo dalla famiglia Catrambone permetteranno alla Phoenix I di restare in mare per circa due mesi, ma sul proprio sito internet è stata lanciata un'iniziativa di crowdfunding per raccogliere altre risorse. "Abbiamo investito tutti i soldi necessari affinché le operazioni durino 60 giorni - spiega Regina Catrambone -. Ora speriamo di raccogliere altre donazioni che ci possano aiutare a rendere il progetto sostenibile nel lungo periodo".  Ad oggi, il progetto ha raccolto all'incirca 2 mila euro su internet, ma a poco a poco si stanno interessando al progetto anche altri imprenditori e alcune organizzazioni non governative, tra cui la Ong Medical Bridges con base a Houston, negli Stati uniti, mentre la scuola di formazione per paramedici di Malta, Merit Training Ltd, sta fornendo personale volontario.

Migranti soccorsi dal progetto Moas
Migranti soccorsi dal progetto Moas

 La sfida lanciata dalla Phoenix I, spiegano i responsabili del Moas, non è quella di sostituirsi alle autorità attualmente impegnate nel soccorso ai migranti, ma quello di evitare nuove tragedie del mare con il proprio contributo di mezzi e professionalità. "Abbiamo informato le autorità dei nostri piani - spiega Catrambone -, tuttavia non abbiamo firmato nessun accordo formale ma siamo disponibili a collaborare con Mare Nostrum. Per questo non ci aspettiamo alcun trattamento speciale. Dovremmo essere trattati come qualsiasi altro peschereccio o mercantile in mare che ha l'obbligo di salvare le persone in difficoltà. L'unica differenza è che noi abbiamo esperienza e volontà di aiutare i centri di coordinamento di soccorso in mare nelle operazioni di ricerca e salvataggio". Per Regina Catrambone, però, la missione del Moas e della sua Phoenix I non vuole essere una "soluzione" ai fenomeni migratori. "Come Mare Nostrum, la nostra è una semplice iniziativa per evitare la perdita di vite umane in mare. Crediamo che nessuno merita di morire in mare e crediamo anche che salvare vite non è un'esclusiva responsabilità di Italia e Malta. Si tratta di una responsabilità collettiva che dovrebbe essere propria di chi è in grado di dare una mano. Siamo tutti cittadini del mondo e questo è il motivo per cui ci sentiamo in dovere di agire".(ga)

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