Raccolta fondi esternalizzata, le associazioni si difendono: non è solo marketing
ROMA – “Sono la nostra risorsa più preziosa, il nostro biglietto da visita con i nuovi donatori, per questo puntiamo molto sulla loro formazione. Ma sul rapporto che hanno con le agenzie di comunicazione non possiamo sindacare più di tanto, quello che chiediamo è il rispetto delle regole”. Le organizzazioni che impiegano “dialogatori” in strada per il fundraising, rispondono così alle critiche lanciate da alcuni ragazzi intervistati nell’inchiesta di Redattore sociale sulla raccolta fondi praticata con il “face to face”. In particolare vengono rispedite al mittente le accuse che si tratti di un’attività di puro marketing.
“Siamo stati tra i primi, nel 2000 a utilizzare questa tecnica insieme a Greenpeace. Prima lo facevamo in house, cioè dall’interno, poi abbiamo interrotto perché non riuscivamo a stare dietro a questa attività solo con le nostre risorse e abbiamo iniziato ad avvalerci di agenzie esterne – spiega Giancarla Pancione, responsabile dell’area donatori individuali di Save the children – Ma la parte della formazione continuiamo a farla noi, i ragazzi ci conoscono direttamente e vengono istruiti sulle nostre attività. E’ un aspetto a cui teniamo tantissimo, perché i dialogatori sono il nostro biglietto da visita con i nuovi donatori, quindi devono sapere di cosa ci occupiamo, e non possono farsi trovare impreparati”. La formazione è gestita da due persone che all’interno dell’organizzazione si occupano solo di questo. “Ogni due mesi ci sono corsi dedicati – aggiunge – inoltre portiamo anche persone a vedere i progetti realizzati con le raccolte fondi. Con i dialogatori siamo stati sia in Nepal che in alcuni progetti qui in Italia”.
Ma sulla modalità (precarie e a provvigioni) con cui vengono impiegati questi ragazzi le organizzazioni chiamano in ballo le agenzie. “Noi chiediamo che vengano applicate le norme contrattuali previste dal contratto face to face, ma non entriamo nel merito. D’altronde è come se chiedessimo quanto viene pagato lo stampatore a cui portiamo i volantini da stampare – aggiunge Pancione – è un servizio che abbiamo esternalizzato”.
Sulla stessa scia anche Federico Clementi, responsabile fundraising di Unhcr, “Per il rapporto contrattuale che queste agenzie hanno con i loro lavoratori noi arriviamo fino a un certo punto – afferma – Come agenzia delle Nazioni Unite abbiamo regole e procedure precise alle quali attenerci per i rapporti con i fornitori esterni, tra cui rientrano anche le agenzie di comunicazione a cui ci affidiamo. Esse devono rispondere quindi a queste regole, ma non abbiamo la possibilità di andare a sindacare il rapporto privatistico che hanno con i loro impiegati”. Oltre ai lavoratori impiegati attraverso agenzie, Unhcr ha lanciato lo scorso anno il programma face to face in house: “ in questo caso – spiega ancora Clementi – sono previste diverse tipologie di contratto a seconda del ruolo, che prevedono una base fissa più incentivi sulla stipula dei contratti”.
Sul fronte della formazione anche Unhcr ha una figura dedicata che ogni 30 giorni circa fa il giro dei gruppi di dialogatori sparsi in tutta Italia per formarli sui temi dell’organizzazione. “I contenuti sono per noi fondamentali – aggiunge – per questo un nostro responsabile tiene corsi di diverse ore che spaziano dal mandato dell’organizzazione ai progetti per cui chiediamo la donazione, fino alle emergenze sulle quali lavoriamo. Dal nostro punto di vista quello che vogliamo fare è fornire tutte le informazioni a questi ragazzi, per questo c’è anche un numero verde e una newsletter a loro dedicati. Inoltre abbiamo una rassegna stampa aggiornata sull’attualità e finalizzata proprio a dare maggiore senso ai contenuti che gli forniamo. E stiamo anche preparando uno strumento di autoformazione, un manuale del dialogatore, all’interno del quale ci sono tutte le informazioni su Unhcr”. Dal 2010 anche Unhcr ha iniziato a portare alcuni dei lavoratori sul campo, soprattutto in Thalilandia “per fargli vedere direttamente quello che facciamo”.
Anche l’Unicef, che si avvale di società private, sottolinea di operare nel rispetto delle linee guida emesse nel 2010 dalla già soppressa Agenzia per le Onlus. “Alle società selezionate – sottolinea l’organizzazione – vengono inoltre forniti specifici materiali Unicef per la formazione dei dialogatori e la conoscenza dell’organizzazione”.
Ma che esistano delle criticità sulla gestione del face to face lo conferma Actionaid. “Nel mondo delle organizzazioni c’è un grosso dibattito su questa modalità di raccolta fondi, perché è noto che il modo con cui sono pagati i dialogatori è poco etico. Stesso vale per la loro formazione – sottolinea Daniele Fusi, capo del dipartimento marketing e fundraising di Actionaid -. Anche per questo noi siamo partiti tardi col face to face, abbiamo iniziato solo quattro anni fa. Prima di lanciarci abbiamo deciso di confrontare le diverse agenzie di comunicazione per scegliere quelle che ci fornivano più garanzie rispetto alla tutela dei diritti di questi ragazzi”. E così, spiega Fusi, la nostra scelta è caduta su Raves, “perché in altre non c’è possibilità di controllo sui contratti, e non si è mai sicuri se i ragazzi sono impiegati direttamente o tramite altre agenzie licenziatarie. E’ una scelta che abbiamo pagato, in termini economici, perché altre agenzie costano meno. Ma abbiamo preferito così”. “Abbiamo inoltre chiesto che il contratto dei dialogatori non fosse solo a provvigione, ma che ai ragazzi fosse garantito un fisso mensile. Anche se non si portano a casa i risultati il lavoro per noi va retribuito sempre, altrimenti non è etico– continua Fusi -. Questi ragazzi passano intere giornate in strada, non possono essere pagati solo a percentuale. Almeno non da noi, perché se ci occupiamo di diritti umani non possiamo non pensare alla tutela delle persone che lavorano per noi”. Anche Actionaid investe molto nella formazione dei dialogatori: “abbiamo una persona esclusivamente dedicata a questa attività – continua - che ha compito di girare gruppi in Italia per fare formazione. Anche su questo aspetto abbiamo imposto al fornitore che non si trattasse solo di marketing. I dialogatori sono i nostri ambasciatori sulle strade, devono essere formati in maniera adeguata.”
Redattore sociale ha contattato le società di comunicazione che reclutano i dialogatori come Appco e Xena marketing, ma i responsabili non hanno voluto rispondere alle nostre domande. (ec)