Rapporto Astalli. "Accordo con Libia grande sconfitta per l’Italia e l’Europa"
ROMA – “Noi non siamo poveracci che aiutano dei poveri, siamo uomini e donne che con responsabilità civile non vogliono smarrire il senso di umanità, perché credono nella dignità della persona e vogliono restituirla a chi è stata tolta”. Lo dice con fermezza, e con un filo di commozione, padre Camillo Ripamonti, ripercorrendo l’ultimo anno di politiche sui migranti alla presentazione del rapporto 2018 del Centro Astalli, oggi a Roma. “Lo scorso anno esprimevamo la nostra profonda contrarietà all’accordo con la Turchia, che impedisce, di fatto, l’accesso in Europa soprattutto di siriani in fuga da una guerra che dura da sette anni e di cui proprio ieri abbiamo avuto nuove notizie efferate – sottolinea Ripamonti – La nostra paura che accordi simili potessero essere fatti si è puntualmente manifestata nel luglio del 2017, quando è stato stipulato l’accordo con la Libia. Esso ha ridotto notevolmente il numero degli arrivi in Europa, attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, ma il prezzo che viene pagato in termini di violenza sulle persone è inimmaginabile. Quello che viene salutato come un successo è per noi una grande sconfitta dell’Italia e dell’Europa intera, confermata nei giorni scorsi dalla notizia che la Corte penale dell’Aja sta indagando per crimini internazionali contro i migranti perpetrati in Libia”.
In particolare, per Ripamonti sono tre i termini che meglio rappresentano quanto vissuto nel 2018: precarietà, integrazione, convivenza. “Nelle nostre città si percepisce un senso crescente di precarietà spesso indotta da procedure burocratico- amministrative farraginose e da un clima generale sempre più spesso impaurito”, spiega. In tutto il 2018 sono stati circa 60 mila i pasti distribuiti dal Centro Astalli, 220 al giorno oltre a un centinaio di colazioni nei mesi invernali ed estivi per il piano freddo e il piano caldo. La città di Roma resta un punto nevralgico di passaggio dove si registrano sempre maggiori criticità. “Ma la precarietà di vita di molti richiedenti asilo – spiega ancora Ripamonti – ha ripercussioni importanti sulla loro salute. Di questo siamo testimoni nel nostro ambulatorio, dove assistiamo chi, il più delle volte vive in strada”. Per questo secondo il presidente dell’organizzazione è necessario porre come obiettivo quello di prevedere un percorso per i rifugiati che va “dall’accoglienza alla piena autonomia”. In questo senso sono stati ricordati i progetti co-housing e le comunità di ospitalità del Centro Astalli, ma anche il Piano integrazione varato dal governo e le criticità del sistema di accoglienza, ancora fortemente presenti nel nostro paese. Infine sul piano della convivenza ha ricordato il lavoro per “abbattere i muri e costruire ponti, soprattutto dal punto di vista dei progetti di sensibilizzazione, per uscire dalla dicotomia noi-loro ed essere sempre più comunità solidale”. Tra questi, la campagne Ero straniero, per abolire la legge Bossi-Fini.
Alla presentazione è intervenuto anche padre Fabio Baggio, sottosegretario di Papa Francesco per la sezione Migranti e Rifugiati della Santa Sede, che ha spiegato come questa sezione sia stata voluta espressamente da Bergoglio che la guida direttamente. “Giovedì scorso, alla riunione mensile, il Santo Padre ha chiesto di mandare a voi i suoi saluti – ha detto rivolto al Centro Astalli – e lo ha fatto chiedendo di non parlare di numeri ma di persone, massificare e generalizzare non fa bene a noi e non fa bene a chi bussa alla porta”. Secondo Baggio i “muri oggi vengono costruiti per impedire la relazione tra le persone e per fare in modo che l’altro non si veda, ma questa è una rinuncia stessa alla nostra essenza di umanità. Non c’è politica che tenga se non ci sono le persone per cui si esercita – ha concluso - Fondamentale oggi è salvare vite. Le politiche di oggi non devono chiudere alle persone ma permettere una migrazione regolare”.
A portare una testimonianza di cosa significhi oggi migrare è stato Mussa, 27 anni che arriva dal Mali. Studente di legge, dopo la morte di sua madre ha iniziato a lavorare come meccanico occupandosi delle auto del governo. “Tutto andava bene fino al colpo di stato – racconta – dopo per tutti coloro che lavoravano per il governo ci sono stati problemi. Sono stato imprigionato, torturato e picchiato. Poi un giorno sono riuscito a scappare, ho camminato tantissimo fino all’Algeria e alla Libia. Qui ho capito che in Libia era peggio che in Mali: ancora una volta tortura e violenza”.
“È molto difficile per chiunque non seguire il racconto di Mussa e non partecipare emotivamente alla sua storia, mentre è molto facile sentirsi distanti da ‘quelli’. Il tema della distanza nel racconto è centrale per chi si occupa di comunicazione – sottolinea la presidente della Rai, Monica Maggioni -. Oggi qualche passo in avanti è stato fatto, per esempio rispetto alle parole. Non possiamo dimenticare gli anni in cui tutti venivano chiamati indistintamente clandestini- Ma oltre a questo va ricordato che quella che stiamo affrontando è una storia che negli ultimi anni può mettere in discussione la tenuta degli stati. Spesso le scelte politiche sono orientate dalla paura dell’invasione, che nei numeri invasione non è. In questo la comunicazione è essenziale, siamo di fronte a un fenomeno complesso e che non può essere raccontato con i codici della cronachetta”. Anche per Marco Damilano, direttore dell’Espresso, il rapporto del Centro Astalli pone a chi fa informazione diverse domande. “Ci chiede di informare, comprendere e agire – sottolinea - oggi è diventato sempre più facile alzare muri che costruire ponti. L’Italia, in particolare, è diventata un crocevia di frontiere, da Lampedusa a Bardonecchia. Ma queste frontiere sempre più spesso si chiudono o si aprono a fatica”. (ec)