Rosarno, “il 70% dei braccianti africani ha il permesso di soggiorno, la metà ha la protezione internazionale”
ROMA - La Calabria come l’Alabama degli schiavi d’America, nell’indifferenza delle istituzioni. A quattro anni dalla rivolta dei braccianti africani, a Rosarno uno stagionale è pagato in media sempre 25 euro a giornata, i lavoratori stranieri sono duemila in tutta la Piana di Gioia Tauro e vivono al freddo, senza acqua né luce. Viene prodotto in questo modo il 50% degli agrumi in Calabria e il 20% di tutto il Mezzogiorno.
L’ultimo rapporto arriva da Medici per i diritti umani ed è stato presentato alla Camera dei Deputati con i parlamentari Pd Khalkid Chaouki e Marco Miccoli, alla presenza di Stefano Masini, responsabile Ambiente, Territorio e Consumi di Coldiretti. La novità degna di nota degli ultimi due anni è che le fabbriche in disuso occupate dai braccianti sono state sostituite dalla tendopoli impiantata dal ministero dell’Interno nel comune limitrofo di San Ferdinando e altrettanto abbandonata a se stessa, senza i servizi di base come la luce e il riscaldamento. In poco tempo, la tendopoli è diventata una baraccopoli. Nelle tende ci sono 450 posti, ma al momento ci vivono 900 persone che hanno costruito rifugi di fortuna con legno e plastica. Per cucinare e riscaldarsi si devono accendere pericolosi fuochi. Non c’è acqua. Lo scorso novembre un giovane migrante è morto di freddo perché dormiva in un’automobile non avendo trovato posto nella baraccopoli.
In questa stagione il Viminale ha stanziato 40mila euro usati per una disinfestazione e per il parziale ripristino dell’illuminazione dei lampioni esterni. Nelle campagne, nei casolari abbandonati, dove vivono altre migliaia di lavoratori africani, secondo Alberto Barbieri di Medici per i diritti umani “c’è l’esatta negazione del concetto di salute e di benessere”. Il camper di Medu ha effettuato 250 visite a 180 pazienti e ha riscontrato che l’80% ha un’età inferiore ai 35 anni, oltre il 70% ha un regolare permesso di soggiorno e il 45% è titolare di protezione internazionale. L’89% lavora in nero e quasi la metà non trova lavoro per più di tre giorni a settimana, per turni di lavoro che vanno dalle 7 alle 10 ore. Le malattie diagnosticate sono causate dalle pessime condizioni igienico sanitarie delle baraccopoli della Piana. Nel 97% dei casi i braccianti devono acquistare di tasca propria le dotazioni antinfortunistiche per lavorare nei campi, perché non vengono fornite dai datori di lavoro.
Secondo i dati forniti da Coldiretti, il 20% della forza lavoro di tutto il comparto agricolo italiano è immigrata. In Abruzzo il 90% dei pastori è macedone. Negli alpeggi della Valle d’Aosta, gli italiani sono meno del 10%. Nella produzione del parmigiano reggiano un lavoratore su tre è indiano. Nella Piana di Gioia Tauro ci sono 10mila ettari coltivati come agrumeti, che costituiscono il 46% della superficie totale regionale e il 12% di quella nazionale. In termini di produzione agrumicola, dalla Piana di Gioia Tauro arriva il 50% del prodotto di tutta la Calabria il 20% di tutto il Mezzogiorno.
Solo a Rosarno, gli ettari di agrumeti sono 1477 ma la dimensione media delle aziende è pari a 0,70 ettari. Si tratta di realtà produttive troppo piccole per essere definite imprese, in cui, se il lavoro venisse pagato equamente, i costi di produzione supererebbero quello che si ricava dalla vendita delle arance.
Il motivo risiede nella filiera industriale e monopolistico-mafiosa che abbassa fortemente il prezzo pagato al produttore. Stefano Masini, responsabile Ambiente, Territorio e Consumi di Coldiretti, sottolinea che il produttore agricolo della Piana di Gioia Tauro “non è un agricoltore ma un proprietario che vende il frutto ancora sull’albero a una rete di intermediari in cui c’è anche la criminalità organizzata”. E ancora che “questa non è agricoltura ma sfruttamento del territorio e rendita parassitaria”. Secondo il rappresentante di Coldiretti per cambiare il mercato occorre aumentare il valore sul mercato delle arance, ad esempio alzando per legge la quantità minima di succo d’arancia che deve essere presente nelle bevande al gusto d’arancia.
Masini ha definito “ripugnanti” le immagini delle condizioni disumane di sfruttamento dei braccianti africani a Rosarno mostrate dal rapporto di Medici per i diritti umani.
Intanto tutti i centri d’accoglienza che dovevano essere costruiti nella Piana di Gioia Tauro con i soldi del Pon Sicurezza, non sono stati completati né aperti, per motivi diversi. Il “villaggio della solidarietà” di Rosarno, con moduli prefabbricati per un totale di 60 posti letto, costruito su un bene confiscato ai clan, è stato bloccato a metà realizzazione per un’interdittiva antimafia nei confronti della ditta che lo stava costruendo.
Il centro da 16 posti nel comune di Drosi e quello da 20 posti di Taurianova, per un finanziamento di oltre 500mila euro, non sono stati finiti per problemi tecnici e amministrativi.
Una buona notizia viene da Drosi, borgo nei pressi di Rizziconi, dove da alcuni anni, un gruppo di cittadini con la Caritas riescono a trovare alloggio a un centinaio di braccianti nelle case sfitte del paese con affitti minimi. E un’altra da AfriCalabria e Sos Rosarno, due iniziative che vedono insieme braccianti stranieri, produttori, artisti e attivisti locali nel tentativo di creare una piccola filiera corta ed equosolidale. (Raffaella Cosentino)