Referendum Svizzera, a rischio i rapporti tra Berna e Bruxelles?
BRUXELLES - La patata bollente è in mano alla Svizzera e sarà il governo di Berna a doverci dire cosa decideranno. Questo è il mantra ripetuto oggi da tutti i funzionari della Commissione europea che hanno parlato alla luce dei risultati del referendum che stabilisce la reintroduzione di quote per i lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica.
Da fonti UE, senza voler sminuire la preoccupazione e la delusione, si ribadisce che, finché l’esito del voto di ieri non diventerà legge (la Svizzera ha tre anni per farlo, n.d.r.), nulla o quasi cambierà negli accordi già negoziati. Ma a crederci sono in pochi, e forse non ci credono nemmeno dalla Commissione.
Comunque, i funzionari di Bruxelles indicano già alcune date chiave: mercoledì il governo svizzero si riunirà per discutere del referendum e per stabilire cosa fare. Poi il presidente della Confederazione sarà in visita a Bruxelles, probabilmente giovedì. Intanto già domani i ventotto stati membri, in una riunione tecnica, confermeranno il mandato all’Unione Europea per discutere sugli accordi interistituzionali fra Ue e Svizzera. Questi erano negoziati avviati, e da Bruxelles si lascia intendere che si proseguirà sulla strada già tracciata e che, se ci saranno rotture, la Svizzera se ne assumerà tutte le responsabilità.
E le prime rotture ci potranno essere nelle prossime settimane, quando presumibilmente da Berna si deciderà di mettere in stand by le trattative sulla libera circolazione delle persone con la Croazia, la cui attuazione era prevista per il primo luglio 2014. In caso, di cambio di rotta da parte di Berna, come è probabile che sarà, Bruxelles dovrà a sua volta sospendere gli accordi in materia di educazione e ricerca con la Svizzera soprattutto per quanto riguarda i programmi Erasmus Più e Orizzonte 2020. Infatti tali accordi sono vincolati al riconoscimento della libera circolazione anche con la Croazia.
Invece, per quanto riguarda gli accordi commerciali e il trattato di libero scambio, bisognerà capire cosa succederà a maggio, quando in teoria la Svizzera aveva preso l’impegno di rimuovere le quote di lavoratori per l’UE a 25 (sono esclusi i cittadini bulgari, romeni e croati). Se, alla luce dei risultati del referendum, la Confederazione elvetica non confermerà la decisione di rimuovere tali quote - cosa che sembra al momento abbastanza probabile - allora ci sarà il rischio di far saltare tutti gli accordi di libero commercio vigenti dal 1999, e in particolare quelli in materia di trasporto aereo, ferroviario e su strada (la cosiddetta clausola ghigliottina).
Un tale scenario complicherebbe non poco la vita degli oltre un milione di comunitari che oggi vivono e lavorano in Svizzera e dei 430.000 cittadini elvetici che risiedono in un paese UE. Per non parlare dei problemi che la “ghigliottina” causerebbe alle imprese sia della Confederazione elvetica che dei ventotto Stati membri (difficoltà nelle assunzioni, aumento delle pratiche burocratiche etc.).
C’è però da precisare che la sospensione degli accordi di libero scambio non sarebbe automatica, anche quando la Svizzera dovesse trasformare in legge il risultato del referendum, ma dovrebbe essere decisa dal Consiglio UE all’unanimità, e non è fantapolitica pensare che paesi come il Regno Unito possano opporsi a tale sospensione, perché anche oltre Manica c’è una tendenza a cercare di limitare la libera circolazione dei cittadini UE.
“A non dover essere toccati, almeno direttamente, dall’esito del referendum svizzero dovrebbero restare gli accordi di Schengen, che non si riferiscono ai lavoratori ma alla libera circolazione di turisti e visitatori, oltre che delle merci, fra paesi. Ma anche a questo riguardo la situazione è poco chiara perché, fanno sapere da Bruxelles, Schengen resterà in vigore solo se non dovranno essere approntati controlli alle frontiere fra Svizzera e paesi UE, altrimenti anche questi accordi salterebbero de facto”.
Interrogati sui parallelismi fra la situazione svizzera e quella irlandese al tempo dei referendum sul Trattato di Lisbona, quando Dublino fece ripetere il voto dopo la prima bocciatura da parte dei cittadini, i funzionari della Commissione ribadiscono il rispetto delle istituzioni democratiche della Svizzera e ripetono che ogni paese segue una strada diversa e ha procedure e meccanismi politici differenti. E le stesse fonti UE non confermano l’idea di un gentlemen agreement fra Unione Europea e Svizzera per tenere sotto controllo le cose almeno fino alle elezioni europee, anche perché non è detto che un accordo in tal senso non possa essere sfruttato dagli euroscettici e dai partiti anti-immigrazione presenti in tutti gli Stati membri a fine di propaganda elettorale.
In conclusione, per Bruxelles l’esito del voto non avrà effetto immediato sulle relazioni UE-Svizzera, sebbene l’atmosfera resti tesa. Dalla capitale europea si predica pazienza, anche se si ripete che la libera circolazione delle persone è un principio non negoziabile perché contenuto nei trattati su cui la stessa idea di Europa si fonda. (Maurizio Molinari)