5 novembre 2013 ore: 13:04
Giustizia

Salute in carcere, “un diritto non ancora garantito appieno”

A pesare è la carenza di risorse. L’analisi di Lillo Di Mauro (Consulta penitenziaria di Roma Capitale). Ricoveri ospedalieri, integrazione sociosanitaria, ruolo delle Asl e Opg i principali nodi irrisolti. “Le Asl devono assumersi appieno i loro compiti”
Francesco Cocco/Contrasto Carcere, detenuto in penombra

ROMA – Una situazione che si va via via normalizzando, ma che presenta ancora molti nodi irrisolti: questo lo stato dell’arte in materia di salute carceraria secondo Lillo De Mauro, presidente della Consulta penitenziaria di Roma Capitale e fondatore del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale. Le Asl che non svolgono appieno il loro ruolo di tutela e prevenzione, le difficoltà dei ricoveri e la totale assenza di integrazione sociosanitaria sono i principali problemi rilevati.

“In generale la situazione si sta assestando – sottolinea Di Mauro -, ma negli istituti penitenziari la carenza di fondi e risorse si amplifica, quindi non possiamo dire che il diritto alla salute è garantito appieno”. I ricoveri ospedalieri continuano a essere ostacolati dalla mancanza di personale per garantire le traduzioni e nella maggioranza dei casi mancano negli ospedali i reparti specifici per i detenuti. “Non è stata realizzata la cartella clinica informatizzata - aggiunge Di Mauro -, un elemento importantissimo perché consentirebbe ai medici di avere tutte le informazioni relative al detenuto”. Resta critica la gestione dei malati psichiatrici, con gli Opg ancora aperti. Sul fronte sociosanitario, infine, manca la sinergia tra enti: “Se abbiamo in carcere una persona affetta da patologie come l’Aids – spiega l’esperto - dovrebbero intervenire più istituzioni insieme: quelle sanitarie e quelle sociali, ma il più delle volte questo intervento congiunto non c'è”.

Se questo è il quadro, il passaggio della sanità penitenziaria alle Asl è una vittoria a metà. “Io resto un sostenitore di questo passaggio – precisa – e ritengo sia stato d’aiuto, ma vorrei che le Asl si assumessero appieno questo loro compito, distinguendosi dal ministero della Giustizia come realtà preposta alla tutela della salute. Quindi se bisogna denunciare locali inadeguati e scarsa igiene non ci si può tirare indietro”. Ma è difficile svolgere questo ruolo se nella maggior parte delle regioni sono stati nominati responsabili del reparto carceri gli stessi medici che ricoprivano la funzione per il ministero. “È mancata una discontinuità e le Asl, dopo un momento di caos, si sono adeguate agli equilibri preesistenti negli istituti”.

A fronte di questi problemi, l’attenzione verso la realtà carceraria è troppo sporadica. “All' interno del carcere anche piccoli disguidi sanitari possono davvero complicare la vita di una persona – conclude -. Non ci sono alternative: si è nelle mani delle Asl e se per qualche motivo non viene dato un farmaco o fatta una tac per tempo succedono casi come quelli che conosciamo, di diagnosi tardive e cure mancate”. (gig)

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