3 agosto 2021 ore: 12:41
Disabilità

Riconoscimento degli Oss in ambito sanitario? “Ora tocca a noi caregiver”

di Chiara Ludovisi
Il commento e la proposta di una mamma adottiva e caregiver, che da anni si batte perché Lisa, che non sa esprimersi con le parole, possa avere gli strumenti e il personale di cui ha bisogno per comunicare: “L'Oss non è infermiere né medico. Questa confusione crea tanti problemi, in ambito sanitario, scolastico e dei servizi”
Persone con disabilità e i loro caregiver

ROMA – Oss come figure saniterie? Tanti rischi e poca chiarezza. Se una certa confusione esiste da sempre, intorno a questa sigla che pochi sanno declinare, è comprensibile la preoccupazione diffusa dalla notizia del riconoscimento di questa professione in ambito sanitario. Ce ne parla Raffaella Buziol, mamma adottiva e caregiver di Lisa, che ha una forma di disprassia e non riesce a comunicare con le parole: “La formazione ed i compiti dell'Oss, oltre a quelli descritti dall'accordo istitutivo del 2001 e 2003, sono stabiliti dalle singole Regioni. La legge 1º febbraio 2006, n. 43 e la legge 11 gennaio 2018, n. 3 ne hanno ulteriormente specificato i compiti e le funzioni. Ma la formazione non è uniforme tra regione e regione, come pure la collocazione di queste figure: ci sono regioni incui l'Oss diventa 'assistente all'autonomia', una definizione questa che però riguarda tutt'altra formazione e tutt'altro percorso: quelli dell'assistente all'autonomia e alla comunicazione in ambito scolastico. L'Oss invece è l'addetto all'assistenza di base: non è né infermiere né medico”.

E' doveroso chiarire questo, secondo Buziol, perché le conseguenze di tale confusione possono essere gravi, soprattutto per le persone con disabilità: “Pensiamo a un bambino con disabilità: se nel suo percorso formativo arriva un Oss anziché un assistente all’autonomia ed alla comunicazione (formato in Lis, per esempio, oppure secondo il metodo oralista, o in braille, a seconda della disabilità) o anziché un educatore altamente formato: questo significherebbe non dare a quel bambino o a quella bambina uno strumento per sviluppare le abilità nascoste nella disabilità. All'interno del sistema scolastico, questa confusione ha generato un sistema in cui la figura di Oss è il pezzo di un puzzle all’interno di un orario scolastico per la cosiddetta 'copertura orario' per lo studente disabile. Significa che l’Oss si troverà ad affiancare un 'docente di cattedra', avendo una formazione ben lontana dalla necessità dello studente con disabilità: in altre parole, l'Oss si trova ad affiancare lo studente disabile durante le ore scolastiche, tanto per la matematica quanto per la geografia e l'italiano”.

C'è poi il tema della formazione, che per l'Oss “dura circa uno, al massimo due anni, alternando studio e pratica. Per accedere al corso, è sufficiente la licenza media. E' inoltre garantito uno sbocco lavorativo (dall'ospedale al centro diurno, dalla scuola alla rsa o rsd). E i costi sono in parte coperti dai fondi destinati dalle singole regioni, tramite le diverse cooperative. L'Oss consegue così un attestato di qualifica regionale, spesso senza conoscere i diversi tipi di disabilità, ma si può ritrovare a lavorare in ambito ospedaliero, o a esprimere un parere nei progetti per la vita indipendente oppure, in ambito scolastico, a partecipare al Pei, al pari di un familiare che la disabilità la vive 24 ore su 24”.

In ambito sanitario, in particolare, “se in ospedale l'Oss non può agire da solo, diversamente in un'altra struttura si trova a gestire soggetti anche con tracheostomia o pet, oppure disabilità spesso complesse e su cui non ha la preparazione né l'esperienza adeguate”.

La domanda è: “Chi fa le spese di tutto questo?”. E la risposta: “La persona disabile, perché gli strumenti inadeguati portano all'indebolimento delle capacità e della possibilità di manifestare il proprio volere e quindi di relazionarsi con gli altri”. Dall'altra parte, “ci siamo noi, familiari caregiver, che ancora attendiamo un riconoscimento, dei decreti attuativi. Possiamo usufruire al massimo dei tre giorni di 104, come se in tre giorni su 30 mensili potessimo affrontare tutte le difficoltà che la disabilità comporta”. Di qui, la pesante critica all'ultima novità riguardante gli Oss (e gli assistenti sociali): il loro riconoscimento in ambito sanitario, tramite l'articolo 34 del decreto Sostegni-bis: “Mentre lo Stato è concentrato nel riconoscere la figura dell’Oss, rinvia ancora il riconoscimento della figura del caregiver familiare, che da tempo attende una risposta, un riconoscimento, dei decreti attuativi, perché sempre e comunque la famiglia in silenzio porta il carico di mancate risposte, mentre manca un coordinamento in ambito amministrativo sanitario. Così si creano differenti situazioni: da un lato, famigliari che lavorano, consapevoli che accanto al proprio figlio o figlia o famigliare non c'è personale adeguato. Tuttavia devono lavorare, perché non possono permettersi di non farlo: una scelta molto dura, che porta molta sofferenza. Dall'altra parte, famiglie in cui uno dei due genitori rinuncia al proprio lavoro per seguire il proprio figlio o figlia o famigliare: il caregiver stringe i denti, sperando che la sua vicinanza possa colmare ciò che il sistema non dà. In entrambi i casi le scelte sono dure e piene di fatica e sofferenza. Responsabile di questa situazione è il sistema socio sanitario e amministrativo dell'intero ambito nazionale, che fa mancare risposte adeguate e in questo modo marginalizza la disabilità, impedendo socializzazione e inclusione: la disabilità e le sue necessità assistenziali sono relegate al solo ambito familiare, oppure in un contesto riservato alle persone disabili, come i centri diurni, o le Rsa, che ospitano anziani insieme ad adulti disabili. Così, al caregiver familiare non resta che rimboccarsi le maniche e camminare in solitudine, per assurdo vivendo la disabilità, ma obbligato ad essere spettatore della stessa disabilità, accudendo e guardando accudire, sempre in silenzio. In conclusione, io credo che sia giusto riconoscere la figura di Oss, ma chiedo che siano ora ugualmente riconosciute anche le altre figure che necessariamente devono essere accanto alla persona disabile: l'assistente all'autonomia e alla comunicazione, l'educatore e soprattutto il caregiver familiare.

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