Salario minimo, le Acli sulla relazione del Cnel: “Le famiglie non hanno tempo per piani quinquennali”
ROMA - Anche le Acli prendono posizione sul documento del Cnel a proposito del salario minimo. Una sostanziale contrarietà a quanto stabilito dal Consiglio nazionale economia e lavoro, che si unisce a una serie di proposte per migliorare le condizioni lavorative e di vita delle famiglie.
Afferma Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli: "La relazione approvata dal Cnel, pur ricca di approfondimenti, non ci pare colga l'urgenza dei problemi e la necessità di invertire rapidamente la rotta anche con misure sperimentali. Nella relazione sembrerebbe invece emergere, anche se timidamente, l’ipotesi di arrivare a definire il Salario minimo giungendo a un riferimento vincolante per tutti i settori, ai minimi indicati nei contratti siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi: ci sembra una via indispensabile, ma dai tempi lunghi e non sufficiente - aggiunge Manfredonia -. Come ci ricorda una recente sentenza della Cassazione, la nostra Costituzione stabilisce che tutte le retribuzioni debbano assicurare a chi lavora ‘un'esistenza libera e dignitosa’, e purtroppo la via contrattuale deve confrontarsi col moltiplicarsi di contratti collettivi nazionali (oltre mille), molti siglati solo per fare dumping contrattuale”.
“Anche sul riferimento vincolante per tutti i settori alle retribuzioni minime dei contratti maggiormente rappresentativi serve un provvedimento immediato e sperimentale, - aggiunge il vicepresidente nazionale e Responsabile Lavoro delle Acli, Stefano Tassinari - in attesa che i corposi approfondimenti del Cnel negli anni giungano a conclusione. Inoltre va creata anche una soglia di Guadagno Massimo Consentito, visto che la povertà del lavoro e delle famiglie spesso è causata dall'arricchimento eccessivo di pochi, come testimoniano buone uscite di manager 10.000 volte superiori a quelle di un lavoratore”.
Continua Tassinari: “A ciò si deve accompagnare certo un taglio del cuneo fiscale, ma non fatto a debito e quindi scaricato soprattutto sui giovani, ma reso stabile da una riforma del sistema fiscale che guardi a tutti i redditi e preveda una vera progressività, come impone la nostra Costituzione. Servono anche altre correzioni di rotta: impoverire sanità e servizi sociali ed escludere gran parte delle famiglie in povertà da un reddito minimo crea un ulteriore indebolimento delle famiglie – conclude Tassinari - e, come evidenziato dall’Osservatorio Acli sui redditi e sulle famiglie, è urgente non dimezzare l’Assegno Unico una volta compiuti i 18 anni di età e rivedere anche la decisione di toglierlo ai 21 anni”.