Ritorno a scuola, la lettera del prof alla ministra. “Ecco la terza via per non fallire”
ROMA – La scuola deve riaprire, ma non si può correre il rischio che presto richiuda: mentre il problema, tutt'altro che semplice, impegna ministeri, uffici scolastici, dirigenti, le idee e le proposte si moltiplicano e si diversificano. Alla ministra Azzolina, è indirizzata la lettera di Fabio Bocci, docente di Didattica e Pedagogia speciale all’Università Roma Tre, che da studioso, ma anche da padre, suggerisce alcune strategie da mettere in campo per un'apertura che segni anche un nuovo, epocale inizio.
“Quello di riaprire fisicamente le scuole il 14 settembre è stato definito ed è un atto imprescindibile, fondamentale, su cui – come ha detto il ministro Speranza – non ci è consentito fallire – scrive Bocci - Il rischio è quello che il ritorno dentro le mura scolastiche di circa 8 milioni di studenti possa innescare un aumento di contagi. Cosa da scongiurare assolutamente, non fosse altro che (a differenza delle discoteche e dei luoghi di divertimento o di vacanza, dove ci si reca volontariamente) la scuola non può eticamente rappresentare un luogo a/di rischio”.
Le due strategie pensate per “inseguire il virus”
Per contenere il rischio, “le strategie pensate sono essenzialmente due – ricorda Bocci - La prima riguarda il distanziamento fisico in classe e le misure di protezione, con tutta una serie di misure collaterali di carattere organizzativo”. La seconda consiste nelle “procedure di contenimento nel caso di positività da parte di studenti o insegnanti (es: quarantena immediata di tutti i compagni e coloro che sono stati a contatto nelle ultime 48 ore ecc.). Mi sembra – commenta Bocci - che l’adozione di queste strategie ci metta nella condizione di inseguire il virus e non di anticiparlo, ossia ci porti a giocare sul terreno del virus, un terreno sul quale rischiamo di perdere.
Se il virus Sars-Cov-2, come tutti i virus, ha una sua forma di intelligenza nel suo cercare di adattarsi e di sopravvivere nel sistema biologico cui chiede (pretende) di essere ospitato, noi abbiamo un’arma in più (che lui non ha), mediante la quale aumentiamo le possibilità di batterlo: l’immaginazione”.
E' necessaria dunque “una terza via, che garantisca al tempo stesso la riattivazione della scuola oltre il confinamento domestico e un aumento del potenziale di sicurezza che non può essere affidato all’opzione di chiudere immediatamente, anche parzialmente, dopo che qualcuno si è già contagiato. Per fare questo, occorre dunque dare spazio all’immaginazione e cambiare paradigma”
Dalla teoria alla pratica: tra “cordate”, stimoli e spazi diversi
La “terza via” deve trovare spunto nella “tradizione pedagogica importante” che il nostro Paese vanta, “frutto di elaborazioni e rielaborazioni delle teorie, dei modelli, delle metodiche che si sono sviluppate nel corso dei secoli (quantomeno negli ultimi duecento anni)”.
Ed ecco come potrebbe essere la “nuova scuola” suggerita da Bocci. “Gli insegnanti formano piccoli gruppi (che Dario Ianes chiama cordate) di 5/6 alunni. L’insegnante, a distanza, fornisce uno stimolo-compito agli allievi, i quali concordano con lui un'agenda di lavoro e una previsione del percorso che intendono intraprendere (con tempi distesi, perché l’apprendimento non è un prodotto precotto che si consuma dopo una scaldatina nel microonde). Ciascun gruppo lavora in modo esperienziale, all’aperto, sul territorio, in spazi messi a disposizione dai municipi, incontrandosi, facendo ricerca, sperimentando, applicando, discutendo, organizzando i materiali (ovviamente sempre nel rispetto dei protocolli di sicurezza). In questa fase, soprattutto (ma non solo), per i più piccoli va previsto il supporto di una figura adulta, che può essere quella degli insegnanti aggiuntivi che si stanno reclutando, così come dei laureati e degli studenti nelle Graduatorie Provinciali (che lei ha fortemente voluto, resistendo a molte critiche, anche del sottoscritto) o degli stessi studenti tirocinanti che nell’ambito dei loro progetti di tirocinio, naturalmente supervisionati dai tutor scolastici e universitari, possono accompagnare e interloquire con gli alunni dei vari gruppi. Penso anche al prezioso supporto delle associazioni degli insegnanti”.
Nessun ostacolo per l'inclusione, in questo modello: “Lo stesso vale per i gruppi dove è presente un alunno o studente con disabilità – spiega infatti Bocci - con la presenza dell’insegnante specializzato o in specializzazione (potremmo avvalerci del loro periodo di tirocinio) e nel caso dalle altre figure di assistenza e supporto previste. I gruppi una volta completata l’attività, a turno, secondo quanto stabilito dal piano condiviso con l’insegnante o il gruppo di insegnanti, vanno a scuola e discutono con i loro mentori contenuti e procedure. Quindi, ancora con la modalità a distanza – continua Bocci - l’intero gruppo classe presenta e discute i diversi lavori svolti e si riparte (con una turnazione dei componenti dei gruppi, secondo le tante suggestioni che derivano, ad esempio ma non solo, dai modelli dell’apprendimento cooperativo)”
Il falso problema delle risorse
E le risorse? Per Bocci, “un falso problema: se stiamo reclutando un numero maggiore di docenti per ridurre i gruppi nelle aule vecchie e nuove, invece che mandarli nei prefabbricati o (come si è letto addirittura in strutture come i B&B) possiamo utilizzarli per accompagnare e supportare bambini e ragazzi in questo nuovo modo di immaginare il tempo e lo spazio scolastico. Anche il poco tempo è un falso problema – continua - Questa non è una gara a chi arriva primo. Possiamo tenere il 14 settembre come data simbolica e aprire a partire da questa un periodo di transizione, progettazione, organizzazione, discussione e quant’altro (ad esempio le questioni sindacali, assicurative ecc…) che consenta a ciascuna scuola (con tutta la comunità di riferimento) di dare vita a questa nuova modalità di immaginare e fare scuola.
In conclusione, “si tratta di cogliere una grande opportunità”, trovando “tutti insieme il coraggio, come diceva Ivan Illich, di cercare (in una situazione di crisi) una via d’uscita diversa da quella in cui tutti si gettano a capofitto solo per il fatto che c’è scritto 'uscita'. Dobbiamo darci il tempo necessario per vedere quali altre possibilità abbiamo. Il tempo c’è, mi creda. Anche le risorse e anche le volontà. Dobbiamo soltanto crederci”