Saman, l'appello: è morta per i diritti, merita la cittadinanza
ROMA - "Saman deve avere la cittadinanza italiana postuma. È stata una ragazza genuina e coraggiosa che si è battuta non solo per i suoi diritti ma anche per quelli dei figli nati da famiglie straniere che, come la sua, faticano a mettere da parte le tradizioni, e più in generale per i quasi due milioni di giovani che lo Stato non riconosce cittadini italiani". Affida il suo appello all'agenzia Dire Ahmad Ejaz, giornalista di origini pakistane, tra i consulenti di cui si è avvalsa la trasmissione Chi l'ha visto per far luce sull'omicidio di Saman Abbas.
Testimonianze e intercettazioni raccolte dai Carabinieri e dalla Procura di Reggio Emilia suggeriscono che a uccidere la 18enne nel maggio 2021 siano stati i familiari, per riparare all'onore macchiato dal rifiuto di Saman al matrimonio con un cugino in Pakistan, e per aver avuto una relazione con un coetaneo non approvato dalla famiglia. Un corpo è stato ritrovato negli ultimi giorni sepolto nelle campagne di Novellara, in un casolare abbandonato, su indicazione dello zio Danish Hasnain, ora in carcere insieme ad altri due cugini perché ritenuti gli esecutori materali. Le analisi del dna diranno se quelle spoglie sono di Saman.
Il lavoro di consulenza ha portato il cronista a entrare in contatto con la vita e le conversazioni private della giovane. "Aveva una voce genuina, ingenua, utilizzava un urdu raffinato. Mi ha ricordato mia figlia" dice Ejaz. "Ma oggi non ha nessuno al mondo: lo zio Danish Hasnain l'ha uccisa con la partecipazione dei genitori e l'approvazione degli altri parenti in Pakistan e in Francia. Il fidanzato Saquib, anche lui pakistano, ha dovuto ritirarsi come parte civile del processo perché teme per la sua incolumità. Resta il Comune di Novellara. Ma oltre al processo, faccio appello alle associazioni e ai Comuni per invocare la cittadinanza italiana onoraria per Saman".
A sostegno del suo appello, il giornalista ricorda che Saman è scomparsa quando ha deciso di lasciare la struttura per donne vittime di violenza in cui si era rifugiata per tornare a casa a prendere i documenti. "Le servivano- continua Ejaz- per sposare Saquib. Si trattava del permesso di soggiorno, che tra l'altro era in scadenza". Il giornalista continua: "Alle istituzioni chiedo anche di non cedere sull'estradizione dei genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen: il governo del Pakistan ha acconsentito a rimandare in Italia il padre, ma sarà difficile che rimandi indietro la madre, perché la giustizia è restia ad estradare le donne. Ecco perché sono partiti". Inoltre, se il padre e il cognato - l'uomo forte che dal Pakistan ordinò che la giovane pagasse con la vita - saranno condannati da un giudice in Pakistan, "esiste l'istituto del perdono da parte dei genitori: insomma la madre potrebbe perdonare il marito e il fratello per l'omicidio della figlia e farli uscire".
Ejaz spiega che in Pakistan "le leggi ci sono, perché si stanno facendo tanti sforzi per superare pratiche come il delitto d'onore o la 'cessione' di due donne dalla famiglia accusata di aver ucciso un proprio parente maschio". Il problema "è la giustizia, che è debole, al contrario della polizia e delle tradizioni. Ad esempio, si può scarcerare qualcuno pagando tangenti. Lo zio di Saman poi è un alto funzionario di polizia. Insomma non è difficile immaginare che se l'Italia si accontenta di aver ritrovato il corpo, condanna il caso di questa ragazza all'impunità".
(DIRE)