Sbarchi, La Manna: "I migranti hanno diritto di arrivare in Italia"
ROMA - “I migranti che scappano da guerre civili, carestie e torture hanno il diritto di arrivare in Italia. Noi dobbiamo proteggerli. Invece permettiamo che migliaia di persone muoiano durante il viaggio”. E’ un grido di indignazione quello che padre Giovanni La Manna rivolge a tutte le istituzioni all’indomani dei drammatici sviluppi in Egitto e della devastante guerra fratricida in Siria che dura ormai da due anni. Conflitti da cui si sopravvive solo scappando. “La domanda che noi rivolgiamo alle istituzioni è semplice e deve avere una risposta: in Italia esiste il diritto d’asilo, ma cosa fa il nostro Paese per garantire che un siriano che sta fuggendo dalla guerra civile arrivi sano e salvo sulle nostre coste senza essere sfruttato dai trafficanti e morire poi in mare?”, chiede padre La Manna. “Questa è anche e soprattutto una nostra responsabilità. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare le politiche sull’immigrazione, creare canali umanitari sicuri”.
Poi, rivolge un appello al presidente della Repubblica. “Napolitano deve intervenire. Bisogna colpire i trafficanti. Cosa ci impedisce di farlo? Ci dovremmo vergognare invece di fare le vittime per 20.000 persone che sbarcano in Italia, gridando all’emergenza”, continua La Manna ““L’Italia non ha imparato nulla dai suoi errori: durante la primavera araba che ha portato in Italia centinaia di persone, il nostro Paese ha ricevuto dall’Unione Europea milioni di euro. La Corte dei Conti deve rispondere su come sono stati spesi questi soldi”.
Nell’ultimo anno il centro Astalli di Roma ha aiutato più di 21.000 rifugiati, offrendo pasti caldi, il servizio doccia, prestazioni mediche e corsi di italiano. “Vengono dall’Afghanistan, dall’Eritrea, dalla Siria e dall’Egitto. Non arrivano solo via mare ma anche con l’aereo. Scendono all’aeroporto e non sanno dove andare. La disponibilità di posti nella capitale è limitata soprattutto per i nuclei familiari. Molti dopo tutte le violenze subite non vogliono separarsi e decidono di rimanere fuori dall’accoglienza pur di restare con la propria famiglia”, afferma La Manna.
“Durante il periodo estivo le persone che si rivolgono al nostro centro aumentano. Chi invece è già presente nel territorio si sposta fuori Roma per lavorare: va a raccogliere i pomodori nelle campagne o a vendere prodotti nelle spiagge. Si sopravvive così. Accogliere non significa parcheggiare le persone per anni nelle strutture umanitarie: questo offende la loro dignità. Accogliere significa dare l’opportunità ai rifugiati che chiedono asilo in Italia di costruirsi un futuro in modo autonomo”.
Padre La Manna negli anni ha ascoltato le storie drammatiche di centinaia di rifugiati. Quella che non potrà mai dimenticare è la vicenda di un somalo arrivato in Italia nel 2009. Aveva speso tutto quello che aveva per scappare dalla Somalia, un Paese in guerra da anni. Quando credeva di avercela fatta, di aver realizzato il suo sogno è stato imbarcato insieme ad altri connazionali su una nave italiana senza che nessuno gli comunicasse dove fossero diretti. A metà tragitto sono stati caricati su un’imbarcazione libica. Sono stati rispediti in indietro, respinti dall’Italia, un Paese che garantisce il diritto d’asilo. Molti si sono buttati in mare quando hanno capito cosa stava succedendo. “Sono stati portati nei centri di detenzione in Libia. Hanno subito torture e maltrattamenti. Sono passati altri due anni prima che questo ragazzo riuscisse a tornare in Italia. Mi ha raccontato le violenze subite. Le donne erano costrette a farsi la doccia in tre o in quattro per paura di essere violentate. E pensare che questi centri sono stati costruiti con i nostri soldi. Nessuno ha mai chiarito quanto denaro abbiamo dato alla Libia. Tutto quello che ho potuto dire a questo ragazzo è stato: scusa a nome di tutti gli italiani”, conclude padre La Manna. (Maria Gabriella Lanza)