Rifugiati, dopo l’accoglienza dove vanno? "Servono più posti Sprar"
BOLOGNA - “È venuto il momento di chiedersi che cosa succede alle persone una volta uscite dai Cas, i centri d’accoglienza straordinaria. Dobbiamo tentare di dare una risposta più ampia”. Andrea Facchini del Servizio politiche per l’accoglienza della Regione Emilia-Romagna avanza una proposta pratica: diminuire i Cas (“per definizione, una risposta ‘straordinaria’”) e aumentare i posti nei percorsi Sprar, quelli che prevedono la cosiddetta accoglienza integrata di richiedenti asilo e rifugiati, che va oltre il vitto e l’alloggio e prevede misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. A livello nazionale, oggi i Cara – i centri d’accoglienza per richiedenti asilo – possono accogliere 10 mila persone; 35 mila i Cas. 21mila i posti Sprar. Due anni fa, ai tempi dell’emergenza Nord Africa, i posti Cara erano 10 mila e gli Sprar 5 mila: “La direzione è quella giusta, ora dobbiamo fare meglio. È aperto un tavolo di confronto a livello nazionale: il tentativo condiviso è quello di definire strategie per un sistema di accoglienza unico, che risolva quello così frastagliato di oggi”.
L’Emilia-Romagna in seguito a Mare Nostrum ha accolto (dato aggiornato al 21 novembre 2014) nelle strutture temporanee 2.458 stranieri (quelli arrivati sono di più, tra i 3.500 e i 4 mila: un migliaio ha rifiutato i centri e ha scelto d’allontanarsi), circa il 6,5 per cento del totale delle persone accolte in Italia nel corso dell’anno (55 mila). Ogni regione, infatti, ha una quota di profughi a cui dare accoglienza, come deciso del ministero dell’Interno (in Emilia-Romagna la zona del cratere del sisma del 2012 è stata esentata da questo impegno). Ma tutte le persone non inserite nei percorsi Sprar (in regione sono circa 690) che fanno una volta usciti dai centri d’accoglienza primaria? “La risposta di oggi è diversa da quella che potremmo dare tra 4 mesi o tra un anno: le potenzialità sono in evoluzione. Gli enti locali hanno chiesto allo Stato linee guida su come comportarsi nel momento più delicato che i profughi affrontano dal loro arrivo in Italia: l’uscita dalla struttura. Tutti insieme stiamo lavorando per mettere in campo una serie di strumenti di accompagnamento, che vadano oltre il vitto e l’alloggio”.
Facchini sottolinea come, in questo articolato percorso, la priorità vada data ai soggetti più vulnerabili, che meritano una protezione e un accompagnamento ancora più cogente: “Parlo di vittime di tratta, di chi ha subìto tortura, di genitori con figli piccoli. Ma tutte le persone che arrivano in Italia devono conoscere bene quali sono i 3 elementi tecnici a partire dai quali sia pensabile un percorso”. Permesso di soggiorno, e magari anche il titolo di viaggio; residenza anagrafica una volta usciti dalla struttura; iscrizione al sistema sanitario: sono queste le 3 parole chiave che possono facilitare la presa in carico degli stranieri una volta usciti dalle strutture. Ma non sempre i diretti interessati ne sono al corrente: “Tutti abbiamo la responsabilità di informare e applicare questa norma vigente. Tutti dobbiamo far conoscere a queste persone i loro diritti e doveri”. (Ambra Notari)