Profughi, i vescovi di Treviso e Vittorio Veneto: "L'accoglienza è un dovere cristiano"
TREVISO - Accoglienza diffusa, integrazione, solidarietà: sono queste le parole che devono essere alla base dell’accoglienza dei profughi in Veneto secondo i vescovi di Treviso e di Vittorio Veneto, mons. Gianfranco Agostino Gardin e mons. Corrado Pizziolo, che per la prima volta intervengono sul tema con una lettera pubblicata nei due settimanali diocesani in uscita “Vita del popolo” e su “L’Azione”.
Ad oggi, in provincia di Treviso, sono presenti circa 900 migranti, arrivati tra il 2014 e il 2015: in media, circa 10 persone per comune, uno ogni mille abitanti. “Recentemente l’arrivo di migranti ha dato luogo a qualche episodio di particolare tensione sociale, anche a causa di scelte improvvide per la loro sistemazione – scrivono -. Abbiamo voluto attendere che si attenuasse un certo clima surriscaldato”.
I due vescovi rilevano innanzitutto che “se a livello nazionale ed europeo la gestione dei flussi di migranti appare priva di una gestione sufficientemente pensata e debitamente organizzata, a livello di responsabili regionali e comunali si mescolano, alla oggettiva difficoltà di far fronte a richieste improvvisate di accoglienza, alcune componenti ideologiche; queste sembrano impedire di cogliere la dimensione drammatica di tante situazioni umane”. Nella lettera quindi invitano a pensare e agire secondo “alcuni criteri irrinunciabili per i cristiani”. In primis, il rispetto della realtà: “Si tratta in molti casi – precisano mons Gardin e mons Pizziolo -, di migranti forzati, di persone che cercano sopravvivenza prima ancora che dignità. Come comunità cristiane non dobbiamo rinunciare a fare la nostra parte, per quello che possiamo, senza rifugiarci dietro la vastità del fenomeno e la sua infelice gestione ‘a livello alto’. Abbiamo cercato strutture, mezzi, persone; invitiamo al dialogo, alla ricerca comune di soluzioni, alla solidarietà”.
I due vescovi si rifiutano di credere che l’accoglienza e l’integrazione, “per quanto impegnative, siano del tutto impossibili. Esse chiedono però il coinvolgimento di tutti: istituzioni, amministrazioni locali, privato sociale, associazioni, e certamente anche le comunità cristiane. Vorremmo che si potessero perseguire scelte che nascano, nello stesso tempo, dall’intelligenza e dal cuore; vorremmo che si mettesse in atto una progettualità che preveda una accoglienza diffusa nel territorio”.
Quindi concludono: “E se proprio ci ritroviamo a constatare la precarietà delle nostre risposte a questa drammatica emergenza, non rifugiamoci nell’indifferenza. Almeno lasciamo spazio alla tristezza per non riuscire a fare quanto vorremmo, almeno solidarizziamo con l’amarezza di chi sperimenta il rifiuto di essere accolto, almeno piangiamo”. (gig)