Salari più bassi per le “badanti”. Con gli assistiti dividono il peso della povertà
boxROMA – “Deregulation casa per casa”, “factotum”, salari inadeguati e competenze specialistiche: sono questi alcuni nodi cruciali della trasformazione del lavoro di cura osservata da Acli Colf, che venerdì 29 (ore 15.30, Palazzo Altieri, Piazza del Gesù 49) presenterà i primi risultati della sua indagine, in occasione della XVIII Assemblea congressuale sul tema “Il lavoro di cura nel welfare che cambia. Antiche sapienze e nuova professione”. A curare l’indagine, per Ires-Acli Colf, è Gianfranco Zucca, al quale abbiamo chiesto si sta svolgendo la ricerca e quali elementi ha finora messo in luce.
“Il percorso è iniziato a luglio scorso e si concluderò il 16 giugno 2014, in occasione della Giornata Mondiale dei lavoratori domestici. L’indagine è strutturata come una ricerca-azione, secondo il metodo tipico di Acli-Colf , che non affidano mai le ricerche all’esterno, ma coinvolgono ma se le tutta la base associativa, che anche in questo caso è chiamata a raccogliere interviste e questionari. La prima fase di questa ricerca è partita quindi con la sollecitazioni delle lavoratrici, che sono state invitate a 10 focus group in diverse città, dal nord al sud Italia. Obiettivo: cercare di capire attraverso di loro quali cambiamenti siano avvenuti negli ultimi 4-5 anni nell’ambito del lavoro domestico”.
I focus group. Le sezioni territoriali di Acli Colf hanno quindi contattato le associate per invitarle ai gruppi di discussione. “La risposta è stata sorprendente – riferisce Zucca – 74 persone in tutto. E il mio ruolo di moderatore è stato limitato, perché il dialogo e il confronto avvenivano spontaneamente. Questo è stato il primo elemento interessante: il desiderio di parlare, discutere, partecipare. E’ infatti è emerso che le occasioni di incontrarsi e di avere una socialità sono molto ridotte per queste lavoratrici, soprattutto per la assistenti familiari, che rappresentano la grande maggioranza della base associativa di Acli Colf. Solo 4 delle 74 partecipanti ai gruppi non svolgevano lavoro di cura”.
“Deregulation casa per casa”. Il primo elemento emerso dai gruppi è “un mutato funzionamento di questo settore del mercato del lavoro – riferisce Zucca - Dalla grande sanatoria degli anni 2000 fino all’inizio della crisi, è avvenuto tutto un lavoro di regolamentazione di un settore basato fino a quel momento accordi informali. Ora, da quello che ci hanno riferito, questa tendenza inizia a venir meno, mentre prende via una ‘deregulation casa per casa’: tutto viene negoziato con il datore di lavoro e le condizioni sono spesso molto penalizzanti per le lavoratrici”. Tornano insomma gli accordi informali, mentre “il contratto – spiega Zucca – non è più una priorità: il primo problema è ottenere un salario sufficiente”.
Salari sempre più bassi e “indigenza condivisa”. Un’assistente familiare a tempio pieno, in coabitazione, secondo il contratto collettivo nazionale di riferimento, dovrebbe lavorare 54 ore a settimana e guadagnare circa mille euro la mese. “In realtà – spiega Zucca – queste donne lavorano praticamente sempre, rinunciando spesso al proprio tempo libero e guadagnando molto meno di quanto previsto: circa 700 euro a Treviso, appena 500 a Foggia. Ma alcune non arrivano neanche a 400 euro al mese. Il fatto è che lo stesso assistito, in molti casi, vive nell’indigenza: si crea così una condizione di povertà condivisa, dove il primo e comune problema è in alcuni casi l’alimentazione”.
A favorire il “ribasso” dei prezzi c’è una “doppia concorrenza – spiega Zucca – Da un lato le lavoratrici italiane, che si riavvicinano a questo mestiere, dall’altro le neoimmigrate, generalmente disposte ad accontentarsi di salari più bassi, pur di avere vitto e alloggio”.
“Factotum”. In questo mutato contesto economico e sociale, si arricchiscono le competenze delle assistenti familiari. “Parlando con loro – riferisce Zucca - emerge chiaramente che la distinzione tra assistente familiare, colf e baby-sitter non c’è più: sono vere e proprie ‘factotum’, si occupano di tutto, spesso anche in un’ottica di famiglia allargata: alcune raccontano di fare su e giù per le scale della palazzina, per accudire l’anziano, stirare le camicie al figlio, badare ai nipoti ecc.”. Molte assistenti familiari vantano ormai competenze infermieristiche, “o acquisite con un corso, oppure direttamente sul campo”. E una novità anche questa, che va in parallelo con la riduzione dei servizi: “La chiamata di un infermiere costa 70-80 euro. Accade quindi che le assistenti familiari cerchino di imparare e poi provvedano loro stesse a mansioni che non spetterebbero loro, come la cura delle piaghe da decubito. D’altra parte – osserva Zucca – se non lo facessero loro, in molti casi non lo farebbe nessuno. Certo è che questa concentrazione di mansioni, responsabilità e attese sull’assistente familiare provoca un sovraccarico emotivo di queste donne, a volte con gravi conseguenze sul piano psicofisico”. (cl)