Reddito minimo in Ue. “Non sempre si esce dalla povertà, colpa anche dell’austerity”
ROMA – Disomogeneità tra le diverse misure, problemi di monitoraggio a livello europeo e a volte il mancato coordinamento con i servizi territoriali: sebbene manchi solo a Italia e Grecia, il reddito minimo presente in quasi tutti i paesi europei (sono 26) salva dalla povertà una parte della popolazione a rischio, ma non sempre porta ad un superamento della condizione di indigenza. E tutto questo per colpa anche dell’austerity. Ne è convinto Filippo Strati, esperto di politiche sociali e membro delle Rete europea di esperti indipendenti sull'inclusione sociale, intervenuto questa mattina durante il convegno sul reddito minimo organizzato dal Collegamento italiano lotta povertà (Cilap Eapn Italia) a Roma.
Per Strati, occorre andare oltre il solito refrain sull’assenza della misura in soli due paesi e guardare al funzionamento del reddito minimo nei paesi membri. “Non esiste una valutazione sistematica degli interventi, ci sono problemi di monitoraggio - spiega Strati -. Sulle metodologie non c’è armonizzazione e omogeneità. Ci vogliono criteri di armonizzazione a livello europeo. Da vent’anni si insegue la sfida di arrivare ad una politica unitaria. Abbiamo le politiche unitaria sulla moneta, per esempio, ma non abbiamo una politica unitaria sulle politiche sociali”. Tuttavia, nonostante la varietà di interventi, per Strati “è indubbio ed è dimostrato che senza queste misure le percentuali di povertà sarebbero maggiori”.
A livello europeo, ad esempio, ci sono differenze nell’individuazione dei beneficiari. Nel 58 per cento dei casi, infatti, sono individui e famiglie, ma in altri casi riguarda solo gli individui (il 38 per cento) o solo le famiglie (4 per cento). Anche sulla residenza dei beneficiari non c’è uniformità. Se nel 54 per cento delle esperienze serve una residenza di lungo periodo, nella restante percentuale non occorre una residenza permanete. Diversi anche i vincoli d’età: si parte dai 16 anni fino ai 25 per il 46 per cento dei casi. Nella restante parte delle esperienze, invece, non ci sono vincoli. Ma se anche l’ammontare del beneficio varia da paese a paese e l’erogazione non sempre arrivi quasi esclusivamente da strutture nazionali, quel che accomuna tutte le esperienze è la verifica delle condizioni economiche dei beneficiari e la disponibilità obbligatoria al lavoro e alla formazione professionale.
Se è vero che la povertà in Europa avrebbe numeri ben diversi senza reddito minimo, non è così scontato che lo stesso strumento possa tradursi in una automatica fuoriuscita dalla fascia della povertà delle persone che accedono al beneficio. “In Europa, con il reddito minimo non sempre si esce dalla fascia di povertà – spiga Strati -. Il problema del reddito minimo è questo: è uno strumento per raggiungere il diritto della dignità umana, ma è uno degli strumenti. Deve essere combinato a tutta una gamma di misure che portano alle politiche sociali. L’accesso ai servizi sociali è fondamentale”. Ad ostacolare il superamento della condizione di povertà, quindi, la mancanza di servizi che accompagnino la semplice erogazione monetaria. “Il problema è che molti paesi europei – aggiunge Strati - con le misure di austerità, i tagli ai fondi e alla spesa sociale, hanno ridotto i servizi”.
Sulla possibilità che l’Italia si doti di una misura di reddito minimo, Strati non ha dubbi: “È questione di volontà politica, solo questo”. Positivo, intanto, l’aver ripreso con il governo Renzi il percorso avviato con l’ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, e l’ex ministro del Welfare, Enrico Giovannini. “Aver ripreso il Sia, il Sostegno per l’inclusione attiva, è fondamentale e significa anche rivalutare e rimaneggiare quella che è stata l’importante riforma dei servizi sociali nel nostro paese: la 328 del 2000, la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. È lì l’ancora fondamentale in cui il reddito minimo è collocato. Si tratta di rivalutare e aggiornare quelle disposizioni, perché lì era previsto il reddito minimo come strumento di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale”.(ga)