Raccolta abiti usati, le due coop indagate. "Li denunciamo da anni, non siamo criminali”
ROMA – “Da anni denunciamo le ingerenze della criminalità, per tre volte ci hanno incendiato il magazzino e ora veniamo descritti come solidali ad una banda di criminali: la misura è colma, non si può infangare così una storia di inclusione sociale”. Il suo nome è finito dentro le indagini della Squadra mobile di Roma sul “business degli abiti usati”, il sistema messo in piedi per la gestione dei vestiti lasciati nei cassonetti gialli e nel quale sarebbero coinvolti – in comuni della Campania, dell’Abruzzo e del Lazio, capitale inclusa – i boss della Camorra insieme a personaggi come Carminati e Buzzi, già protagonisti principali dell’inchiesta “Mafia Capitale”. Di fronte a questo la cooperativa sociale Lapemaia, insieme al consorzio di cooperazione sociale Alberto Bastiani, passa ora al contrattacco e contesta la ricostruzione dei fatti che li dipinge come facenti parte del sistema messo in piedi per sfruttare al massimo l’affare dell’abito usato. Un sistema che vedrebbe una serie di imprese assicurarsi – grazie alle compiacenze politiche - il servizio di raccolta degli abiti dai cassonetti usati e che prevedeva poi la falsificazione dei documenti di igienizzazione e di trasporto e la spedizione all’estero del materiale, con incassi nel’ordine dei milioni di euro.
“La realtà – scrivono la cooperativa sociale Lapemaia e il consorzio Bastiani - è un tantino più complessa dei facili teoremi polizieschi e di scoop giornalistici: la nostra attività lavorativa non si regge sul mercanteggiamento, sui finti bandi di gara o le commesse dirette ma sull’applicazione sempre faticosa delle disposizioni della legge nazionale 381/91”. “Abbiamo denunciato da anni le ingerenze della criminalità nel settore dei vestiti usati, abbiamo subito degli attentati negli ultimi anni, con tre incendi del nostro magazzino il 24 maggio 2004, il 27 dicembre 2005 e il 24 maggio 2009), oltre a danneggiamenti e minacce”. “Eppure – protestano - oggi risultiamo soci di chi abbiamo denunciato, da parte lesa diventiamo criminali”.
“Non si può contestare - continuano - un reato di tipo contravvenzionale e trasformarlo in un sodalizio criminale, in una associazione a delinquere”. E parlano di una “strana inchiesta”, chiedendo su tutto ciò “un po’ di chiarezza”. A partire dal coinvolgimento di Pietro Cozzolino, indicato come elemento di vertice del clan camorristico di Portici Ercolano: “Perché a fronte di incendi e minacce a nostro danno, i vari Cozzolino & C., sotto protezione perché collaboratori di giustizia, giravano indisturbati a minacciare e taglieggiare? Perché in presenza di oggettive nostre difficoltà operative (i continui danneggi amenti) si sono sommate lungaggini burocratiche incredibili che hanno ritardato il riavvio delle nostre attività, di fatto agevolando il circuito criminale, danneggiando la cooperazione sociale e riducendola alla semplice mano d’opera per la raccolta di vestiti usati? Per anni abbiamo investito risorse economiche ed umane per integrare al lavoro persone disabili e svantaggiate, costruendo un sistema di raccolta e trasformazione dei materiali usati, nel rispetto dell’ambiente.
Dall’inchiesta emergerebbe un sistema basato su cooperative sociali che sfruttando i vantaggi di un regime fiscale speciale e le agevolazioni nell’assunzione delle persone svantaggiate di fatto renderebbe ancor più grande il giro d’affari illecito. Con uno spaccato negativo sull’intero mondo della cooperazione sociale, già toccato dall’altra inchiesta, quella su “Mafia Capitale”. “Noi – affermano al riguardo Lapemaia e Bastiani - difendiamo con convinzione la necessità di una corsia preferenziale per la cooperazione sociale ai fini dell’inserimento lavorativo delle persone in situazione di svantaggio. La legge 381 è una legge giusta, che prevede la possibilità per la Pubblica Amministrazione di riservare una quota di beni e servizi alla cooperazione sociale che integra a lavoro persone svantaggiate. E’ una misura di giustizia sociale, non un privilegio!”. E a proposito della gestione anomala da parte dell’Ama – l’azienda municipalizzata del Comune di Roma che opera la raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e altri servizi di pulizia e decoro urbano – le due realtà affermano: “Siamo stati noi a richiamare l’attenzione di Ama e Comune di Roma sui bandi di gara che non rispondevano più a questi criteri di legge e lo abbiamo denunciato in interventi pubblici, ma non abbiamo avuto risposte”. “La misura per noi – è la conclusione - è veramente colma: Lapemaia e il Consorzio di Cooperazione Sociale Alberto Bastiani non possono accettare di essere descritti come solidali ad una banda di criminali e a mafia Capitale che peraltro abbiamo denunciato! Non si può infangare impunemente una storia lunga e sofferta di inclusione sociale”.