9 settembre 2015 ore: 15:17
Non profit

Riforma terzo settore, Lepri: "Non voglio sconvolgere il testo, però..."

Il relatore del ddl delega illustra i punti principali dei 24 emendamenti da lui presentati in Commissione: “Nessuna imposizione, ma si può migliorare”. Volontariato, impresa sociale, Registro nazionale del Terzo settore e l’obbligo di andare dal notaio
Senatore Pd Stefano Lepri

Stefano Lepri

ROMA – Ventiquattro emendamenti su un totale di seicento – settecento sembrano poca cosa, ma se a presentarli è il relatore di un provvedimento hanno sempre una marcia in più. Quanto meno possono essere indicativi della direzione che prenderà poi il dibattito parlamentare. Ed eccoli, allora, i 24 emendamenti presentati dal relatore del ddl delega di riforma del Terzo settore, il senatore Pd Stefano Lepri.

Centinaia di emendamenti presentati, il testo della Camera pare destinato a cambiare, e parecchio.
Partiamo da un lavoro molto buono fatto alla Camera, che io con le mie proposte ho provato a migliorare ulteriormente. Non partiamo da zero e non ci sono pretese di sconvolgere il testo: c’erano però alcune questioni che andavano precisate o approfondite. Non ho nessuna pretesa di imporre i miei emendamenti: ora inizia la dinamica parlamentare, vedremo se saranno condivisi o meno.

Si inizia dalla definizione di cosa sono e cosa fanno gli enti del terzo settore.
Ho riformulato, all’art.4, le quattro colonne che caratterizzano gli enti del terzo settore. In particolare, laddove il testo della Camera parla di attività di interesse generale e di servizi di utilità sociale, penso sia utile indicare un unico contenitore di attività degli enti del Terzo settore. E credo che si debba precisare la necessità che queste attività devono avere una pubblica utilità o un pubblico beneficio, che l’accesso al bene o servizio deve essere generale e senza discriminazioni, anche economiche. E’ un punto importante perché il rischio, con il testo approvato alla Camera, è che possano essere considerate di Terzo settore realtà che fanno pagare tariffe molto alte o che hanno una base sociale esclusiva, ad esempio perché le attività sono aperte solamente ai soci. Approvando l’emendamento, questo rischio non c’è.

Vuole rivedere anche la registrazione e arriva l’obbligo del notaio.
Con un emendamento prevedo l’obbligo di iscrizione, direttamente per il tramite del notaio per i soggetti con personalità giuridica, ad un registro delle imprese sociali e dei soggetti di Terzo settore con personalità giuridica, tenuto presso le Camere di commercio, oppure ad un registro dei soggetti di Terzo settore privi di personalità giuridica tenuto presso le regioni. I due registri diventerebbero le due sezioni del Registro nazionale del Terzo settore costituito presso il ministero del Lavoro e consultabile in forma telematica. Quello che prevedo è un meccanismo chiaro di semplificazione.

Il testo della Camera non era piaciuto alle organizzazioni di volontariato…
Ho provato ad evidenziare negli emendamenti la necessità di riconoscere il ruolo importante che rivestono le organizzazioni di volontariato, attenzione che non è così presente nel testo della Camera. In particolare propongo alcune precisazioni sulla tutela dello status di volontario e delle organizzazioni composte da soli volontari, prevedendo anche norme sui rimborsi spese dei volontari finalizzate a preservare il carattere di gratuità e di estraneità alla prestazione lavorativa. E misure specifiche per i Centri Servizi per il Volontariato.

Qualcuno aveva notato il rischio di lavoro trasformato in volontariato e l’assenza di tutele per i lavoratori.
Si, il tema della tutela dell’applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro negli affidamenti è un elemento importante e atteso. Ho presentato un emendamento che chiede di tutelare le condizioni di lavoro di chi opera nel Terzo settore prevedendo da un lato, nei contratti pubblici, l’adozione di condizioni economiche non peggiorative rispetto a quelle dei Contratti collettivi nazionali, e dall’altro identificando le prestazioni oggetto di lavoro retribuito rispetto a quelle svolgibili attraverso l’attività di volontariato.

La questione più spinosa dell’intera legge delega pare continuare ad essere quella dell’impresa sociale.
Gli emendamenti che ho presentato all’art. 6 nascono dalla volontà di chiarire il perimetro dell’impresa sociale, che per quanto posso pensare io - ma credo di essere in buona compagnia - sta tutta dentro il Terzo settore. Il testo della Camera lascia qualche dubbio al riguardo, così riprendo la visione dell’attuale legge sull’impresa sociale che la tratteggia totalmente dentro i confini del terzo settore. Con gli emendamenti al testo modifico la definizione dicendo che l’impresa sociale è un ente di terzo settore che svolge attività di impresa, e semplifico l’elenco dei campi di attività, che sono gli stessi degli enti di terzo settore. Il testo della Camera differenzia le attività (quelle degli enti di terzo settore, quelle delle imprese sociali), una differenziazione che non mi sembrava particolarmente convincente: per questo propongo un unico elenco di attività che vale per tutti gli enti di terzo settore, imprese sociali comprese.  

E riguardo al tema della distribuzione degli utili?
La mia proposta è di eliminare la facoltà – prevista dal testo della Camera - di applicare un regime differente a seconda della forma giuridica adottata dall'impresa. Vorrei dire cioè che per tutti – si tratti di cooperative, di S.p.a., di S.r.l. – il vincolo massimo per remunerare il capitale è quello attualmente previsto per la mutualità prevalente, con obbligo di devolvere almeno il 30% a riserva indivisibile e di non superare certe percentuali (che è sostanzialmente il 5%), cosicché qualsiasi soggetto che diventa impresa sociale non possa superare questa eventuale possibilità di remunerare il capitale.

E’ una risposta ai timori paventati di ingresso del profit nel non profit?
Io penso ad una impresa sociale che, diversamente dalla legge attuale, consenta una pur modesta remunerazione, ma mantenendo quello spirito non profit che il Terzo settore deve avere perche se no si diventa impresa ordinaria. Mi spiego meglio. Il concetto tradizionale di impresa sociale, quello italiano, quello che sto provando a riaffermare nel testo, è quello di un’organizzazione di terzo settore che svolge sì attività di impresa, ma con vincoli forti di non distribuzione di utili o di utili molti limitati come sono quelli previsti per le cooperative. L’inciso “differenziabili anche in base alla forma giuridica adottata dall'impresa”, presente nel testo della Camera, lascia aperta la porta al fatto che ci siano anche remunerazioni più alte di quelle previste per le cooperative. Quindi lasciava la porta aperta al low profit, o addirittura al for profit. Non c’è nulla di male, intendiamoci, rispetto al low profit o al  for profit, ma sono un’altra cosa. Per come la penso io non si possono avere – come mi sembra sia previsto dal testo della Camera - i vantaggi previsti dall’art. 9 e una larga possibilità di remunerare i capitali. Delle due l’una: o tu hai una facoltà di remunerare i capitali quasi come vuoi, e allora non hai gli incentivi dello Stato previsti all’articolo 9, oppure se tu ti dai dei limiti alla remunerazione dei fattori produttivi allora puoi anche avere il cinque per mille, le deducibilità fiscali e via dicendo. Noi dobbiamo essere orientati a favorire la capacità donativa dei cittadini (in denaro, in beni e in tempo) e questo lo si fa dando reputazione e dando garanzie di disinteresse o comunque di orientamento pubblico all’azione degli enti di terzo settore. Se questa garanzia non c’è più, quella non è altro che un’impresa che opera nel campo dei settori di utilità sociale. Cosa anche questa più che legittima, ma non è terzo settore: sono imprese private che operano nel sociale. E queste ci sono già, non c’è bisogno di regolamentarle, fa parte della liberta economica.

Un’ultima cosa: ha intenzione di mandare in soffitta le onlus?Oggi abbiamo moltissimi regimi fiscali: ci sono quelli delle singole leggi speciali, sul volontariato, sulle cooperative, sull’impresa sociale, e poi ci sono le leggi settoriali fiscali, quella sulle onlus, oltre alle diverse normative sugli enti non commerciali. E’ una giungla inestricabile: io ho provato a semplificare, con una drastica riformulazione dell’art. 9 che prevede anche l’eliminazione del concetto di “ente non commerciale” e di “onlus – organizzazione non lucrativa di utilità sociale”. L’obiettivo è quello di rendere coincidenti le definizioni civilistiche e quelle ai fini fiscali.

 

 

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