Rifugiati in Ue: come usare bene un regolamento “ideologico e inefficace”
Foto di: Giulio Piscitelli/Contrasto
ROMA - "Ideologico, inefficace e nato da presupposti errati". È questo per Gianfranco Schiavone, dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi), il regolamento – detto “di Dublino” – che in Europa regola il diritto d'asilo. Un testo nato negli anni 90, come convenzione, ed oggi giunto alla sua terza versione. Per Schiavone il testo non solo non è in grado di arrestare le migrazioni secondarie, ma rappresenta anche una deroga alla tutela dei diritti umani. Tuttavia, anche in questo caso, se solo i paesi europei volessero, si potrebbe trovare una strada comune per allargare le maglie del regolamento e adattarlo ad un contesto diverso da quello in cui è nato.
Dublino III, le origini
Percapire il testo, secondo Schiavone, bisogna partire dall'inizio. Dalla convenzione di Dublino del 1990, anni in cui il fenomeno delle migrazioni era molto diverso. Tuttavia, spiega Schiavone, "l'impianto complessivo è rimasto inalterato nel tempo, attraverso il regolamento e l’attuale regolamento 3 entrato in vigore dal gennaio 2014". La finalità dell’allora convenzione, spiega Schiavone, era quella di riequilibrare il numero delle domande d’asilo all’interno dell’Unione europea a partire da una realtà nella quale i paesi dell’area Sud dell’Europa e sui confini esterni avevano un numero di domande assoluto che potevano "tranquillamente definire risibile". Inoltre, "la sproporzione interna era vistosissima".
Tra gli obiettivi del regolamento, "quello di costringere i paesi che hanno confini esterni di prendere rifugiati, attraverso l’imposizione del principale e più problematico meccanismo che la convenzione prevedeva, oggi inalterato, cioè il principio della competenza del primo paese in cui il richiedente asilo arriva in maniera irregolare, se questo ingresso può essere provato".
Un regolamento ideologico
Il regolamento "prefigura uno spazio europeo in cui il diritto d’asilo è fortemente omogeneo - aggiunge Schiavone -. Nel 1990 non lo era nel modo più assoluto, per questo non è esagerato dire che il regolamento di Dublino nasce su un presupposto squisitamente ideologico. Non esisteva neppure allora un processo di vera armonizzazione del diritto d’asilo, per cui le condizioni di accoglienza e d’esame della domanda erano totalmente diverse da un paese e l’altro. Oggi ci viene da chiederci come fu possibile che di fronte ad una tale disomogeneità si riuscisse ad arrivare ad un regolamento il cui presupposto fattuale era completamente errato". Differenze che, tra l'altro, permangono ancora oggi.
Il regolamento, inoltre, nega ogni possibilità di scelta individuale, salvo situazioni molto particolari legati alla minore età o a legami familiari in senso stretto. Altra questione che negli anni ha attirato diverse critiche. "Mi sembra di poter dire che il regolamento è veramente poco aderente alla tradizione umanitaria europea. La volontà di percorsi individuali delle persone, i loro legami, anche culturali, le prospettive, sono completamente annullate. Bisogna chiedersi se questo regolamento non sia una eccezione, una deroga inquietante a quello che è l’impianto complessivo della tutela dei diritti umani".
Dati sull’efficacia omessi
Secondo Schiavone, i dati sull’efficacia del regolamento di Dublino "sono abilmente omessi, non solo dall’Italia ma da tutti gli stati. Una vera analisi di questi dati farebbe cadere dalla sedia chiunque". Il regolamento, infatti, dovrebbe in qualche modo impedire le migrazioni secondarie all’interno dell’Europa, ma per Schiavone "dal punto di vista dell’efficacia il quadro è disastroso".
Alla fine, spiega, il regolamento di Dublino finisce per riguardare un numero molto modesto di persone: "la maggior parte comunque si sposta da un paese all’altro - racconta Schiavone -, non viene realmente rinviata nei paesi di competenza e anche per coloro in cui avviene il rinvio le procedure richiedono tempo. Vengono persi molti mesi per la procedura, l’accoglienza, le spese dell’accoglienza, i rimpatri e i suoi costi. Un’immensa macchina che si muove per partorire un topolino". Per Schiavone, quindi, non ci sono dubbi: "Se guardiamo al regolamento sotto il profilo dei diritti o anche dell’efficacia giungiamo in ogni caso alla medesima conclusione: il regolamento è stato un clamoroso errore".
Qualcosa si può fare
Per Schiavone, però, anche in questo caso qualcosa si potrebbe fare, se solo ci fosse una volontà politica comune all’interno dell’Europa. Tolti i minori (per cui "il regolamento di Dublino in pratica non esiste", chiarisce Schiavone) e a parte la possibilità per il ricongiungimento familiare in senso stretto, coniuge e figlio minore, negli altri casi il regolamento demanda ad una assoluta discrezionalità degli stati. "In particolar modo per quel che riguarda gli altri familiari - aggiunge -, ma non prevede nessun obbligo e oggi non c’è neanche un accordo fra stati per una interpretazione univoca su alcuni articoli del regolamento concordando di allargare i criteri per la riunificazione familiare".
Ed è proprio qui che potrebbe esserci una importante evoluzione del regolamento, "senza toccarlo". La soluzione potrebbe essere quella di andare a "definire modalità comuni, con la volontà politica di accogliere delle domande, per esempio di persone malate, che non devono essere trasferite da un paese all’altro, o di coloro che hanno dei parenti che potrebbero provvedere a loro. Ci sarebbe anche uno sgravio sul sistema di accoglienza". (ga)