7 aprile 2021 ore: 13:10
Disabilità

Rsa, dopo il vaccino: “Riaprire sì, ma con prudenza e senza forzature”

Intervista a Marco Trabucchi (Aip): “Ci sono resistenze e paure degli operatori, ma anche dei familiari e degli ospiti, molti faticano a tornare nella sala mensa: non si può pensare che in pochi giorni tutto torni com'era. Aprire sì, ma con gradualità. E intanto bisogna risolvere la carenza di infermieri e di risorse”
familiare rsa

ROMA - Come cambia una Rsa dopo il vaccino? O meglio, come dovrebbe cambiare? La paura diminuisce, ma non scompare, il rischio cala, ma non si azzera: riaprire è possibile e necessario, ma la prudenza è d'obbligo. “L'errore più grave che potremmo commettere, a livello psicologico, clinico e organizzativo, sarebbe pensare che la pandemia possa essere superata tornando semplicemente al passato, magari con una piccola operazione di maquillage”. A parlare è Marco Trabucchi, presidente dell'associazione italiana di psicogeriatria, che osserva con attenzione e preoccupazione quanto sta avvenendo, dall'inizio della pandemia, all'interno delle strutture per anziani. Più volte lui stesso ha raccomandato di riaprire, di restituire agli anziani le relazioni sociali, soprattutto con i loro familiari, per combattere e contrastare le visibili conseguenze dell'isolamento e della solitudine. Oggi però il suo invito è alla cautela, nel momento in cui il vaccino, arrivato a coprire la maggior parte della popolazione delle Rsa (ospiti e operatori), rischia di accelerare un percorso che invece deve essere graduale.

Perché tanta prudenza? La vaccinazione degli anziani residenti nelle strutture non dovrebbe rendere possibile la riapertura di queste?
Sì, ma la prudenza è necessaria: sarebbe un errore pensare che tutto possa tornare improvvisamente come prima, forzando anche le inevitabili resistenze

Resistenze di chi?
Degli operatori, ma anche degli ospiti. I primi sono stati toccati e scottati in modo drammatico: da un lato vedono la sofferenza degli anziani e chiedono di aprire, dall'altro però sono preoccupati perché il virus non è scomparso e, anche con il vaccino, il rischio esiste ancora. Poi ci sono gli ospiti, ormai abituati alle nuove regole: ne soffrono e ne hanno sofferto, ma ora fanno fatica a pensare a un'apertura generalizzata. Se non hanno metabolizzato la chiusura, non sono pronti neanche a metabolizzare una riapertura improvvisa: non tutti, almeno. Tanti preferiscono ancora mangiare nelle loro stanze, per esempio, piuttosto che tornare a consumare i pasti nella sala comune. Allo stesso modo, non tutti hanno tratto beneficio dall'uso dei tablet, o dalle cosiddette sale degli abbracci. Bisogna tener conto delle diverse sensibilità e delle differenti reazioni e muoversi con la massima attenzione. C'è una resistenza, che dobbiamo ascoltare e rispettare.

Ma i familiari chiedono di tornare a visitare i propri cari...
Sì, ma anche da parte di alcuni di loro c'è resistenza: molti alzano la voce per entrare e hanno ragione, ma molti altri hanno paura: non sono vaccinati e non vogliono portare il virus, si sentono in difficoltà e sentono il dovere della prudenza. In questo senso, trovo molto sensata la richiesta (rilanciata tra gli altri da Uneba, ndr) vaccinare un familiare per ogni ospite. Una volta vaccinato l'anziano, il familiare e l'operatore, si potrebbe pensare a una progressiva operazione di apertura, sempre nella consapevolezza che nulla è facile. Non dobbiamo dimenticare che molte speranze si sono bruciate: quando morivano a decine nelle case di riposto, si è rotta una fiducia che ora va ricostruita. E non basterà una settimana, ma neanche un mese, perché questo avvenga.

Intanto, qual è la situazione delle strutture? La crisi è superata?
No, la crisi è grave. Gran parte delle Rsa sono in difficoltà non solo organizzativa, ma anche economica. Nel loro piccolo, queste sono strutture complesse e bisogna rispettare questa complessità, accettando che il cambiamento sia lento e graduale. Oggi la tendenza è quella di aprire, perché questo garantisce benessere e salute, ma conosciamo anche i rischi psicologici e sanitari, quindi dobbiamo prestare la massima attenzione.

E gli infermieri? Nei mesi scorsi si è parlato di “esodo” dalle Rsa
Sì, è quello che è avvenuto: alcuni si sono dimessi, molti si sono trasferiti negli ospedali e nelle Asl, perché lì vengono pagati di più, hanno maggiori tutele e minori responsabilità rispetto a quelle che sono costretti ad assumersi in una struttura residenziale per anziani, dove il medico non è costantemente presente. Possiamo dire che tanti infermieri sono scappati da queste strutture, che oggi devono far fronte a questa grave carenza.

Quale potrebbe essere la soluzione?
Da un lato, formare un maggior numero di infermieri nelle scuole, dall'altro però anche aumentare la cosiddetta trazione: in altre parole, gli stipendi.

In Veneto gli Oss possono ora diventare infermieri con un corso di 400 ore. Può essere un'idea?
Dare una maggiore formazione agli oss è certamente una possibile soluzione, ma questo non significa che gli oss possano sostituire completamente gli infermieri, visto che esistono funzioni che non possono essere trasferite dall'una all'altra professionalità. Va però detto che da tempo chiediamo una più adeguata formazione per gli oss, che di fatto già svolgono funzioni che a loro non competono, ma che soprattutto all'interno delle Rsa si trovano a dover compiere, pur senza avere la formazione necessaria. Per questo, ritengo che sia giusto un miglioramento del loro percorso formativo, che peraltro chiediamo da prima della pandemia.

© Riproduzione riservata Ricevi la Newsletter gratuita Home Page Scegli il tuo abbonamento Leggi le ultime news