2 marzo 2023 ore: 16:55
Salute

Sanità, “serve una riorganizzazione dell’assistenza pediatrica”

A sollecitarla è la Società italiana di Pediatria. “Occorre salvaguardare il diritto dei bambini ad essere curati dai pediatri e non dai medici dell’adulto, in sicurezza, e minimizzando le diseguaglianze di salute dovute a fattori territoriali e sociali”. Dal pediatra fino a 18 anni: la proposta della Sip

ROMA - La Società italiana di Pediatria agli Stati Generali della Pediatria, convocati oggi al Ministero della Salute, lancia un allarme sul rischio di non poter più garantire in modo adeguato in tutto il Paese l’assistenza pediatrica. “Non è accettabile che un bambino sia curato o assistito da un medico che non sia pediatra, sia in ospedale sia nel territorio”, afferma Annamaria Staiano, presidente della Società italiana di Pediatria e professoressa Ordinaria di Pediatria all’Università Federico II di Napoli.

Il sistema delle cure pediatriche, così com’è, rischia di non reggere, anche per la progressiva riduzione del numero di pediatri attivi nel mondo del lavoro. Le soluzioni ci sono e non servono scorciatoie estemporanee ed emergenziali. “È necessaria e non più rinviabile una revisione dell’assistenza, che metta i bambini e gli adolescenti, da 0 a 18 anni, al centro dell’area pediatrica. Solo così sarà possibile continuare a garantire standard assistenziali adeguati, cure gestite da personale dedicato ed erogate in contesti appropriati in tutto il Paese e in modo omogeneo”, afferma Giovanni Corsello, professore Ordinario di Pediatria, all’Università di Palermo e Editor in Chief di Italian Journal of Pediatrics.

Primi passi in questa direzione sono l’integrazione e la continuità dei percorsi di cura tra ospedale e territorio.

Superare la rigida distinzione tra ospedale e territorio. “Già adesso il numero di specialisti in pediatria non è sufficiente per mantenere l’attuale sistema organizzativo, che vede il territorio da un lato e l’ospedale dall'altro. Un gap destinato ad aumentare nei prossimi anni, nonostante la riduzione della natalità e il recente aumento del numero dei contratti per le scuole di specializzazione in Pediatria - spiega Rino Agostiniani, direttore Area Pediatria e Neonatologia ASL Toscana Centro e Tesoriere SIP -. La dicotomia organizzativa tra pediatria di famiglia e pediatria ospedaliera, realizzata nel nostro Paese a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, oggi non è più sostenibile. Solo con una maggiore integrazione tra ospedale e territorio possiamo garantire continuità assistenziale, rispondere meglio all’emergenza urgenza pediatrica e alle patologie croniche, evitando la congestione inappropriata dei Pronto soccorso e migliorando la risposta territoriale alle esigenze dei bambini e delle loro famiglie”.

Si al pediatra “sub-specialista”. Altro capitolo che ha un impatto rilevante sull’assistenza pediatrica è l’incremento di bambini con patologie croniche complesse e rare, che costituiscono ormai il 18% della popolazione pediatrica. Per assistere questi bambini occorrono gli specialisti appropriati e una maggiore integrazione delle cure che coinvolga tutti i professionisti che si occupano di cronicità. La SIP ribadisce la necessità di accelerare il riconoscimento sul piano normativo del valore legale delle sub-specialità pediatriche, come già avviene in altri Paesi europei (ad esempio pediatra cardiologo, pediatra allergologo, pediatra gastroenterologo, pediatra endocrinologo, pediatra pneumologo), una richiesta già da tempo al vaglio del ministero della Salute. L’Italia è tra i pochi Paesi europei a non vederle riconosciute. “Eppure, il pediatra sub-specialista potrebbe dare una migliore risposta assistenziale ai tanti bambini e adolescenti con patologie croniche e rare e gestire meglio la transizione, sia in ospedale sia sul territorio”, afferma Renato Cutrera, direttore Unità Pneumologia e Fibrosi Cistica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e responsabile del Gruppo di Studio Cure Palliative Pediatriche della SIP.

Formazione e innovazione tecnologica le parole chiave per ripartire. Occorre inoltre investire sulla formazione perché “la Pediatria ha bisogno di specialisti adeguatamente formati sia sulla gestione di pazienti complessi, come quelli affetti da patologie croniche, sia su nuove tematiche di grande impatto clinico e sociale, come la bioetica, le cure palliative, le nuove forme di abuso e maltrattamento, le emergenze sanitarie. L’integrazione tra i diversi livelli di cura deve avvenire anche sul terreno della formazione professionale”, riprende la presidente SIP Annamaria Staiano. 

Fondamentale sarà anche usare al meglio le grandi potenzialità che derivano dall’innovazione tecnologica e dalla telemedicina, che dovranno essere parte integrante dei nuovi modelli assistenziali.  “Si tratta di potenzialità enormi per migliorare le attività di prevenzione,  per consolidare le reti pediatriche e la filiera che lega ospedale, territorio e casa del paziente, per espandere l’efficacia d’intervento delle specialità pediatriche,  per superare le diseguaglianze geografiche delle offerte clinico-assistenziali dei servizi pediatrici, per favorire la domiciliazione delle cure e del follow-up”, conclude Giorgio Perilongo, professore Ordinario di Pediatria all’Università di Padova e coordinatore della Commissione per l’Innovazione tecnologica in Pediatria della SIP.

Dal pediatra fino a 18 anni, la proposta della Società italiana di Pediatria

Garantire a tutti i minori il diritto alle cure pediatriche sino a 18 anni sia sul territorio sia in ospedale, senza differenze legate alla Regione in cui si nasce e si vive, come già avviene in altri Paesi europei come Francia, Gran Bretagna, Olanda, Polonia e Svezia. È la prima richiesta che arriva dagli Stati Generali della Pediatria, convocati oggi al Ministero della Salute dalla Società Italiana di Pediatria per fare il punto sulle criticità dell’assistenza pediatrica.

“Sebbene per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e per la legge italiana (legge n.176 del 1991) l’infanzia includa ogni persona sotto i 18 anni – ricorda la Sip -, il diritto alle cure pediatriche nel nostro Paese si ferma ‘innaturalmente’ a 14 anni, proprio in quella fase in cui ladolescente è nel pieno delle modificazioni puberali e delle sue dinamiche evolutive. Dopo questa età, infatti, i bambini non possono più essere seguiti dal pediatra di libera scelta, ma finiscono in carico al medico dell’adulto (con l’eccezione per i bambini con patologie croniche che restano in carico ai pediatri sino a 16 anni)”.

Più complicata è la situazione per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera. “Non esiste una legge nazionale che definisca sino a quale età gli adolescenti abbiano diritto a essere curati nei reparti pediatrici, la situazione è diversa da Regione a Regione e persino all’interno della stessa Regione. Con la conseguenza che oltre il 25% dei bambini tra 0-17 anni viene ricoverato in reparti per adulti e circa l'85% dei degenti tra 15 e 17 anni è gestito in condizioni di promiscuità con pazienti adulti e anziani e da personale non specializzato nell'assistenza ai soggetti in età evolutiva – afferma la Sip -. Una situazione che riguarda in maniera particolare le terapie intensive. Quelle pediatriche sono poche e mal distribuite: appena 26 in tutta Italia, con solo 202 posti letto e una media di 3 posti letto per 1 milione di abitanti contro gli 8 in Europa. Così moltissimi pazienti in età pediatrica vengono ricoverati nelle terapie intensive degli adulti e quindi, seguiti da personale con scarsa esperienza specifica sull’età evolutiva. Eppure, la letteratura scientifica ha attestato che la specifica esperienza in assistenza pediatrica è determinante per ottenere i migliori risultati possibili”.

“Tutto questo non è accettabile. Come pediatri difendiamo la specificità pediatrica, ossia il diritto di bambini e adolescenti a poter essere curati in ambienti a loro dedicati e da personale specificatamente formato per letà evolutiva - afferma la presidente della SIP Annamaria Staiano -. E’ ben noto che un ambiente e un’assistenza a misura di bambino rappresentino una parte integrante del percorso di cura. Questa situazione finisce per penalizzare i ragazzi, disorientare le famiglie e creare ingiuste discriminazioni legate alla regione in cui si vive”.

Regione che vai, ricovero che trovi. Attualmente troppe sono le differenze su base regionale: se in Sicilia, Sardegna, Molise, dopo i 14 anni gli adolescenti in linea di massima finiscono nei reparti degli adulti, in Lombardia e Trentino-Alto Adige ciò avviene dopo i 15 anni; in Toscana dopo i 16; in Basilicata si è accolti nei reparti pediatrici sino a 17 anni, in Abruzzo e Veneto sino a 18. Nelle altre regioni l’età varia tra 14, 16, 18 anni a seconda degli ospedali. Così in Campania il limite è 14 anni, con l’eccezione di Benevento dove è 18 anni; in Liguria dopo 16 anni si va nei reparti per adulti, ma a Savona ciò avviene già dopo i 15. Unica eccezione in questo panorama variegato sono gli adolescenti con patologie croniche, che in linea di massima hanno diritto alle cure ospedaliere pediatriche sino alla maggiore età.
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