Quando il compagno è in carcere: "il coraggio di andare avanti con il sorriso"
Ascoli Piceno, sala colloquio dellla Casa circondariale di Marino del Tronto
Ascoli Piceno, ingresso della Casa circondariale di Marino del Tronto |
Ascoli Piceno – Non compaiono nelle statistiche, non hanno peso specifico come categoria, non alzano la voce ma da sole reggono una famiglia intera e il peso enorme della solitudine. Sono le donne condannate a dividere i propri affetti col carcere. Quelle che i compagni li hanno scelti per amore, nonostante tutto. E che nonostante tutto non li abbandoneranno mai. Giulia (nome di fantasia) è una bella ragazza con gli occhi scuri. Diresti una studentessa, se non fosse per la fede al dito e i due maschietti scatenati, di 2 e 6 anni, che si porta sempre appresso. Luca, suo marito, ha qualche anno meno di lei e un fine pena al 2020. Una discussione con altri ragazzi che degenerata in rissa, il ferimento di un coetaneo e la vita cambia in un attimo. - E’ il 2006, Luca ha solo 18 anni e una situazione complessa che lo aspetta a casa tutti i giorni. Nonostante questo, affronta con coraggio e grande senso di responsabilità le conseguenze del “fatto”: arresto immediato di due mesi e 10 anni di attesa per la sentenza definitiva. “10 anni di condanna anche se ero libero - racconta - perché sai che prima o poi ti verranno a prendere. In questi anni però mi sono costruito una famiglia, ho due bellissimi bambini, ho sempre lavorato per loro e per mia moglie. Non uso droga, non ho commesso altri reati. Ho sbagliato e ho chiesto perdono più volte. Adesso sono un’altra persona. E’ giusto che paghi, ma vorrei farlo con la possibilità di uscire di giorno per lavorare, per la mia famiglia che è la cosa più importante. Loro sono venuti dopo, con la mia “storia” non c’entrano niente. Ma stanno pagando lo stesso”.
Dopo 9 anni la giustizia presenta il conto a Luca.
Ricordo bene quel lunedì mattina. Il suono del campanello della porta. Avevo in braccio mio figlio di 17 mesi, apro e mi trovo di fronte 3 carabinieri. La reazione istintiva è stata un pianto disperato. Ricordo la valigia preparata tra le lacrime e il cuore che batteva all’impazzata, con la consapevolezza che sarebbe iniziato un periodo davvero difficile. E’ stato come se fosse passato un terremoto in casa che ci ha stravolti tutti. D’un tratto le stanze sembravano vuote, il letto troppo grande e i rumori della notte troppo forti e spaventosi da sopportare senza di lui.
La prima volta in carcere?
Il primo colloquio, la perquisizione, tante sbarre, il rumore delle porte che si chiudono mentre se ne aprono altre. Entriamo nella stanza del colloquio io e mia madre, legatissima a mio marito, la guardo per avere conforto nell’attesa che arrivi lui. Mi sembra tutto così irreale. Ci sono tante persone che parlano tranquillamente, ridono, mangiano, mentre io tremo nonostante il caldo. Poi alzo gli occhi e vedo il disegno al muro: un aquilone con scritto “Ti amo papà” e non trattengo le lacrime. Poi il suo abbraccio forte, un’emozione mista a paura e coraggio che ci davamo entrambi.
A distanza di mesi, lo trovi cambiato?
Luca è segnato da questa situazione, è molto dimagrito, ha voglia di riscattarsi, di ritrovare un po’ di dignità mandando lo stipendio del suo lavoro in carcere a casa per cercare di non farci mancare nulla. Per lui è dura vedere i suoi figli crescere senza stargli vicino, passare il Natale, il giorno del loro compleanno lontani è un gran dolore. E’ stato sempre un papà molto presente e mai avrebbe voluto passare un solo giorno lontano dai suoi bambini. I nostri sentimenti non credo siano cambiati, credo si siano rafforzati. In tutta questa brutta storia abbiamo imparato ad apprezzarci ancora di più. La nostra forza e il nostro supporto è dato da un amore così forte tra noi e per i nostri figli da superare anche quelle sbarre.
Ascoli Piceno, sala colloquio dellla Casa circondariale di Marino del Tronto |
I bambini come vivono la carcerazione del papà?
Mio figlio più grande per tre mesi non ha visto suo padre perché insieme volevamo proteggerlo da tutto questo dolore e dopo quasi un mese l’ha sentito per telefono. Le chiamate ci sono una volta a settimana per 10 minuti. Ci siamo dovuti abituare anche a questo… Un giorno nella lettera che stavo scrivendo a Luca, il bambino ha deciso di mettere un disegno e perplesso mi ha detto “mamma, sei sicura che la mandi dove lavora papà o la dai a Gesù?”. Allora ho chiesto aiuto a una psicologa e con il suo supporto lo abbiamo portato ‘dove lavorano tante guardie’. Ancora non abbiamo mai usato la parola carcere, lui sa che il suo papà ha fatto una cosa che non si poteva fare e ora deve lavorare lì. Non so se il bambino ha mai capito dove si trova ma dopo che il primo incontro, dopo 3 lunghi mesi, e dopo un lungo abbraccio con il suo papà è tornato sereno. Luca ci aveva preparato dei braccialetti fatti da lui con i chicchi delle olive. Erano felicissimi.
Come sono le tue giornate?
Purtroppo non ho un lavoro fisso ma mi arrangio come posso mettendo a frutto le mie competenze per cercare di fare il massimo per i bambini. Poi ho la fortuna di avere due angeli con me: mia madre e mia nonna, uniche, fondamentali e indispensabili per tutti noi. Abbiamo aiuti anche a livello economico da molti amici e amiche.
Riesci ad avere spazi per te?
Gli spazi per me stessa sono diminuiti, ma con mio marito abbiamo sempre messo al primo posto i bambini e la loro serenità: tutto questo mi fa dimenticare di non avere tempo per me.
Un pensiero per le donne che hanno il compagno in carcere
Alle donne che vivono la mia stessa situazione auguro di avere la serenità di accettare le cose che non possono cambiare e il coraggio di riuscire ad andare avanti con il sorriso di chi ce la mette tutta per superare i problemi della vita al meglio. Auguro loro di avere la forza di non abbattersi e non mollare, auguro di riavere presto i loro familiari. E tutto questo lo auguro anche a me stessa perché continui a farlo fino a quando il mio amore non sarà di nuovo vicino a me. (Teresa Valiani)