Riforma terzo settore, tutti i dubbi dei Cinque Stelle sulla legge delega
Matteo Dall’Osso
ROMA – Dubbi di costituzionalità, contrarietà allo strumento della legge delega ma anche e soprattutto la considerazione che le attività del terzo settore “costituiscono in molti casi un'opportunità per alcuni soggetti di conseguire notevoli guadagni utilizzando una forza lavoro sottopagata con forme contrattuali atipiche”. In Commissione Affari sociali, alla Camera dei deputati, prosegue il dibattito generale sulla legge delega di riforma del terzo settore, e dopo i primi interventi (quelli della relatrice Lenzi, del sottosegretario Bobba e di alcuni parlamentari da tempo coinvolti nell’iter della legge) arrivano le prime prese di posizione di quanti finora non avevano partecipato al dibattito. E’ il caso, in particolare, dei deputati del Movimento Cinque Stelle, che in blocco esprimono giudizi sostanzialmente negativi sull’impianto della legge, segnalando numerosi punti critici con un linguaggio a tratti particolarmente forte.
Movimento Cinque Stelle
Sono quattro (su 15 complessivi) gli interventi arrivati finora da parlamentari Cinque Stelle: Silvia Giordano, Matteo Dall’Osso, Massimo Enrico Baroni e Matteo Mantero. Nelle loro parole c’è una generale critica all'utilizzo dello strumento della delega legislativa “che comprime il ruolo del Parlamento”, c’è la richiesta di “un ciclo di audizioni non limitato alle grandi organizzazioni del settore” e la denuncia della “vaghezza dei criteri della delega”, che porta a non ritenere “opportuno un esame troppo rapido del testo trasmesso dal governo”. Ma si scende anche nel dettaglio: Dall’Osso ad esempio richiama l’attenzione su un possibile affiancamento del servizio civile (operato all’estero) all’attività di cooperazione svolta dal ministero degli Esteri, eventualità che – dice – “non offrirebbe un'immagine professionale del Paese, risultando così coinvolti nell'attività di cooperazione soggetti privi dell'adeguata competenza”, mentre Baroni coglie l’occasione per allargare il discorso alle “difficili condizioni di lavoro nelle residenze sanitarie assistenziali”, della “scarsa trasparenza nei capitolati per servizi che favorisce operatori legati a determinate forze politiche” e delle “irregolarità nella gestione del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati”. E rincara la dose ricordando che “molti operatori realizzano notevoli profitti tramite attività facenti formalmente parte del terzo settore, permettendo a soggetti istituzionali di sottrarsi alle proprie responsabilità nell'erogazione di servizi e di aggirare i controlli della Corte dei conti”. Di “alcune realtà associative” che operano “come una sorta di filtro che ostacola i cittadini nel soddisfacimento dei loro diritti” parla invece Giordano, esprimendo preoccupazione per le disposizioni che riconoscono e favoriscono l’iniziativa economica privata svolta senza finalità lucrative, mentre Mantero preferisce indicare il tema della non chiarezza – nel testo del governo - delle modalità di partecipazione degli enti di terzo settore alla programmazione del sistema di servizi socio-assistenziali ed esprime perplessità sull'assenza di limiti precisi alla distribuzione degli utili prevista per le imprese sociali. Ancora, solleva il “concreto rischio del determinarsi di conflitti di interesse” in applicazione del criterio relativo alla possibilità per le imprese private e per le amministrazioni pubbliche di assumere cariche sociali negli organi di amministrazione delle imprese sociali (la norma del governo prevede comunqueil divieto di assumerne la direzione e il controllo).
Scelta civica e Per l'Italia
Numerose perplessità vengono segnalate anche da Giovanni Monchiero (Scelta civica), che chiede maggiore precisione per definire le caratteristiche che contraddistinguono il soggetto che opera nel terzo settore: secondo il deputato un'altra previsione che suscita serie criticità è quella che prevede per le imprese sociali la possibilità della raccolta di capitale di rischio, “cosa che non si addice ad un'impresa in cui è prevalente il valore sociale rispetto a quello di lucro”. E più in generale, invita a non sottovalutare la circostanza che norme così poco definite e criteri direttivi non puntuali possano dare adito a truffe ed inconvenienti, “peraltro non infrequenti già nella realtà attuale del terzo settore”. Tutti gli altri interventi, a parte quello di Paola Binetti (Per l’Italia) – la quale invita a “superare la cultura del sospetto prevalente in molte strutture burocratiche, al fine di assicurare una maggiore flessibilità e consentire ai soggetti operanti nel Terzo settore l'adozione di procedure innovative” – sono arrivati finora tutti da esponenti del Partito democratico.
Pd
Dopo Lenzi, Patriarca, Beni e Sbrollini (che hanno parlato nelle prime due sedute) è stata la volta di Elena Carnevali, Federico Gelli, Salvatore Capone, Lorenzo Becattini e Filippo Fossati. Se Carnevali ritiene il testo “suscettibile di alcune precisazioni e correzioni” in particolare per ciò che riguarda la ripartizione degli utili per le imprese sociali, Becattini giudica eccessivo il numero di criteri direttivi previsti, auspicando una “disciplina più snella”: al tempo stesso rileva l'assenza di un criterio volto a disciplinare l'ampliamento dei settori in cui si sviluppa l'attività del terzo settore e mette in guardia sulla necessità di rispettare la normativa europea sulla materia e di evitare forme non corrette di concorrenza tra imprese sociali ed operatori economici estranei al Terzo settore. Nello specifico del provvedimento, Fossati richiama l'opportunità di un nesso tra la dimensione dei singoli soggetti e il loro status, parla della necessità di processi partecipativi chiari e sottolinea la delicatezza della disposizione che prevede la distribuzione degli utili per le imprese sociali: su questo manifesta perplessità e chiede chiarimenti su quale tipo di relazione concorrenziale si andrebbe a stabilire tra le imprese sociali ed altri soggetti, appartenenti o meno al terzo settore. Sottolinea l'opportunità di tenere conto della normativa europea e chiede fra i criteri della delega uno spazio maggiore per la sussidiarietà. Da ultimo, Gelli sceglie di concentrarsi solo sulla revisione e promozione del sistema dei Centri di servizio per il volontariato: ricorda il calo delle risorse che hanno subito negli anni (i Csv sono finanziati con una quota parte dei proventi delle fondazioni di origine bancarie), auspica un reintegro della somma oggi disponibile (è di 31 milioni di euro) ma soprattutto giudica “indispensabile un uso più efficiente delle risorse ad essi assegnate, a cominciare dalle spese eccessive connesse all'azione di monitoraggio effettuata dai Comitati di gestione (CoGe)”, dei quali considera in ogni caso necessario il mantenimento. Secondo Gelli sarebbe opportuno che il coordinamento esercitato dai suddetti Comitati venga svolto su scala regionale, senza imposizioni dall'alto, e “anche in ragione delle risorse stanziate, che sono da considerarsi patrimonio comune” si dice convinto del fatto che i Csv possano “aprirsi all'intero terzo settore e non limitarsi ad un'azione di supporto del solo volontariato”. (ska)