Ancora una settimana di tempo per la presentazione degli emendamenti, poi la Commissione Affari costituzionali potrà partire con l’esame del testo. Incerta la conclusione entro la pausa estiva. E il via libera definitivo arriverà solo in autunno
ROMA – Ancora una settimana di tempo per la presentazione degli emendamenti e poi si potrà finalmente partire. Continua a muoversi molto lentamente il disegno di legge delega sulla riforma del terzo settore, attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali del Senato: una lentezza che dovrebbe lasciare spazio a breve alla discussione sul testo ma che lascia ampi margini di incertezza sull’approvazione del provvedimento entro l’estate, secondo quelli che erano gli intendimenti del governo. Poiché il testo approvato nell’aprile scorso alla Camera è destinato a cambiare al Senato, il ddl delega dovrà comunque tornare a Montecitorio per una terza lettura, e il via libera definitivo è pertanto destinato ad arrivare solamente in autunno. Resta da capire se entro la pausa estiva Palazzo Madama riuscirà a modificare il testo attuale e ad approvarlo, prima in Commissione e poi in Aula. Il testo che ne uscirebbe sarebbe a quel punto quello definitivo, e tornerebbe “blindato” alla Camera per l’ultimo ok formale.
Nell’ultima riunione della Commissione Affari Costituzionali, il relatore Stefano Lepri (Pd) ha proposto l’adozione come testo base della versione approvata alla Camera: proposta accettata dalla Commissione, la cui presidente, la senatrice Anna Finocchiaro (Pd) ha poi fissato il termine per la presentazione degli emendamenti alle ore 13 di giovedì 9 luglio. Da quel momento in poi, ogni momento è buono per entrare nei dettagli del testo e per modificarlo.
Già nel corso della relazione introduttiva, alcune settimane fa, Lepri aveva sottolineato numerose linee di intervento, che ora, dopo la discussione generale e anche dopo le audizioni, ripropone come punto di partenza per definire le modifiche da attuare. Lepri ha parlato di una
discussione “particolarmente proficua” con “spunti per una riflessione approfondita”. Nel merito, il relatore dichiara di condividere le osservazioni sul rischio che una normativa eccessivamente dettagliata possa comprimere l'autonomia organizzativa dei corpi intermedi e auspica di individuare un punto di equilibrio: “L'obiettivo – spiega - è bilanciare la capacità di autoregolazione di tali enti e la necessità di definire con precisione i soggetti ascrivibili al Terzo settore, i quali possono beneficiare di diverse forme di fiscalità di vantaggio e dell'istituto del cinque per mille, nonché della misura per l'assegnazione degli immobili pubblici inutilizzati”.
Riguardo all’impresa sociale, Lepri sottolinea che le nuove norme sono volte a “valorizzare tale strumento, finora poco utilizzato, in termini di promozione dell'economia sociale”: a questo si deve la decisione di ammettere che la qualificazione di impresa sociale sia estesa “a qualsiasi impresa privata, con forma giuridica anche diversa da quella delle associazioni e delle cooperative sociali, la quale operi in un settore di utilità sociale o svolga attività commerciali diverse, seppure entro limiti da individuare”. A tali imprese sociali – ricorda - sarà applicato un regime fiscale vantaggioso e sarà riconosciuta anche la possibilità di ripartizione degli utili, sebbene nei limiti della prevalenza dello scopo mutualistico. Su quest'ultimo aspetto, fra i più gettonati nel dibattito, ammette la necessità di un “approfondimento”.
Una “ulteriore riflessione” è secondo il relatore necessaria anche sulle disposizioni relative ai centri di servizio del volontariato, “al fine di consentire l'ingresso delle organizzazioni che fruiscono di tali servizi nella compagine associativa e nella governante”: stesso mantra (“una maggiore riflessione”) anche sulla distinzione tra attività proprie e attività accessorie delle cooperative sociali e sulla istituzione di un registro unico degli enti del Terzo settore presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dal momento che “si potrebbe determinare una sottrazione di competenze a danno delle Regioni e degli enti locali”. Quanto infine alla scelta compiuta dal governo e confermata in prima lettura dalla Camera dei deputati, di attribuire funzioni di controllo e monitoraggio al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, piuttosto che a un'agenzia indipendente, Lepri ritiene che tali opzioni “potranno essere discusse in modo più approfondito in occasione dell'esame degli emendamenti”.
Sull’argomento, il sottosegretario Bobba è più esplicito: sempre intervenendo in Commissione, afferma di ritenere opportuno “prevedere un organismo unico presso la Presidenza del Consiglio, piuttosto che un'agenzia indipendente, al fine di garantire l'uniforme applicazione della disciplina del Terzo settore su tutto il territorio nazionale, anche per evitare incongruenze e difformità a livello locale, che finirebbero per penalizzare le organizzazioni aventi sedi in più Regioni”. “A tale organismo – spiega Bobba - è attribuita altresì una funzione di controllo su una parte minoritaria delle organizzazioni del Terzo settore, su quelle, in particolare, che svolgono attività economiche rilevanti e hanno un volume di affari significativo”. Su questo e sugli altri temi Bobba assicura “la disponibilità del governo a riconsiderare le questioni sollevate, nel tentativo di pervenire a una soluzione quanto più possibile condivisa” con la Commissione.
Il sottosegretario aggiunge che la “necessità di introdurre una normativa sufficientemente dettagliata discende dall'esigenza di superare quelle opacità che favoriscono situazioni di illegalità”: serve quindi “determinare con chiarezza i requisiti in base ai quali individuare gli enti appartenenti al Terzo settore, come lo svolgimento di attività non lucrative e di interesse generale e la realizzazione di un obiettivo riconoscimento socialmente utile”. Soggetti che dovranno poi “essere necessariamente iscritti in un registro unico, per garantire maggiore certezza e trasparenza”. (ska)