7 settembre 2015 ore: 13:08
Immigrazione

Rifugiati, parrocchie pronte ad accogliere. Con qualche difficoltà

L’appello del papa non cade nel vuoto, da Nord a Sud si muovono le comunità religiose: cresce la disponibilità di strutture e famiglie. Ma accogliere non è sempre facile. Salesiani: “Noi pronti, ma la burocrazia ci blocca”
Foto: www.casadellacarita.org Migranti: accoglienza nelle parrocchie

ROMA – Non è caduto nel vuoto l’appello di Papa Francesco ad aprire le parrocchie all'accoglienza profughi. Da Nord a Sud pronta la risposta delle diocesi che in molti casi già avevano avviato una rete di accoglienza e messo a disposizione le proprie strutture. Ma non mancano i nodi critici.

“Già oggi faremo una prima riunione per capire come rispondere alla chiamata di Papa Francesco. Una famiglia potremmo ospitarla anche qui nella struttura di via Marsala”. Le parole pronunciate ieri all’Angelus da papa Bergoglio rimbombano in queste ore in tutti gli istituti religiosi d’Italia. A Roma, di fronte alla stazione Termini, c’è l’Istituto salesiano del Sacro Cuore, che ha al suo interno anche una casa vacanze. Qui don Giovanni D’Andrea, presidente della Federazione Scs (Salesiani per il sociale) si sta attivando. “Abbiamo inviato una lettera agli ispettori , cioè i responsabili delle case salesiane – spiega – per capire che disponibilità ci sono. Ma stiamo anche cercando di farci un’idea sulle procedure da seguire e le modalità di questa accoglienza. Abbiamo anche persone comuni che ci chiamano, una signora di Modena ieri sera ha telefonato per mettere a disposizione casa sua. Dobbiamo capire nel concreto come possiamo fare, la burocrazia non è semplice”.

- Accogliere una famiglia di profughi appena arrivata in Italia, infatti, è più facile a dirsi che a farsi. “Bisogna capire come arrivano, quanto tempo serve per l’accoglienza, ma anche che tipo di status queste persone hanno – aggiunge don Giovanni -. Abbiamo 160 parrocchie e due grossi rami della famiglia salesiana: gli ex allievi, circa 15mila persone e i cooperatori, altri 18mila, se ne prendessero almeno mille per raggruppamento avremmo sistemato duemila famiglie. Si tratta di una sfida: finora abbiamo ospitato soprattutto singoli, ora il papa chiede di aprirci ai nuclei familiari, questo può essere anche più complicato, ma cade a poco tempo di distanza dal sinodo sulla famiglia, e non possiamo non raccogliere l’invito”.

La comunità dei salesiani si occupa in prevalenza di minori non accompagnati con un progetto a Udine e uno a Camporeale a Palermo. Altri minori stranieri sono accolti, poi, nelle case famiglia di tutta Italia. “Il problema però è che spesso è che le procedure sono molto lunghe – aggiunge – è vero che noi dobbiamo avere più intraprendenza nella nostra azione, ma anche lo Stato deve essere più flessibile”. L’esempio lampante è un ostello per i giovani, 'La playa don Bosco', messo a disposizione dai salesiani a Messina per i profughi. “Quella struttura è omologata per 99 posti ma non possiamo attivarlo per l’accoglienza perché mancano le autorizzazioni statali – spiega – E’ da luglio 2013 che è tutto bloccato. Da quando è scoppiata l’inchiesta Mafia Capitale ci sono più controlli, ma il rovescio della medaglia è poi che strutture come questa restano vuote”. Per il responsabile di Scs comunque l’appello di Francesco non può restare inascoltato: “L’auspicio è che i parroci rispondano alla chiamata, non lasciandosi intimorire dalle lungaggini burocratiche e dalla paura di chi fanno entrare – aggiunge -. Noi ci attiveremo subito per fare il possibile”.

Sulla stessa scia anche padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. Proprio visitando la struttura di via degli Astalli a Roma il pontefice nel settembre dello scorso anno aveva lanciato il primo appello ad aprire le porte dei monasteri e di tutti gli istituti religiosi. E da allora è partito un primo progetto di accoglienza in istituto gestito dal centro. “Attualmente ci sono dieci strutture religiose che collaborano con noi, in totale sono circa 40 i rifugiati accolti – spiega – Si tratta di una seconda accoglienza, cioè di persone che hanno già fatto il loro percorso all’interno della rete Sprar e ottenuto la protezione. Questo non solo perché è più semplice dal punto di vista burocratico, ma anche  perché in questo modo possiamo attivare quell’integrazione che spesso è la parte mancante dell’accoglienza. Non a caso, dopo due anni di questa gestione in semi autonomia stiamo vedendo i primi risultati: le persone escono dal progetto e sono autonome. Per esempio tre ragazzi hanno trovato un lavoro, uno fa il fornaio, un altro il magazziniere, e c’è una ragazza che è diventata infermiera – conclude – Noi andremo avanti con questo percorso: essere generosi nell’anno del Giubileo della misericordia è l’atteggiamento migliore per preparare le comunità cristiane a questo evento”. 

In molte regioni d'Italia le Diocesi e la Caritas sono al lavoro per creare una rete di interventi. L’Opera don Orione ha già avviato l’accoglienze   a Udine, Genova, Reggio Calabria, Tortona e Floridia. A Torino crescono parrocchie e famiglie disponibili ad accogliere i rifugiati: una sessantina al momento le adesioni arrivate da strutture legate alla Diocesi. A Padova si punta sulla micro accoglienza diffusa: accolti gruppi al massimo di cinque o sei persone. In Lombardia, dopo i 130 nuovi posti inaugurati il 2 settembre, Caritas ambrosiana ha cominciato i controlli di altre dieci parrocchie che hanno dato la loro disponibilità. A Bologna anche le famiglie si sono fatte avanti. Tra le prime a mettere concretamente in pratica l'appello del Papa c'è sicuramente Palermo, (ec/cch)

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