Regolarizzazione braccianti in agricoltura, a che punto siamo?
Il decreto legge con cui si darà la possibilità di regolarizzare le persone è ancora allo studio: sono coinvolti in particolare il ministero dell’Interno, quello del Lavoro e quello dell’Agricoltura, ma sono interessati anche Giustizia ed Esteri. Secondo indiscrezioni, a mancare sarebbe l’accordo sui termini, con il ministero del Lavoro intenzionato a limare il testo e quello dell’Agricoltura che, invece, spinge sull’acceleratore anche dopo le prese di posizione pubbliche della ministra Bellanova.
Quello che è certo è che non sarà una sanatoria, volta a regolarizzare i circa 500 mila irregolari presenti sul territorio, come inizialmente ipotizzato. Ma che sarà una misura limitata al settore agricolo. E, per questo non mancano le critiche. Le organizzazioni che si occupano di tutela dei diritti dei migranti e i sindacati, seppur favorevoli a regolarizzare chi lavora in agricoltura, anche per far emergere le condizioni di vita e sfruttamento a cui i braccianti sono sottoposti, chiedono un provvedimento più esteso. In particolare, le organizzazioni della campagna Ero straniero, che nel 2017 hanno depositato una proposta di legge di iniziativa popolare, parlano di un provvedimento necessario, ma che deve essere il più ampio possibile. E chiedono anche quali sono i tempi di rilascio del decreto e ai partiti di maggioranza di esprimersi pubblicamente per poter discutere sulla questione. “Vorremmo che tutti calassero la maschera, in particolare il Partito Democratico e il Movimento 5 stelle, per capire cosa pensano della necessità di ampliare la misura - sottolinea Paolo Pezzati di Oxfam Italia -. Per noi la regolarizzazione non può essere solo rivolta all’agricoltura, più emersione significa più sicurezza. Penso alle persone escluse dal decreto che lavorano nel settore di cura e della logistica. Sono persone che vivono nell'ombra e che devono emergere, per la sicurezza di tutti”. La società civile chiede, quindi, di poter intervenire in questa fase per apportare correzioni significative prima che il testo sia definitivo.
Non convince, per esempio, la possibilità di legare la regolarizzazione a un contratto a tempo determinato, non superiore a un anno, come previsto dalla prima bozza circolata sui media. Le organizzazioni chiedono, invece, di ampliare le tipologie di contratto di lavoro previste per la procedura di emersione, senza il limite del tempo determinato. “Perché limitare il permesso soggiorno a un anno, solo per il periodo contingente alla crisi? - aggiunge Pezzati -. Perché non offrire anche la possibilità di avere un contratto a tempo indeterminato? Inoltre riteniamo che non dovrebbero essere imposti contributi onerosi e non sostenibili, che sarebbero inevitabilmente un ostacolo. Infine, non dovrebbero essere penalizzati i lavoratori stranieri che non riuscissero a finalizzare la propria domanda per motivi imputabili al datore di lavoro. I tempi per ottenere un permesso di soggiorno dovrebbero essere ampliati anche oltre il 31 dicembre 2020”. La campagna Ero Straniero chiede soluzioni a lungo termine, pragmatiche e coraggiose. Ma chiede anche di sapere a che punto è il provvedimento: “Serve andare fino in fondo, per il bene di tutto il Paese”.
Intanto il presidente della Commissione Affari costituzionali alla Camera, Giuseppe Brescia si dice d’accordo con le sollecitazioni arrivate dalla società civile, e in particolare dalla Campagna Ero Straniero, su un ampliamento del provvedimento di regolarizzazione che vada oltre il settore agricolo. “Sono pienamente d’accordo e lavorerò per questo in Parlamento. È positivo che la società civile si stia muovendo perché questa è una sfida collettiva che chiama in causa non solo gli irregolari, ma chi vuole regolarizzare. Io spero che queste organizzazioni vengano ascoltate e coinvolte direttamente nella preparazione del testo - spiega Brescia a Redattore Sociale -. La commissione che presiedo lavora da più di un anno sulla proposta di legge 'Ero straniero'. È una proposta che contiene molti punti, magari non tutti condivisibili, ma pone domande a cui la politica deve dare risposta. Abbiamo ascoltato diverse associazioni e realtà datoriali. Se l’ha fatto il Parlamento può farlo anche il governo”.