Roma, chiude il centro Scuola viva: a casa 300 disabili
ROMA – “Chiuso da un giorno all’altro, lasciando a casa 90 dipendenti e gettando nella disperazione quasi 300 famiglie”: Maria Simona Bellini, mamma di una ragazza disabile utente del Centro Scuola viva, racconta così “gli effetti drammatici” della sentenza del Tar del Lazio, che ieri ha negato la sospensiva alla revoca dell’accreditamento della struttura da parte della regione Lazio.
Questa, in sintesi, la storia: il centro Scuola viva, gestito dall’omonima associazione, è stato aperto 40 anni fa da una mamma, Serenella Pocek. “Proprio per questo si tratta di una struttura d’eccellenza – assicura Bellini – che dovrebbe essere fiore all’occhiello della regione. 290 utenti dei vari servizi: riabilitazione, inclusione scolastica, centro diurno semiresidenziale. Quest’ultimo accoglieva, dalla mattina al pomeriggio, 79 persone con grave disabilità intellettiva tra i 16 e i 40 anni. La struttura era dotata anche di un orto e di una piccola fattoria”. Quando, nel novembre 2010, fu reso obbligatorio l’accreditamento con la regione, la onlus mise in moto tutte le procedure e nel settembre 2013 concluse positivamente l’iter. “All’improvviso, il 17 dicembre scorso, l’accreditamento fu revocato. Ma sappiamo che già da tempo, ancor prima dell’accreditamento, le Asl dirottavano le famiglie interessate verso altre strutture, dicendo che La scuola viva era chiusa”. Tra le ragioni della revoca, la mancanza dei certificati di agibilità, “ancora inevasi – si legge nel provvedimento regionale - per ritardo dell’amministrazione concedente”. Replica l’associazione: “Il rilascio dei certificati di agibilità è stato sollecitato da noi nel 2009 e nel 2012; pare evidente che la causa del mancato rilascio sia l’inerzia dell’amministrazione. Il Centro è in possesso di tutti i presupposti di legge per l’agibilità, peraltro sempre controllati dalla Asl in sede di ispezione”. Pare però che il problema principale sia la prossimità del Tevere, che dista meno di 300 metri dal Centro. “La struttura si trova alla Magliana – spiega Bellini – vicina a fiume, ma su un’ansa interna, difficilmente soggetta a esondazioni. Ci sono strutture, come l’ospedale israelitico e una scuola dell’infanzia, collocate in zone vicine, molto più a rischio. E che nonostante tutto, proseguono la loro attività. Senza contare che circa il 96% dei Centri sanitari del Lazio non hanno ancora concluso l’iter di accreditamento definitivo”.
L’associazione ha quindi presentato ricorso al Tar, chiedendo la sospensiva del provvedimento: “L’udienza si è svolta il 17 gennaio scorso – riferisce Bellini – in un clima molto disteso. Eravamo tutti sicuri che la sospensiva ci sarebbe stata, visto che non c’erano motivi per negarla”. Ieri, inaspettata, la notizia: la sospensiva non c’è, dall’indomani il centro dovrà chiudere i battenti. Restano a casa, quindi, a partire da oggi, gli utenti del centro. “Un dramma soprattutto per le famiglie che si affidavano al centro diurno: io da oggi ho Letizia a casa e sono costretta a chiedere un’aspettativa a zero ore dal lavoro – riferisce Bellini – Alternative non ne abbiamo: la regione impone la rilocalizzazione: ma i locali sono di proprietà dell’associazione, che difficilmente riuscirà a venderli per comprarne altri”. Rivolgersi al altri centri? “E’ l’unica cosa che ci resta da fare: ma Letizia è stata due anni in lista d’’attesa, prima di essere accolta a Scuola viva. Temo che ora i tempi non saranno più brevi”. Intanto, le famiglie hanno provato a chiedere al comune un aumento delle ore di assistenza domiciliare: “è quanto previsto dalla delibera 355/2012, che riconsidera i punti assegnati agli utenti nel caso in quei questi non frequentino alcun centro diurno. Ma ci è stato risposto che la questione non riguarda il comune, bensì la regione. Non so davvero come potremo uscire da questa situazione, che per molte famiglie è davvero drammatica”. Nel frattempo, alcuni genitori hanno scritto a Gianni Letta, denunciando l’operato del presidente ella Regione Zingaretti e del dirigente Giorgio Spunticchia: “Sarà nostra cura – annunciano le famiglie - verificare gli estremi per una denuncia di interruzione di pubblico servizio (cl)