Rifugiati, a Catania un centro per le cure dopo le dimissioni dall'ospedale
PALERMO - Il nuovo centro di Medici Senza Frontiere di Catania intende offrire cure specializzate a rifugiati e richiedenti asilo che, dopo essere sbarcati nelle nostre coste, vengono dimessi da strutture ospedaliere in Sicilia ma non riescono ad accedere ad una adeguata assistenza medica nella fase post-acuta o di convalescenza. Il centro può accogliere 24 persone e l’assistenza viene offerta da un team Msf composto da medici, infermieri, specialisti, operatori socio-sanitari, assistenti legali, psicologi e mediatori culturali che garantiranno un approccio multidisciplinare che dal recupero psico-fisico accompagnerà i pazienti nel loro reinserimento nel sistema di accoglienza. In particolare, garantirà assistenza e cure come la fisioterapia in seguito a fratture, la riabilitazione post-operatoria, il trattamento di ustioni chimiche da benzina subite durante le traversate sui barconi, patologie che non sono più in fase acuta ma devono essere monitorate, come ad esempio una polmonite.
Inoltre, il progetto presterà particolare attenzione alla salute delle donne, oltre a casi particolarmente vulnerabili come vittime di violenza sessuale, tortura e trattamenti inumani e degradanti. Msf ha osservato che attualmente l’accesso e la continuità delle cure possono essere complicati da barriere linguistiche, diversità culturale nel modo di concepire la malattia, la salute e la terapia, e dalla difficoltà dei rifugiati stessi nella comprensione del sistema sanitario e dei diritti di cui possono avvalersi.
"E' un centro unico in Italia - sottolinea Guido Maringhini coordinatore medico del progetto - e quindi il primo con questa specificità per i migranti che intende rispondere ad un bisogno reale che ha il territorio. Quello che naturalmente ci permette di potere seguire in maniera completa queste persone è il team multidisciplinare. In questo modo riusciamo a rispondere al diverso tipo di problema che ci si presenta". "Noi ci inseriamo esattamente - continua Guido Maringhini - tra il sistema sanitario dei presidi ospedalieri e i centri di accoglienza. Li seguiamo per un massimo di 30 giorni durante i quali favoriamo il loro recupero psicofisico, prestando attenzione al tipo di problematica, accompagnandoli nel loro percorso di inserimento sociale nelle realtà più appropriate. Certamente non dobbiamo sostituirci al sistema delle istituzioni ma contribuiamo attraverso questo modello ad evitare che vi possano essere per esempio meno riacutizzazioni di tipo sanitario della persona che richiederebbero un ulteriore ricovero in una struttura pubblica con tutti i costi che questo comporterebbe".
“Il sistema sanitario italiano non è strutturato per rispondere ai bisogni dei rifugiati all’indomani della dimissione dagli ospedali - dice Elisa Galli, coordinatrice del progetto -. Dopo aver ricevuto cure ospedaliere, la maggior parte di loro non riesce ad accedere all’assistenza di cui avrebbe bisogno in fase di convalescenza. Purtroppo poi non sempre l’inserimento nelle strutture di accoglienza è automatico, è quindi importante supportare il paziente affinché questo avvenga nel modo più efficace e umano possibile”. (set)