Ripartenza e disabilità, i caregiver: “Tutti nella stessa tempesta, ma non nella stessa barca”
Elena Improta con il figlio Mario
ROMA – La preoccupazione è tanta,
l'insoddisfazione costante, ma le idee sono chiare e i diritti
sicuri: così i caregiver tornano a chiedere attenzione, garanzie e
tutela nella prossima “fase 2” dell'emergenza, dopo che la fase 1
ha dimenticato le persone con disabilità e abbandonato le loro
famiglie. “Pur essendo nella stessa tempesta, non siamo tutti sulla
stessa barca”, ci ricorda Elena Improta, mamma e caregiver di una
ragazzo con grave disabilità e presidente dell'associazione Oltre lo
sguardo onlus.
Il premier Conte non ha nominato la disabilità (e neanche le famiglie) nell'ultima conferenza stampa, mentre il Dpcm dedica a questa un articolo (il numero 8) e una manciata di righe, in cui dà il via libera alla riattivazione di servizi e strutture, affidando alle regioni il compito – complicatissimo, in questo momento – di definire modalità e accortezze. A questo proposito, la grande difficoltà sta nel “comprendere come far convivere la prevenzione individuale e il distanziamento sociale con il concetto di assistenza alla persona: lavarla, portarla in bagno, imboccarla, rassicurarla, sollevarla, soccorrerla in caso di crisi – osserva Improta - I nuclei familiari con persone con disabilità, i gruppi appartamento, le case famiglia, gli istituti residenziali in questa seconda fase saranno ancora più a rischio contagio”.
La soluzione è difficile da trovare, ma almeno alcune indicazioni, fondamentali per garantire sicurezza alle persone con disabilità, dovrebbero essere chiare e inequivocabili: tra queste, l'obbligo per l'operatore di lavorare in una sola struttura. Una misura “prevista nell'ultima ordinanza della regione Lazio – ricorda Improta – in base alla quale gli operatori socio sanitari, socio assistenziali, educatori , psicologi non non potrebbero lavorare , ad esempio, la mattina in una casa famiglia e il pomeriggio in assistenza domiciliare diretta o indiretta”. Ma la criticità è alta: “Da un lato operatori già sotto pagati che dovranno rinunciare a ore di lavoro per raggiungere uno stipendio mensile decente, dall’altro famiglie da sempre segregate in casa, nuovamente private dell’assistenza domiciliare”, riflette Improta. A questa complessa situazione, “il nuovo Dpcm riserva sei righe e demanda tutto alle Regioni per una nuova ordinanza. Cosa si inventeranno? - si domanda Improta - E se le grandi federazioni (Fish e Fand) e le parti sociali che siedono al tavolo del governo proporranno la ripresa graduale delle attività nei centri semiresidenziali pubblici o privati, delle attività laboratoriali diurne e pomeridiane pubbliche e/o private, chi assisterà in questa riapertura le persone con disabilità? A me sembra che la tempesta stia facendo naufragare la nostra barca”, conclude Elena Improta. E per dare un “assaggio” di cosa significhi essere soli nella gestione di un figlio con grave disabilità in un contesto come quello che stiamo attraversando, ci racconta: “Per Mario ieri è stata una delle tante giornate no. Si è calmato e addormentato solo stando in macchina, percorrendo sempre rettilinei: Tangenziale, Raccordo Anulare, Cristoforo Colombo. Da Roma a Ostia, andata e ritorno, siamo stati fermati sei volte per i controlli: quattro volte dalla Guardia di Finanza, una dalla Polizia Locale e una dalla Polizia di Stato. Ecco, noi stiamo vivendo così”.