10 giugno 2014 ore: 16:48
Non profit

Riforma terzo settore, confronto e scontro fra le anime del non profit

Per il Partito democratico giornata di ascolto sulle linee guida. Servizio civile fra internazionalità e cofinanziamento, spazio anche al tema del finanziamento del non profit: "Troppa economia, attenzione al volontariato o sarà un fallimento". Arriva anche la proposta degli "Stati generali del welfare"
Censimento non profit - due frecce fatte da gruppo di persone 2

ROMA – C’è chi prende il toro per le corna e va dritto al punto (“Occhio alla voucherizzazione, non ci piace”) e c’è invece chi la prende più alla larga e fra una citazione di Derrida e un appello a riflettere su “chi siamo e cosa facciamo” preferisce soffermarsi sui temi di principio. La giornata di ascolto organizzata dalla Direzione nazionale del Partito democratico sulle linee guida per la riforma del terzo settore restituisce un ampio campionario di sfaccettature, mostrando i diversi volti del mondo del non profit e mettendo qualche punto fermo nel cammino che porterà alla legge delega al governo per riformare la materia.

Lo staff che il Pd ha messo in campo sul tema, guidato dal responsabile nazionale welfare Davide Faraone, per cinque ore ascolta gli interventi che si susseguono nella sala conferenze della sede del Nazareno. Fra l’apertura mattutina del sottosegretario al Welfare Luigi Bobba e la sostanziale chiusura, nel primo pomeriggio, del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, è un continuo alternarsi al microfono. Cinque minuti a testa per decine e decine di interventi che spaziano dal servizio civile alle imprese sociali, passando per il volontariato, la cooperazione sociale e la finanza etica.

C’è costante il tema della trasparenza e della distinzione fra le varie realtà, il famoso “separare il grano dal loglio” citato nelle Linee guida presentate da Renzi: il volontariato non è l’impresa sociale che a sua volta non è la cooperazione. A farla da padrone però è soprattutto il servizio civile, sempre al centro della riflessione: si sottolinea il fatto che non deve essere un “lavoro sottopagato” e ci si divide sull’opportunità o meno del co-finanziamento, cioè se gli enti di servizio civile debbano o no partecipare con risorse proprie: qualcuno è favorevole o almeno disponibile (come Federsolidarietà), altri non ne vogliono neppure sentir parlare (il presidente del Forum nazionale servizio civile, Enrico Borelli, sottolinea che “già oggi lo finanziamo, perché le sedi, le utenze, i badge, le macchine che i giovani utilizzano e in generale tutte le cose concrete con le quali il servizio viene svolto le paghiamo noi enti”). Ci si accapiglia anche sulla formula di “difesa della Patria”: è un concetto superato o è ancora validamente in grado di delineare i contorni di un servizio civile universale? E’ un modo di “difendere la Patria”, oppure è un “servizio alla Patria” oppure ancora è proprio un’altra cosa e andrebbe evitato ogni riferimento alla Patria, rimarcando più l’aspetto della comunità, della relazione, della cittadinanza? Unanimità invece sull’aspetto transnazionale: l’esperienza del servizio civile deve essere internazionalizzata, con uno sguardo non solo all’Europa ma al mondo intero. Una tendenza che peraltro viene spesso indicata come un obiettivo dell’intero mondo del non profit e non solo della pur importante realtà del servizio civile.

Dalla Fish arriva la richiesta di valutare con attenzione il sistema dei voucher per i servizi alla persona, mentre quello delle modalità di finanziamento del non profit è altro tema cruciale: bene la possibilità di remunerazione del capitale ma – dice Andrea Baranes, Banca Etica e portavoce Sbilanciamoci! – “attenzione al rischio di finanziarizzazione del terzo settore, il valore economico non deve prevalere sul valore sociale”. E fa notare che potrebbe esserci margine per un grande aumento dell’accesso al credito se solo il mondo del non profit non venisse considerato – come oggi è - a massimo rischio di insolvenza: “E’ vero anzi esattamente il contrario”, sottolinea.

Le variegate anime del non profit portano sensibilità diverse e si nota: l’intervento di Walter Vescovini, di Operazione Mato Grosso, è solo quella che più di altre fa emergere questa differenza: “Ho sentito parlare fin troppo di economia, io voglio parlare di educazione e di volontariato: questo deve essere l’aspetto premiante di una riforma del terzo settore, non possiamo scordarci del volontariato e dell’associazionismo non economico che punta all’educazione e alla socialità. Se nella riforma questo aspetto non tiene banco, l’intera operazione fallisce”.

La riflessione collettiva mette in evidenza anche un altro aspetto: va bene la riforma del terzo settore ma di pari passo non è possibile evitare una parallela riforma del nostro sistema di welfare. Troppi punti in comune, troppa vicinanza di temi e un rischio concreto, quello che gli effetti della riforma in corso siano in qualche modo frenati dal “deserto” che c’è attorno. E a questo proposito dalla comunità di Capodarco – che per il resto propone un servizio civile aperto anche agli anziani, chiede per l’impresa sociale un percorso legislativo di riforma autonomo e staccato da tutto il resto e indica la necessità di non ragionare più per categorie ma in modo organico – arriva la proposta della convocazione degli Stati generali del welfare, perché “il welfare del dopoguerra è finito, non è più sostenibile” e occorre dunque pensare un sistema differente. (ska)

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