Sardegna/7. Raccontare il territorio: il lavoro che c’è
ALGHERO - Il lavoro che c’è oggi, quello che sarà inventato nei prossimi anni, quello che – in era di intelligenza artificiale - ha comunque bisogno di competenze sociali, emotive e relazionali, specialmente quando è legata intimamente ad uno specifico territorio. Di questo si è parlato ad Alghero, ospiti della locale Caritas diocesana, nel corso del seminario di formazione per giornalisti organizzato dall’Ordine dei giornalisti della Sardegna, da Caritas Sardegna insieme a Ucsi Sardegna e a Redattore Sociale. Un incontro moderato da Vannalisa Manca, consigliera dell’OdG Sardegna, aperto con il saluto di Andrea Pala, presidente di Ucsi Sardegna e quello del direttore della Caritas diocesana di Alghero-Bosa, Franco Deiana: “E’ importante – dice - parlare del lavoro che c’è, anche se sappiamo che nei nostri centri d’ascolto constatiamo che il lavoro c’è ma molte volte è precario, e non dà la possibilità di condurre una vita dignitosa”.
Il lavoro per il progresso della società. Anche quello digitale
L’intervento di Stefano Caredda, direttore di Redattore Sociale, ha fornito un’introduzione al tema, con il rimando alle norme costituzionali di riferimento che sanciscono il principio lavoristico come fondativo della Repubblica italiana. E’ stato rimarcato come il lavoro sia non solo fonte di ricchezza ma di progresso collettivo, luogo in cui si definisce la nostra identità personale e sociale, mezzo di espressione della propria personalità. Il lavoro quindi come diritto e al tempo stesso come dovere che ogni cittadino è chiamato ad adempiere svolgendo un'attività o una funzione che – come da rimando costituzionale - concorra al progresso materiale o spirituale della società. Caredda ha poi presentato un approfondimento relativo allo specifico campo del lavoro giornalistico svolto in ambito digitale, con un panorama dello stato di salute dell’editoria digitale, con particolare riguardo ai vari modelli di business esistenti e allo specifico del giornalismo on line.
La situazione lavorativa ad Alghero
Riguardo al tema del lavoro nel suo complesso, Anna Maria Scognamillo, referente del Centro per l’Impiego di Alghero (uno dei bracci operativi dell’Aspal, l’Agenzia sarda per le politiche attive del lavoro) ha illustrato la fotografia del lavoro subordinato in città scattata dall’Osservatorio del mercato del lavoro. Un numero di occupati equilibrato fra uomini e donne e che aumenta sensibilmente durante la stagione estiva, con contratti a tempo determinato. Il contratto di lavoro a tempo pieno è prevalente per gli uomini, quello femminile è invece principalmente un lavoro a tempo parziale, indice – afferma la referente Aspal - di un impegno maggiore della donna nel lavoro di cura a figli e genitori anziani non autosufficienti. Tutti numeri che segnalano la difficoltà di porre in essere strumenti di conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare.
Il settore trainante in città – ha fatto presente ancora Scognamillo - è chiaramente quello turistico, che traina indirettamente anche settori come le agenzia di viaggio, i servizi di comunicazione e di animazione. Prettamente maschile l'attività manifatturiera e quella nel campo delle costruzioni, mentre è a grande maggioranza femminile il settore della sanità e dell’assistenza sociale, come pure quello dell’istruzione. L’occupazione giovanile è fortemente influenzata dal periodo temporale, con un grande aumento nel periodo estivo e un drastico calo nella fase invernale. Il maggior numero di contratti riguardano impieghi come camerieri e professioni assimilate e cuochi (con una lieve maggioranza femminile) e bagnini (settore quasi esclusivamente maschile).
La referente del Centro per l’impiego ha poi illustrato anche le azioni e le buone prassi attuate nei percorsi di inclusione socio-lavorativa destinate alle persone più fragili e svantaggiate. Interventi che si legano alle misure di carattere nazionale, come l’assegno d’inclusione (che ha sostituito il Reddito di cittadinanza), e a quelle regionali come il Reis, una misura ulteriormente cumulabile di supporto alle famiglie in difficoltà (350 euro al mese).
A fronte di un sostegno al reddito, quindi del pagamento di un assegno, viene attivato per le persone comprese nella fascia d'età dai 18 ai 59 anni (i cosiddetti occupabili) un percorso di inclusione socio-lavorativa che vede coinvolti diversi servizi del territorio. Per le persone interessate, le principali cause di questa povertà sono legate ad un inadeguato livello di istruzione (ad esempio cittadini non in possesso della licenza media), una inadeguata capacità professionale rispetto a quella che è la richiesta del mercato del lavoro, e ancora l'età, oltre alla mancanza di competenze trasversali come la capacità di comunicare e di relazionarsi. Ci sono poi persone con disabilità o persone con dipendenze che non sono in grado di svolgere specifiche attività lavorative.
“Voglio mettere in evidenza – ha detto Scognamillo - la necessità di migliorare questa rete di supporto, perché non è possibile separare un disagio sociale da quello lavorativo. Se i servizi sociali sono i principali referenti rispetto al disagio sociale, è proprio il Centro per l’impiego l’ente responsabile del supporto e della formazione al lavoro. Le persone coinvolge vengono inserite in percorsi di formazione, qualificazione e riqualificazione professionale”. Nel concreto, all’interno di un’azione volta a individuare i reali bisogni di ciascuno, viene svolta anzitutto un’attività di profilazione qualitativa, per capire quali competenze fra quelle richieste sul mercato riflettono le capacità del singolo. “L’analisi congiunta multidisciplinare porta alla definizione di un progetto personalizzato e integrato, che consideri la dimensione sociale, quella lavorativa, le competenze tecniche trasversali, le caratteristiche e le risorse personali di ciascun cittadino”. “Poiché si tratta di bisogni complessi, ad agire è un’équipe multiprofessionale costituita da diversi operatori del territorio (servizi sociali, sanitari, educativi, ecc.) che sono chiamati a valutare tutte le dimensioni della persona. L'inserimento socio lavorativo della persona fragile e della persona difficilmente occupabile è possibile esclusivamente attraverso l'interazione di tutti i servizi del territorio”.
“Noi – ha continuato la referente del Centro per l’impiego - seguiamo le politiche attive del lavoro, i servizi sociali supportano la famiglia sugli aspetti economici ma anche relativi alla presenza nel nucleo familiare di minori (istruzione) o di persone non autosufficienti (aspetti socio-sanitari), calibrando anche interventi a supporto abitativo o scolastico (ad esempio accompagnando un soggetto adulto al conseguimento del titolo di studio, fin dalla licenza media), il tutto in collaborazione anche con gli enti di terzo settore. Abbiamo bisogno di lavorare in rete, questo è il percorso che dobbiamo portare avanti, ognuno per la propria competenza: se le formiche si mettono d'accordo, infatti, possono spostare un elefante”, ha concluso Scognamillo.
L’esperienza della Cantina Sociale di Santa Maria la Palma
A portare la propria esperienza sul campo è stata anzitutto Gianfranca Pirisi, vicepresidente della cantina sociale di Santa Maria la Palma, una delle eccellenze del territorio, costituita da 300 soci, quindi da 300 famiglie di viticoltori prevalentemente dislocate nel territorio della Nurra, che lavorano insieme circa 800 ettari di vigneti e producono vino rinomato, con una produzione di circa 6,5 milioni di bottiglie vendute annualmente e un fatturato di 25 milioni di euro nel 2023. Un’esperienza nata nel 1959 da 13 soci e ora allargatasi fino a portare il nome di Alghero e del suo territorio in Europa e Stati Uniti, dove viene esportato il 30% della produzione (il restante 70% serve il mercato nazionale, sardo e italiano).
“La cantina sociale è una storia di successo che funziona perché – ha detto - tutti gli utili che la cantina riesce a rigenerare vengono ridistribuiti all'interno delle 300 famiglie socie della cooperativa: più vendiamo, più abbiamo utili, più i viticoltori vengono retribuiti per le loro uve, in maniera più alta rispetto al mercato generale delle uve. Ciò rende più dignitoso il lavoro agricolo svolto nei campi”. “Stiamo pensando – ha proseguito - di ampliare la base produttiva, rispettando il vincolo della territorialità. E abbiamo l’obiettivo di raggiungere nel 2025 l’autonomia dell’azienda dal punto di vista energetico, producendo energia da utilizzare nel nostro processo produttivo. Siamo una bella azienda che lavora nel territorio e che contribuisce a rendere Alghero il primo comune agricolo della Sardegna”.
Riguardo al tema del lavoro e alla necessità di adeguata formazione Pirisi ha affermato che “la recente chiusura dell’Istituto agrario della città ha determinato una mancanza di quella manodopera tecnica formata che è ormai quella di cui tutti noi abbiamo bisogno (compresa una specializzazione di tipo meccanico per i mezzi agricoli che è sempre più dinamica rispetto al passato). Sembra assurdo – ha rimarcato - che proprio in un territorio a vocazione agricola manchi la scuola nata per questo: occorre davvero ripensare al come e al dove deve essere fornita l’istruzione necessaria di cui aziende come la nostra hanno bisogno”.
L’esperienza dell’oleificio San Giuliano
Il racconto di un’altra esperienza di successo è arrivato da Pasquale Manca, amministratore delegato dell'oleificio San Giuliano, azienda algherese che può vantare oltre 100 anni di storia: dalla nascita come frantoio nel 1916 al rilancio in stile imprenditoriale del 1974, è arrivata oggi nella sua produzione di olio extra vergine di oliva ad esportare in oltre 30 paesi, con un fatturato che per l’80% viene realizzato in Nord America, Giappone, Cina, Inghilterra e Brasile. Numeri che fotografano il processo di internazionalizzazione condotto da un’impresa che alla fine degli anni ’80, quindi poco di 40 anni fa, concentrava il 100% del suo fatturato in Sardegna.
“Abbiamo lavorato nel tempo per una diversificazione dei mercati e dei prodotti, il che ha giovato nella fase di crisi pandemica, quando ciò che abbiamo perduto nelle forniture al settore della ristorazione è stata ampiamente compensata dalla grande distribuzione organizzata. Le scelte strategiche – ha affermato Manca - influiscono molto e pongono al riparo dalle crisi, dalle variabili internazionali, dalle scelte doganali, ecc.”. L’azienda agricola produce in quasi 500 ettari, con una propensione all’innovazione in tutte le fasi, dall’allevamento dell’olivo alla raccolta delle olive: “Sistemi moderni che sprecano meno terreno e meno risorsa idrica”. Il tutto in un contesto altamente competitivo e dinamico, con competitor internazionali che si affacciano sul mercato pur non essendo paesi a tradizione olivicola (Arabia Saudita, Brasile, Argentina, Cile). “Ci avvaliamo di cooperazione di alto livello con agronomi stranieri, non sardi, e non lo facciamo per esterofilia ma perché non troviamo quella specialità fra gli agronomi locali”. “C'è – ha sottolineato Manca – un’assimetria tra domanda e offerta di lavoro: abbiamo una necessità di professionalità di base tecnica e già da alcuni anni valutiamo curriculum che abbiano almeno il diploma di scuola superiore. Le posizioni sono nei campi dell’informatica, della meccanica, dell’elettronica, e poi abbiamo bisogno di agronomi, trattoristi, potatori, innestini (coloro che fanno gli innesti). Nelle aziende come la nostra non c’è più spazio per operai generici: le macchine sono sempre più complesse, sono collegate ad altri sistemi, bisogna capire i linguaggi di un sistema complesso che richiede anche interazioni al di fuori dell’azienda. Noi – ha concluso Manca - facciamo naturalmente formazione interna, ma possiamo farla su persone che hanno già delle basi solide”.
Uno sguardo ai problemi sociali in diocesi
Uno sguardo generale lo ha portato Tonino Baldino, direttore dell'Ufficio per i Problemi Sociali e il Lavoro della Diocesi di Alghero Bosa, il quale ha sottolineato come l’economia non possa basarsi esclusivamente sulla concorrenza e sull’antagonismo, ma anche dall’attaccamento alla comunità e al territorio. Baldino ha rimarcato che la classe dirigente già nel secondo dopoguerra del secolo scorso ha privilegiato la crescita di operatori locali, per permettere al soggetto locale di essere protagonista del proprio sviluppo, in un quadro di equilibrio e di partecipazione: “E’ stata allora una scommessa vinta“. Nel corso del tempo la necessità – ha affermato l’esponente della Diocesi – è che si mantenga e si fortifichi il senso dell’essere comunità, considerando l’elemento etico delle proprie scelte economiche. Le sfide dello spopolamento, le nuove esigenze relative alla cura della biodiversità, la necessità di promuovere stili di vita coerenti con l’equilibrio fra essere umano e ambiente, costituiscono altrettanti campi di azione molto attuali, cui si aggiunge il richiamo al colmare gli squilibri e le disuguaglianze sociali che si creano nel territorio”.
La scuola, luogo di formazione
A riprendere il tema della formazione è stata Licia Masia, referente PCTO dell'istituto Enrico Fermi di Alghero, il polo liceale della città. L’acronimo designa i “Percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento” e riguarda dunque quell’ambito (che fino ai tempi recenti era noto come “alternanza scuola lavoro”) che intende fornire ai ragazzi delle scuole quelle consapevolezze e quegli strumenti utili al loro percorso di orientamento e scelta.
Masia ha rimarcato come i ragazzi della scuola Fermi siano stati formati nel campo della sicurezza sul lavoro, abbiamo frequentato laboratori per l’orientamento universitario, abbiano vissuto esperienze nel campo della cultura e del sociale attuate in collaborazione con il terzo settore: “Tutte esperienze che permettono loro di sviluppare competenze trasversali, il saper lavorare in team, l’essere attenti agli altri, il curare le relazioni, tutti aspetti fondamentali in qualsiasi tipo di lavoro futuro”. E – ha aggiunto – “i nostri formatori dicono che questi nostri ragazzi si stanno preparando per dei lavori che in buona parte ancora non esistono”.
Il turismo per il territorio: l’Hotel Portoconte
Un’ulteriore testimonianza è venuta da Stefano Lubrano, amministratore delegato dell'Hotel Portoconte, il quale ha sottolineato l’importanza di una visione imprenditoriale della gestione alberghiera che abbia come base la grande conoscenza del territorio: “Quando si parla di turismo – ha detto – l’approccio culturale non deve essere quello di pensare ad una sorta di sfruttamento del territorio, ma come un’opportunità di crescita e condivisione delle risorse del territorio”. Occorre allargare lo sguardo nella valutazione delle motivazioni che sono alla base di un viaggio (la vacanza, ma anche lavoro, motivi di salute, cultura, ecc) e valorizzare la fortissima relazione con il territorio che produce: “Raramente in Sardegna si trovano comuni e località che presentano un così elevato numero di proprietari delle strutture ricettive che abitano la città e che hanno relazioni con produttori locali per la fornitura degli alimenti”. Lubrano ha rimarcato che il grande lavoro compiuto nel tempo è stato quello di dare un’organizzazione puntuale a tutto ciò, far sì che i produttori locali comprendessero le esigenze delle strutture ricettive per ottimizzare i processi di produzione e di distribuzione. E ha infine sottolineato la centralità del rapporto di fiducia esistente con il cliente e il fatto che la prima caratteristica di quanti lavorano nel campo deve essere una buona capacità di relazionarsi e di instaurare un rapporto di fiducia con il turista, che potrà essere guidato alla scoperta del territorio e delle sue caratteristiche.
Tecnologia e innovazione: l’esperienza di Porto Conte Ricerche
Gavino Sini, amministratore unico di Porto Conte Ricerche, società che sviluppa ed eroga servizi ad alto contenuto tecnologico a favore di imprese impegnate nell’innovazione dei propri sistemi produttivi, attraverso attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, ha messo in evidenza come occorra fare tesoro delle esperienze per agire e governare lo sviluppo del territorio. “In un mondo in cui viviamo in una centrifuga di transizioni, quella ecologica, quella digitale, quella energetica, occorre essere consapevoli del fatto che la storia è un continuum di transizioni e che pertanto la vera domanda che occorre porsi è ‘che cosa sarà ancora rilevante fra cinque o dieci anni?’. Quale sarà cioè il risultato delle transizioni più o meno veloci che stiamo vivendo?
Il nodo della formazione resta cruciale, con la necessità di sviluppare competenze che creino valore aggiunto, ad iniziare dalla socialità, e che sappiano evolversi e cambiare. Un sistema educativo quindi che, per di più nell’era dell’intelligenza artificiale generativa, formi persone capaci di pensare, con forti competenze socio emotive e capacità di creazione e creatività, oltre che professionali.
Il supporto lavorativo della Caritas di Alghero Bosa
Infine Daniela Maninchedda, operatrice della Caritas diocesana di Alghero Bosa e della Fondazione “L'Al.bo. di Osea”, ha illustrato le attività del braccio operativo creato dalla Caritas per promuovere accompagnamento concreto al mondo del lavoro per persone con fragilità. Una Fondazione che – ha detto – “fa l’analisi dei bisogni e lavora con obiettivi prefissati a medio lungo termine”. Si tratta di vari progetti socio-educativi, ad iniziare da un doposcuola attivo contro la dispersione scolastica, e di azioni di accompagnamento al lavoro avviati soprattutto a partire dal periodo post-pandemico.
“Il primo anno – ha spiegato - abbiamo identificato 20 utenti senza lavoro, in situazione di povertà, e abbiamo approfondito le singole situazioni offrendo supporto e supporto. Abbiamo finanziato corsi per il conseguimento della patente di guida o per il miglioramento delle competenze riguardanti la lingua; abbiamo avviato tirocini in azienda grazie ad apposite convenzioni stipulate, fornendo servizio di tutoraggio sia all’utente sia all’azienda. Già il primo anno una parte degli utenti sono stati poi assunti a tempo indeterminato, il che ha significato che in alcuni casi le persone sostenute hanno iniziato a provvedere da soli alle proprie esigenze, qualcuno ha comprato anche la prima casa. Altre situazioni – ha precisato la referente della Fondazione - sono rimaste complesse, anche per la presenza di problematiche sociali e personali, ma abbiamo sempre cercato di risolvere il possibile. Oggi – ha concluso Maninchedda - il progetto è giunto alla sua quarta annualità e in ciascuna di esse abbiamo inserito al lavoro una quindicina di utenti, raggiungendo dunque l’obiettivo iniziale”.