Riforma terzo settore, Anmic: “L’autonomia va garantita”
ROMA – La definizione dell’ambito di applicazione, il concetto di “soggetto privato di rilievo pubblico”, l’importanza dei requisiti minimi per poter far parte del mondo del terzo settore, il ruolo dello Stato e quello (da rafforzare) delle famiglie. C’è questo nel documento con cui l’Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili) partecipa alla consultazione pubblica sulle Linee guida di riforma del terzo settore, lanciate dal governo. Oggi si chiude la fase di consultazione e per il 27 giugno è previsto un provvedimento di legge delega in Consiglio dei ministri.
Secondo il presidente Giovanni Pagano, occorre intanto “definire l’ambito di applicazione” e cioè decidere se il concetto di “terzo settore” si identifichi tout court con il “non profit” o se lo stesso deve essere ancorato al concetto di welfare, nel senso di circoscriverne l’ambito ai settori dell’assistenza sociale, della protezione civile del volontariato, della sanità, dell’istruzione, lasciando i settori dello sport, dell’ambiente, della cooperazione internazionale, ad una disciplina distinta, anche solo di diritto comune.
Quanto alla riforma del codice civile, secondo l’Anmic esso “si presta poco all’introduzione di una disciplina complessiva che può trovare spazio solo in una normativa esterna cui le norme del codice fanno rinvio”: si propone che il concetto di “Ente privato di rilievo o interesse pubblico” debba essere unico e valere per tutti i soggetti che operano nell’ambito del terzo settore. La sua definizione potrebbe essere quella di “organizzazione privata, senza scopo di lucro, che esercita, in via stabile e principale, una attività istituzionale o economica di produzione e di scambio di beni e servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.
Tralasciando cooperative e imprese sociali, che “meritano una diversa ed autonoma trattazione”, per l’Anmic “all’unicità della categoria di soggetto privato di interesse generale deve corrispondere una pluralità di forme organizzative”. Quando si “esula da scopi meramente privatistici” – viene detto - la finalità non può non influire e connotare la struttura organizzativa: in questo senso, “la necessità di un atto pubblico costitutivo, dell’iscrizione in appositi registri pubblici, il principio di democraticità dell’elezione degli organi e della giustizi abilità delle regole interne, costituiscono i capisaldi non derogabili nella strutturazione degli organismi del terzo settore”. E merita attenzione anche “il problema della individuazione di una dimensione organizzativa minima per poter accedere al sistema”
Quanto alla sussidiarietà, il presidente Pagano fa notare che laddove si è provveduto ad “attrarre in ambito pubblico i soggetti del terzo settore” si è verificata una situazione che “ha finito con lo svilire l’apporto dei soggetti privati che sono stati inglobati in una macchina amministrativa lenta, burocratica, fatta di apparati e procedure che mal si adattano al loro “mobilità” e alla loro libera operatività nell’ambito della società civile”. La riforma allora dovrebbe essere “orientata in modo diverso, favorendo da una parte l’erogazione di servizi pubblici essenziali da parte della Pubblica amministrazione a vari livelli e dall’altra l’operatività in forma autonoma dei soggetti del terzo settore, garantendo innanzitutto l’autonomia di queste due realtà”.
Per l’Anmic serve una “cerniera” fra livello pubblico e terzo settore. La riforma dovrebbe dunque individuare i servizi essenziali che lo Stato, le Regioni e gli Enti e le Istituzioni locali a vari livelli, devono garantire; individuare poi quei servizi che possono essere gestiti dal terzo settore; istituire un’Agenzia speciale con compiti di programmazione, coordinamento e di vigilanza; creare in essa degli uffici operativi a diretto servizio dei soggetti del terzo settore per l’assistenza nella gestione dei servizi, nelle pratiche di finanziamento da parte dello Stato, delle Regioni e della Comunità europea.
Sul “voucher universale per i servizi”, Anmic parla di “istituto in astratto condivisibile, a condizione che costituisca strumento integrativo dei servizi e delle prestazioni economiche che lo Stato e gli Enti locali già garantiscono alle persone destinatarie del sistema Welfare”. Infine, l’ultimo appunto è riservata alle famiglie, che “costituiscono l’elemento fondante del terzo settore, perché rappresentano il luogo di elezione della solidarietà sociale e il mezzo per razionalizzare la spesa pubblica”: il loro ruolo andrebbe potenziato – dice il presidente Pagano – “attraverso il riconoscimento della loro fondamentale funzione sussidiaria, favorendo al suo interno la gestione di servizi per i soggetti svantaggiati, attraverso un sostegno anche economico i cui costi sono di gran lunga inferiori a quelli offerti in forma pubblica”. (ska)