2 maggio 2023 ore: 10:00
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Sardegna/4. La città dell’educazione

A San Gavino Monreale il 13 aprile 2023 la quarta tappa del ciclo di seminari organizzati da Ordine dei Giornalisti della Sardegna, Caritas Sardegna, Ucsi Sardegna e Redattore Sociale. Spazio alla riflessione sul tema educativo, fra problemi che affliggono l’istituzione scolastica, il ruolo della comunità educante sui territori e la funzione della stampa e della comunicazione giornalistica
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SAN GAVINO MONREALE – L’importanza dell’istruzione, dell’educazione e della formazione per il futuro dei territori, in modo particolare di quelli che registrano le maggiori difficoltà in tema di abbandono scolastico e di povertà educativa. Il ruolo e il compito di tutte le realtà che costituiscono la comunità educante, ad iniziare naturalmente dalla scuola, e l’impegno dei tanti che si muovono per aiutare bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ad acquisire quelle competenze che permettono loro prendere in mano la propria esistenza. Di questo si è parlato nel quarto seminario del ciclo Raccontare il territorio” dal titolo “La città dell’educazione”, organizzato dall’Ordine dei giornalisti della Sardegna, dall’Agenzia Redattore Sociale e dalla Delegazione regionale Caritas Sardegna, in collaborazione con l’UCSI Sardegna. 

Una riflessione, coordinata dal presidente dell’OdG Sardegna, Francesco Birocchi, partita dalla constatazione che il sistema nazionale della pubblica istruzione, chiamato a garantire un’erogazione uniforme del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, pur avendo sostanzialmente raggiunto l’obiettivo dell’uguale e gratuito accesso allo studio, si trova a dover fare i conti con disuguaglianze profonde nel godimento delle opportunità scolastiche e nell'apprendimento, in relazione alla residenza geografica e al contesto familiare di provenienza.

L’argomento è stato affrontato a partire dai saluti del sindaco di San Gavino Monreale, Carlo Tomasi, che ha sottolineato l’incidenza che la scuola ha avuto nella vita di ogni cittadino, l’importanza del tema educativo a livello comunitario e il fatto che la formazione è strettamente legata allo sviluppo di un territorio e alla sua situazione economica. Il vescovo di Ales-Terralba, mons. Roberto Carboni, ha sottolineato la scelta di guardare con particolare attenzione al tema dell’educazione, mentre Raffaele Callia, delegato regionale di Caritas Sardegna, ha ricordato la condizione di vulnerabilità che, anche dopo la pandemia da Covid-19, caratterizza le comunità sarde, sottolineando come il dotare le persone di adeguate competenze sia un modo intelligente di rispondere alla povertà. Andrea Pala (Ucsi Sardegna) ha invitato a considerare il contributo della stampa e del giornalismo, a partire dai settimanali diocesani che fanno comunicazione di prossimità.

La povertà educativa e la comunità educante

Dando una panoramica generale sul tema affrontato, il direttore di Redattore Sociale, Stefano Caredda, ha ricordato che la povertà educativa viene definita come “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. Il che, ha spiegato, “equivale a dire che un minore è soggetto a povertà educativa quando il suo diritto ad apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze, coltivare le proprie aspirazioni e talenti è privato o compromesso”. Non si tratta quindi di una lesione del solo diritto allo studio, ma della mancanza di opportunità educative a tutto campo: da quelle connesse con la fruizione culturale al diritto al gioco e alle attività sportive. Minori opportunità che incidono negativamente sulla crescita del minore.

In particolare, un disagio economico spesso si traduce in divario educativo, causando quel fenomeno particolarmente negativo che porta le disuguaglianze economiche, educative, culturali e sociali a tramandarsi dai genitori ai figli. Tra la condizione socioculturale ed economica di partenza degli studenti e i livelli di apprendimento conseguiti fin dai primi anni di scuola, infatti, può instaurarsi una relazione: i dati mostrano come povertà economica e povertà educativa si alimentino a vicenda, perché la carenza di mezzi culturali e di reti sociali riduce anche le opportunità occupazionali. Allo stesso tempo, le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle risorse culturali e educative, costituendo un ostacolo oggettivo per i bambini e i ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate. Questa condizione nel breve periodo mina il diritto del minore alla realizzazione e alla gratificazione personale, e nel lungo periodo riduce la stessa probabilità che da adulto riesca a sottrarsi da una condizione di disagio economico. I risultati di oggi – ha sottolineato Caredda - danno forma alle opportunità di domani: è probabile che grandi divari di reddito tra i genitori di oggi implichino maggiori divari nella qualità dell’istruzione o dell’accesso alle opportunità del mercato del lavoro tra i bambini di domani e le circostanze odierne influenzeranno chiaramente i risultati di domani.

Di fronte a tutto ciò superare le disuguaglianze che derivano dall’appartenere a condizioni di fragilità economica e sociale è sempre più percepito come una priorità per lo sviluppo delle società: un ruolo decisivo in questo lo gioca la cosiddetta “comunità educante”, cioè quel tessuto di relazioni solidali e collaboranti, costituito e alimentato da coloro che vivono e operano in un territorio, che ne hanno a cuore il destino e che riconoscono la responsabilità dell'abitarlo insieme. La comunità educante è costituita dall’insieme degli attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita di ragazze e ragazzi: la scuola, anzitutto, con i docenti e le stesse famiglie; poi l’amministrazione comunale e il terzo settore, le associazioni culturali e sportive, gli oratori, le organizzazioni e anche i giornalisti, chiunque dunque sul territorio guardi al futuro dei giovani.

 

La scuola: il suo rapporto con la stampa e l’origine di molti dei suoi guai

Articolato e complesso l’intervento di  Francesco Feliziani, direttore dell’Ufficio scolastico Regionale (Usr) della Sardegna, che ha proposto anzitutto una riflessione su quel rapporto virtuoso che dovrebbe unire un’informazione corretta (i giornalisti), un’amministrazione adeguata (i dirigenti scolastici) e una politica lungimirante (gli amministratori pubblici). Una triangolazione che troppo spesso, invece, non produce frutti positivi.

Scuola, politica e stampa: una triangolazione che non funziona a dovere

“In Sardegna – spiega Feliziani - abbiamo un numero di istituzioni scolastiche che è molto superiore alle altre regioni, essendo l’isola soggetta ad una normativa transitoria che legittima l’assegnazione di un dirigente scolastico e di un Dsga a partire da 600 alunni nei comuni e da 400 alunni nei comuni montani (con un’attuale e ulteriore riduzione in deroga di questi parametri rispettivamente a 500 e 300 alunni)”. Sulla rete scolastica ha la competenza la Regione e non lo Stato e questo sta alla base di un corto circuito mediatico che si realizza nel momento in cui l’amministrazione scolastica pianifica una razionalizzazione della rete scolastica: “Molti pensano che se si mettono insieme due scuole significa che se ne sta chiudendo una, cosa non vera”. I casi di proteste pubbliche, amplificate dalla stampa, contro la supposta “chiusura” di scuole o di plessi scolastici, portano il decisore politico (che è sensibile agli umori della popolazione) a mantenere lo status quo. Il che, spiega Feliziani, “mette in difficoltà entrambe le scuole, con il Dirigente scolastico che deve dividersi fra l’una e l’altra, quando si potrebbe avere un’unica scuola pienamente funzionante”. Discorso che vale analogamente anche per il tema delle pluriclassi, quelle in cui (per carenza di bambini) convivono in un unico gruppo alunni di età e differenti classi (ad esempio, 5 bambini di terza elementare, 7 di quarta elementare e 6 di quinta elementare): “Ci sono situazioni dove questa soluzione ha una sua ragion d’essere, ma molti altri dove non ha alcun senso, specialmente quando parliamo di comuni o frazioni che ormai costituiscono un unico agglomerato”. In tutti questi casi, ha affermato Feliziani, “la stampa dovrebbe raccontare bene cosa vuol dire ‘dimensionamento scolastico’ che non equivale affatto alla chiusura di plessi, e la politica dovrebbe prendere decisioni che non siano solo basate sulla ricerca del consenso elettorale di breve periodo”.

La chiusura delle SSIS e il silenzio sui problemi della scuola

Al netto dei rapporti fra scuola, stampa e politica, il direttore dell’Usr Sardegna è entrato poi nel dettaglio della situazione sarda, caratterizzata da preoccupanti tassi di abbandono scolastico e di povertà educativa. “In molti si chiedono il perché la scuola attraversi tanti problemi: a mio parere i motivi sono ben precisi, ma su di essi da ormai 14 anni è calato un silenzio di tomba”. Feliziani fa riferimento al sistema delle scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (note con l’acronimo SSIS), di durata biennale, sulle quali fra il 1999 e il 2009 si è basata la formazione degli insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

“Laureati di qualsiasi disciplina, se volevano diventare insegnanti, facevano un concorso per entrare nelle SSIS, che per 2 anni li formavano non solo nelle materie didattiche, ma soprattutto fornivano insegnamenti di psicologia, metodologia, didattica, con tirocini nelle scuole e l’ausilio di docenti di ruolo e universitari. In pratica, si davano al futuro professore tutti gli strumenti professionali per poter diventare insegnante, e un esame finale certificava le competenze acquisite. Era un sistema che funzionava: il suo smantellamento ha portato negli ultimi 14 anni a risultati disastrosi”. Ad iniziare dall’esplosione del precariato e del sistema dei concorsi riservati, con l’aumento drammatico dell’età media degli insegnanti che vengono immessi in ruolo (in un periodo storico, dice il direttore Usr Sardegna, in cui sarebbe fondamentale una riduzione del divario d’età fra studenti e insegnanti). “Di fatto non abbiamo più un sistema di reclutamento che dia garanzie”.  Qualcosa di simile avviene anche per la scuola dell’infanzia e la primaria, con una laurea professionalizzante (Scienze della formazione primaria) che a Cagliari ha un numero chiuso a 100 posti e produce ogni anno circa 60 nuovi maestri. “Ogni anno – ha specificato Feliziani - ne vanno in pensione almeno 400, il che significa che occorre pescare nel bacino del precariato storico fra chi non ha avuto un instradamento alla professione”. Insomma, “si parla molto di orientamento e di formazione in servizio, ma intanto si sta ignorando completamente il sistema di reclutamento, che è palesemente non adeguato ad affrontare le sfide che la scuola deve affrontare”.

La necessità di fare rete con il territorio

Vincenza Pisanu, dirigente scolastica all’Istituto di istruzione superiore “Marconi-Lussu” di San Gavino Monreale, ha posto in evidenza la necessità di fare rete fra tutte le agenzie del territorio e di leggere ciò che nel territorio è presente e operativo: “Garantire la riuscita scolastica è un valore etico oltre che un valore di giustizia sociale”. La battaglia contro la dispersione scolastica è fondamentale e deve riguardare anche coloro che si trovano in dispersione implicita: “La ricchezza dello sviluppo della personalità umana passa attraverso elementi e fattori che garantiscono la crescita nel senso non solo dell’istruzione ma in senso più ampio”, ha affermato ricordando la necessità di interventi specifici e azioni più efficaci.

Dare consapevolezza a chi ha bisogno di un sostegno

La pedagogista Chiara Laino ha portato l’esperienza sul campo di chi affianca alunni e studenti con disturbi e difficoltà: “Le famiglie non sono consapevoli di avere i propri figli in situazione di povertà educativa perché non hanno mai conosciuto la ricchezza educativa: è necessaria l’acquisizione di una forte consapevolezza, specialmente nei nuclei che ricevono diagnosi di disturbi neurologici. Rendere consapevoli gli inconsapevoli è il primo passo per prendersi cura di chi ha un bisogno, dando attenzione alle potenzialità e alle specificità di ciascuno”. La differenza come ricchezza dunque, che costituisce una caratteristica della scuola: “Se a scuola non ci fosse posto per chi ha bisogno, essa non sarebbe più scuola, sarebbe come un ospedale che cura i sani e respinge i malati”.

L’aiuto ai ragazzi, contro la dispersione

Dal canto suo Sara Mura, vicepresidente della Cooperativa “Sinergie” onlus con base a Guspini ed esperienza nei settori educativo, sanitario e sociale, con oltre 200 progetti realizzati nel corso degli anni, ha segnalato l’aumento delle richieste dirette provenienti dalle famiglie registrate negli ultimi anni (solo 80 negli scorsi 12 mesi) e relative ad un target di età sempre più basso (non solo adolescenti, anche bambini). “Ansia sociale, ansia da performance, disturbi del sonno e dell’alimentazione con tendenze suicidiarie, segnalano la necessità di dare molta attenzione ai segnali che bambini e ragazzi lanciano: bisogna – ha affermato Mura – leggere i bisogni, quelli espressi e quelli non espressi, bisogna stare accanto, bisogna creare reti di sostegno e una presa in carico globale”. Come fatto con le ultime progettualità: quella relativa a “Codis contro le discriminazioni” ha coinvolto 3.000 minori in 12 comuni, impegnati in laboratori esperienziali e nella creazione di prodotti (fra essi, un “gioco dell’oca” su bullismo e cyberbullismo, cinque spot radiofonici contro la discriminazione); quella relativa a “Lost – Nessuno è perduto” ha coinvolto 6 istituti scolatici in 4 diversi comuni accogliendo 48 ragazzi a rischio dispersione (disagio personale, frequenza irregolare, provenienza da famiglie problematiche) o già in situazione di dispersione scolastica, coinvolgendoli in percorsi dapprima di tipo psicologico per la rigenerazione della motivazione, poi con un supporto di tipo metodologico sull’apprendimento, tutto con alla base una costante azione di ascolto e il coinvolgimento di insegnanti e di tutte le agenzie educative del territorio.  

Il ruolo delle biblioteche

Beatrice Arangino, coordinatrice del sistema bibliotecario “Monte Linas” del Medio Campidano, ha fornito un quadro d’insieme della ricca offerta culturale proposta, con 11 biblioteche (7 comunali ad Arbus, Gonnosfanadiga, Guspini, Pabillonis, San Gavino, Sardara e Villacidro, 3 scolastiche più quella specialistica dell’Istituto di Scienze Religiose) e un patrimonio complessivo di 220 mila unità, incrementate ogni anno con ulteriori 5 mila, e un orario settimanale di 236 ore disponibili e oltre 200 postazioni di lettura. Un lavoro di promozione che abbraccia il territorio e tutte le età, con sguardo particolare ai 6-20 anni: mostre a tema, concorsi letterari, attività con i bibliotecari, occasioni di incontro con le scuole, laboratori e momenti di riflessione, per far entrare i giovani in confidenza con la cultura.

La funzione dello sport fra impegno e competitività

Bruno Perra, presidente del Coni Sardegna, ha sottolineato il ruolo positivo dello sport nella crescita delle generazioni, l’importanza della conoscenza e del rispetto delle regole, i valori della solidarietà, del rispetto, dell’amicizia, la funzione di deterrenza che lo sport ha rispetto al disagio giovanile. “La scuola non va vista in antagonismo alla pratica sportiva, come se – ha detto Perra – fare sport distogliesse dall’impegno nello studio: se i ragazzi che fanno sport in modo serio, ne può beneficiare anche il loro percorso scolastico”. E riguardo alla competitività, Perra ha affermato che “fa parte della vita e conoscerla fin da giovani non deve essere visto negativamente: certamente occorre che la competitività non sia esaltata sopra ogni altra cosa, poiché allora diventa dannosa. E noi adulti, genitori e allenatori, siamo i primi a dover dare il buon esempio”.

La Caritas diocesana e la forza della determinazione

Infine, l’intervento di don Marco Statzu, direttore della Caritas diocesana di Ales-Terralba, ha evidenziato la grande azione educativa che viene svolta in particolare verso bambini e ragazzi (ne abbiamo parlato nell’articolo dedicato alla Caritas diocesana) e in conclusione la testimonianza di Sabrina Milanovic, 33 anni, che ha raccontato la sua storia di riscatto basata sulla forza di volontà e sull’acquisizione di sapere e formazione: lei, appartenente alla comunità rom, una vita vissuta nel campo di San Nicola d’Arcidano intervallata da numerose esperienze professionali e tirocini, e con la costante difficoltà di un pregiudizio spesso emerso, ha trovato la determinazione, anche grazie all’aiuto della Caritas diocesana, per terminare gli studi con il diploma in amministrazione finanziaria: “Oggi penso al futuro, penso di iscrivermi all’Università e intanto cerco un lavoro che mi dia serenità economica e mi lasci tempo per fare volontariato, perché voglio restituire un po’ di quel bene che ho ricevuto”.

 

 

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