26 settembre 2018 ore: 17:22
Immigrazione

Roma, i rifugiati di via Scorticabove alla Raggi: non ci sgomberi

"Facciamo appello alla sindaca di Roma affinche' trovi una soluzione il piu' presto possibile, per questa gente". A parlare in maniera accorata da una tenda di via Scorticabove e rivolgendosi direttamente alla prima cittadina e' Adam...
Rifugiati di via Scorticabove in attesa

ROMA - "Facciamo appello alla sindaca di Roma affinche' trovi una soluzione il piu' presto possibile, per questa gente". A parlare in maniera accorata da una tenda di via Scorticabove e rivolgendosi direttamente alla prima cittadina e' Adam Nor, portavoce della comunita' sudanese in Italia.

A distanza di tre mesi dallo sgombero dello stabile al civico 151, decine di rifugiati dormono ancora nelle tende allestite a bordo strada. Il numero delle persone che vive nella tendopoli non e' chiaro, in molti sono fuori per lavoro, ma tra chi e' rimasto e' palpabile la paura di uno sgombero imminente. La voce circola da un paio di giorni.

"Siamo stanchi", dice Adam Nor. "La nostra bandiera e' italiana. Non pensate che siamo criminali, siamo semplici rifugiati politici. Dal 5 luglio, quasi 3 mesi, siamo in strada. L'assessora Baldassarre ci ha considerato tanto e la ringraziamo, ma negli ultimi 2 o 3 giorni ci arrivano voci di sgombero e siamo molto preoccupati. Non abbiamo un posto dove andare e non vogliamo occupare nessuno stabile. Conosciamo il valore della parola rispetto".

Eppure il Comune di Roma, nell'immediatezza dello sgombero dello stabile, aveva proposto l'accolgienza nel circuito delle strutture emergenziali ma i sudanesi avevano detto 'no'. Sul motivo del rifiuto il portavoce dei rifugiati non ha dubbi: "Ringraziamo la Baldassarre, ma abbiamo detto no ad un posto emergenziale, perche' ci saremmo divisi. Tra di noi chi lavora aiuta chi non lavora. La nostra comunita' vuole produrre e contribuire allo Stato italiano. Vogliamo che venga riconosciuto il valore di questa comunita'", conclude Nor.

Che poi racconta un po' della sua storia: "In Sudan c'e' un presidente che Governa da oltre 29 anni un Paese chiuso dove non ci sono giornalisti. Mia madre ancora sta nel campo profughi, mio padre e' stato ucciso e bruciato, conosciamo il valore della parola 'rispetto'. Non occuperemo alcuno stabile e basta con le strumentalizzazioni: non stiamo con alcun partito o con nessuna forza politica, siamo persone". (DIRE)

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